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venerdì 26 maggio 2023

Vivara tra archeologia e Riserva naturale*. Articolo di Felice di Maro

Vivara tra archeologia e Riserva naturale*

Articolo  di  Felice  di  Maro


Fig. 1, da C. Giardino, T. Zappatore, in   AA.VV., Missione Archeologica

Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino
di Archeologia on line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio
XI, 2020/1-4, p.58, fig.54, a p.57 la presentazione con descrizione,

a: frammento di minerale metallico, dallo scavo subacqueo, inv. V00S11M/1;
b: diffrattogramma della mineralizzazione ferrosa inv.
V00S11M/ p.58 fig.54;
(https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/numeri-1-4-2020-anno-xi/).

ABSTRACT - Vivara. Islet connected with the island of Procida (Italy, in Campania, Gulf of Naples) by a pier that can only be traveled on foot. Archaeological excavations have documented Mycenaean and pre-Mycenaean presences dating from the 16th to the 13th century. B.C., highlighting stable population phases documented by a hut village, Punta d'Alaca, already from the beginning of the 17th century B.C.

It presents important naturalistic features such as flora and fauna and a part that has remained intact of the Mediterranean forest in the north-eastern section. The finds of the archaeological excavations begun in 1976 are kept in the Civic Museum of Procida. In this article some archaeological finds are presented and some naturalistic assets that characterize this islet are outlined.

Dopo anni di lotte ambientaliste l’isolotto di Vivara è oggi «Riserva Naturale Statale Isola di Vivara» grazie al Decreto del 24 giugno 2002: Istituzione della riserva naturale statale dell'isola di Vivara, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 225 del 25 settembre 2002.

Questo atto istituzionale è stato molto importante perché all’archeologia e alla storia con pari dignità scientifica, i vari aspetti naturali come la flora e la fauna sono stati maggiormente indagati e costituiscono con l’archeologia un unicum culturale in quanto Vivara è oggi è uno dei siti più importanti per lo studio dei rapporti tra il mondo miceneo e le culture del Mediterraneo occidentale dell'età del

bronzo.

Con gli scavi archeologici dell'ultimo decennio sono state documentate le principali strutture abitative ed è stato reso fruibile il corpus delle ceramiche egeo-micenee, dati importanti sono stati acquisiti con lo studio delle evidenze topografiche dell'isolotto e dalle strutture dell'antico porto preistorico conservate sotto la superficie del mare. In quest’articolo, archeologia e aspetti naturalistici vengono presentati insieme ma in successione alcuni reperti archeologici e le sintesi della flora e della fauna. S’inizia con l’archeologia e per quanto è stato possibile si danno alcune notizie degli scavi archeologici e si presentano nelle note le fonti bibliografiche sui risultati dei rilievi petrografici, bioarcheologici, archeometallurgici e tridimensionali eseguiti con tecniche scanlaser, stereofotogrammetria e aerofotogrammetria.

ARCHEOLOGIA E STORIA

A Vivara gli scavi archeologici sono iniziati nel 1976 ed hanno documentato presenze micenee e pre-micenee con una datazione che va dal  XVI al XIII sec. a.C., evidenziando fasi di popolamento stabili documentate da un villaggio capannicolo, Punta d’Alaca, già dagli inizi del XVII secolo a.C., in fig. 4, la ricostruzione virtuale.

Le aree archeologiche documentate a Vivara e parzialmente portati alla luce si concentrano sulle terrazze naturali a strapiombo sul mare, sulle punte principali dell'isola:

Punta Capitello a nord, che offre una visuale strategica verso l'isola di Capri;

Punta d'Alaca a ovest, che definisce il tratto meno ampio del Canale di Ischia; 

Punta di Mezzogiorno a sud, che si protende verso l'isola di Procida, qui gli scavi hanno individuato i resti di un più antico nucleo abitativo collocato sulle balze che digradano a 30 metri circa sul livello del mare verso la punta meridionale dell'isola.

Sul resto dell'isola, tranne che in qualche raro punto di addensamento, l'originario insediamento è stato disturbato o addirittura distrutto dalle pressioni antropiche, che si sono fatte più intense a cominciare dal XVIII secolo. Certamente lo sfruttamento agricolo dell'isola, messo in atto attraverso il terrazzamento dei suoi versanti tanto per gli impianti delle viti, quanto per la coltura degli ulivi, ha pesantemente inciso sui resti dell'originario abitato protostorico.

Sul pianoro sommitale dell'isola, la costruzione di un insediamento rurale unitamente ai naturali fenomeni di weathering (erosione atmosferica) hanno completamente spazzato via le tracce di occupazione dell'età del Bronzo. Le documentazioni della presenza dell'uomo in epoca protostorica sono state riscontrate intatte soltanto nell'area delle terrazze inferiori dell'isola, e questo per i fenomeni naturali d'erosione, dilavamento e accumulo, uniti all'attività antropica di tipo agricolo che, a cominciare da un paio di secoli fa, ha profondamente modificato l'originaria geomorfologia dell'isola.

L’area alta dell’isolotto e in parte le sue terrazze naturali a strapiombo sul mare presentavano abitazioni rettangolari, costruite su terrazzamenti artificiali laddove i pendii erano più scoscesi. Un sistema di scale intagliate nel tufo, oggi in parte sommerse, metteva in collegamento l’abitato con l’area del porto-approdo che sorgeva dove oggi si trova il golfo di Genito.

Le attività agricole hanno distrutto quelle che dovevano essere le Capanne durante le prime fasi di vita stanziale. Come abbiamo detto sono state ritrovare le tracce intatte della presenza umana in epoca protostorica esclusivamente sulle terrazze inferiori dell’isola, in connessione con le sue punte principali, quali Punta Capitello a nord, Punta d’Alaca a ovest e Punta Mezzogiorno a sud.

La nascita del progetto d’indagine archeologica ha le sue radici nella storia stessa dell’evoluzione e dell’affermarsi del significato non solo di fare ricerca su un insediamento insulare dell’età del Bronzo in Campania, ma anche di rappresentare un modello capace di mettere in stretta relazione le scienze dell’antichità con quelle scientifico-tecnologiche. È stato quindi strettamente legato alla costituzione di un laboratorio sull’isola di Procida e alla creazione di un percorso espositivo che ha trovato sede nel “Museo Civico di Procida Sebastiano Tusa" recentemente inaugurato a Terra Murata presso l'ex Conservatorio delle Orfane dedicato alla valorizzazione del sito e alla conoscenza geologica e storico-culturale del comprensorio procidano.

Il Museo è nato come “Area Espositiva Virtuale” dedicata a Giorgio Buchner che abbracciava tutti gli aspetti della storia culturale di Procida. Con l’ampliamento degli spazi laboratoriali, caratterizzati con nuovi ambienti per il restauro e il catalogo dei reperti, tutto il plesso laboratoriale, frutto dell’incontro e della collaborazione fra Soprintendenza, Università ed Ente locale, verrà intitolato a Giorgio Buchner che sostenne personalmente anche nella sua allora veste di Ispettore di zona la ripresa degli scavi su Vivara nel 1976: da nota 3, p. 8, M. Marazzi, C. Pepe, “Vivara e il Mediterraneo: dai sistemi di computo alle prime manifestazioni scrittorie” in Bollettino di Archeologia Online, IX,2-3. Ecco il link:

(https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wpcontent/uploads/2019/07/2018_23_Marazzi_Pepe.pdf)

Il museo espone oggetti e ceramiche di tipo egeo-miceneo rinvenuti in varie capanne di grandi dimensioni e reperti delle attività metallurgiche, al riguardo di quest’ultime, un notevole interesse si è manifestato per  il ritrovamento durante lo scavo subacqueo al livello dell’antica spiaggia (Punta d’Alaca) di un frammento di minerale metallico, fig.1, lungo cm 5,9, largo cm 4,9, spesso cm 3,7 e dal peso di g 64,7 (inv. V00S11M/1), si tratta di un minerale con ganga silicatica nel quale l’indagine condotta con diffrazione a raggi X ha individuato la presenza di goethite, un idrossido di ferro che fornisce una prova dei traffici di minerali metallici e documenta che Vivara doveva essere al centro di relazioni commerciali che collegavano l'area tirrenica centro-meridionale con il Canale di Sicilia e le regioni del Peloponneso.

Ai reperti provenienti dalla Grecia micenea si sono aggiunti nuovi ritrovamenti che hanno testimoniato come Vivara sia stata raggiunta da importanti sistemi “oggettuali” di computo e memorizzazione con sistemi grafici e para-scrittori. L’insieme delle documentazioni archeologiche dimostra che quest’area era inserita in una Rete di traffici marittimi insieme ad altre popolazioni presenti in vari siti del Mediterraneo, ma dopo queste testimonianze archeologiche manca qualsiasi notizia storica fino al 1600, salvo il ritrovamento di alcune tegole1 dipinte in rosso e nero di un tempo arcaico ascrivibile al VI-V sec. a.C.

Gli scavi archeologici2 iniziano nel 1976 diretti da Massimiliano Marazzi e da Sebastiano Tusa, allora ricercatori presso l'Università La Sapienza di Roma. Hanno documentato tre insediamenti, fig.2: punta Mezzogiorno a sud, punta d'Alaca nella parte occidentale che si eleva sul mare raggiungendo il punto più alto dell'isolotto, e punta Capitello a nord3. La superficie dell’isolotto è alquanto ridotta con circa 0,4 km² con un perimetro di circa 3 km con una forma a mezzaluna, il punto più elevato misura 110 metri sul livello del mare ed è situato nell’area centrale. La preistoria è nota fin dal 1937, quando l'archeologo Giorgio Buchner, lavorando alla sua tesi di laurea, Vita e dimora delle isole flegree (op.cit. nota n.1) rinvenne, durante i lavori di scavo nella parte settentrionale dell'isola, punta Capitello (e, quasi contemporaneamente, nel sito di Castiglione d'Ischia) le prime testimonianze di ceramica micenea sul versante tirrenico d'Italia.

A bordo dei navigli provenienti dall’Egeo, giungevano fino al porto-approdo vivarese, oggi sommerso a una profondità di circa 14 metri sotto il livello del mare, grandi vasi da trasporto, raffinate coppe, tazzette dipinte e piccoli vasi contenenti oli profumati o altri tipi di unguenti che attestano la rilevanza strategica di Vivara nell’ambito degli scambi commerciali che dovevano coinvolgere oltre agli abitanti del comprensorio Vivara-Procida, le marinerie eoliane e i naviganti egeo-micenee4.



Fig. 2, da
Massimiliano Marazzi, Carla Pepe, Vivara e il Mediterraneo: dai Sistemi di Computo
alle prime manifestazioni scrittorie
,
in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale
Archeologia, Belle Arti E Paesaggio, IX, 2018/2-3, p. 8 fig. 3, ecco il link:
(https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2019/07/2018_23_Marazzi_Pepe.pdf).

Vivara, isola separata da Procida, forse non esisteva, o c’era il sistema Vivara-Santa Margherita come cratere ancora non congiunto a Procida o tutto era unito con Procida, passando sul ponte, fig.3, si nota chiaramente che il mare è bassissimo, ed è da supporre che quindici secoli fa questo tratto di mare forse non esisteva.

 


Fig.3, da  Antonio Cangiano «NAPOLI. Vivara, spuntano nuovi reperti archeologici d’età Micenea»,
in Archeomedia [Fonte:
il mattino.it, 26 set 2017] ecco il link: 
(https://www.archeomedia.net/napoli-vivara-spuntano-nuovi-reperti-archeologici-deta-micenea/)


Fig. 4, ricostruzione virtuale tridimensionale del comprensorio vivarese dell’età del bronzo: il villaggio alla punta d’Alaca, elaborazione di A. Tilia, S. Tilia, A. Heil, da Massimiliano Marazzi, Carla Pepe, Vivara e il Mediterraneo: dai Sistemi di Computo alle prime manifestazioni scrittorie, in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio IX, 2018/2-3, p. 9 fig. 4, ecco il link:
(https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2019/07/2018_2-3_Marazzi_Pepe.pdf).

Il golfo di Genito con le spiagge che contornavano il versante occidentale e settentrionale dell'isola ha delle presenze archeologiche importanti. Il bacino era costituito dall'originario cratere vulcanico fra l'isolotto di Vivara e il promontorio di S. Margherita di Procida ed era un porto naturale che offriva ben tre diverse possibilità di approdo a seconda dei venti e due vaste aree per l'alaggio dei navigli. Le indagini subacquee5 hanno individuato l'originario assetto dell'area interna al cratere di Vivara: una vasta spiaggia, oggi sommersa fra i 3 e i 14 metri sotto il livello del mare, un sistema di scale intagliate sui versanti, in parte visibili ancora oggi sia in superficie sia al di sotto dell'odierno livello del mare che collegavano il pianoro sommitale di Vivara con le aree dell'antico porto-approdo. Nell'età del Bronzo il comprensorio di Procida-Vivara emergeva per più di 14 metri rispetto a oggi, e le due isole erano tutt’uno. La sua posizione è stata sempre strategica in quanto essendo a guardia della costa sud-orientale dell'isola d'Ischia e di tutto il comprensorio di Cuma e di Pozzuoli permetteva di intercettare l'arrivo di qualsiasi naviglio proveniente dal Tirreno meridionale che da Punta Campanella si sarebbe diretto verso il golfo di Napoli. Si tratta di un’ipotesi in funzione del fatto che in epoche successive, come durante l'occupazione napoleonica, sulle terrazze naturali situate agli estremi nord e sud dell'isolotto furono installate batterie di cannoni e fortificazioni a difesa del passaggio attraverso il Canale di Procida e quello di Ischia.

Gli scavi sono i più vicini a Ischia: reperti sono stati trovati verso punta d'Alaca a occidente dell’isolotto. La maggior parte dei frammenti rinvenuti è riconducibile a vasi di medie e piccole dimensioni attribuibili a forme chiuse, non sempre definibili con esattezza sotto il profilo tipologico, fig. 5., l’argilla è ben depurata e di colore variabile, le superfici presentano generalmente un’ingubbiatura lustra con tracce di decorazione in pittura brillante o semilustra di densità variabile e di colore dal marrone-nero al rosso. I motivi decorativi sono vari: lineari a bande parallele e orizzontali, ad andamento curvo interpretabili come parti a spirale, motivi decorativi   floreali (edera, croco, steli multipli), a racchetta, a doppia ascia, a linee sinuose e a cerchietti e puntini6.

Le principali forme chiuse sono riconducibili alle brocche, giare, alabastra, askòi, quelle aperte maggiormente attestate sono la tazzetta emisferica e di tipo Vaphiò e il calice o goblet: vi è la presenza di un solo frammento di piccole dimensioni riconducibile a un rhytón. Lo studio delle forme e dei motivi decorativi è stato messo in relazione con i risultati ottenuti dalle analisi chimico-fisiche eseguite da R. Jones7 che hanno permesso di identificare le  aree di provenienza dei reperti trovati a Vivara e sono quelle del Peloponneso nord-orientale e meridionale.

 


Fig. 5, esempi Di Ceramiche Egeo-Micenee da Vivara:  da F. Bertino, M. Marazzi,
in AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli
Ultimi Anni
, in Bollettino di Archeologia on line Direzione  Generale Archeologia,

                     Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 31 fig. 26:

a. Inv. 78E/52, frammento di spalla e attacco del collo di alabastron di piccole dimensioni (FS 83) con motivo decorativo a “steli multipli” (FM 19);
b. Inv. 80E/155bis, frammento di parete di vaso chiuso di medie dimensioni con decorazione dipinta probabilmente a “doppia ascia” (FM 35);
c. Inv. 81E/203, frammento di parte superiore di parete di vaso chiuso di medio-grandi dimensioni, con motivo decorativo a “edera/sacral ivy” (FM 12);

d. Inv. 87E/153, rammento di parte superiore di brocchetta schiacciata (FS 87), con motivo decorativo spiraliforme (FM 46);

e. Inv. 94E/60, frammento di parete di brocchetta schiacciata (FS 87) di medie dimensioni di fattura

molto raffinata, con motivo decorativo spiraliforme (FM 47);
f. Inv. 94E/80, frammento di giara di grandi dimensioni (FS 30), con motivo decorativo a fasce;
g. Inv. 2019E/2, base di tazzetta (FS 221);
h. Inv. 2019E/8, frammento di parete di vaso di forma chiusa, con decorazione geometrica

link: (https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/numeri-1-4-2020-anno-xi/).

L’insieme dei reperti archeologici ritrovati a Vivara consente di affermare che micenei e indigeni convivevano pacificamente, condividendo dinamicamente un surplus culturale come risultato di processi di scambio di tecniche artigianali che sono documentate da una gran quantità di ceramiche importate finemente lavorate e dipinte di uso domestico. Fra i reperti di lavorazione raffinata, provenienti dai livelli dell’abitato di Punta d’Alaca, particolare rilevanza assume l’askós, inv7. 77E/29: fig. 6 e fig. 7.

 


Fig. 6, askós con decorazione a croco, foto: Archivio Missione Vivara;
disegno e ricostruzione grafica del  motivo decorativo, A. Lisandri, 1982, e T. De Stefano, 2018:
dati bibliografici citati in fig. 27 p. 32, il link dell’opera cit.  è in nota 6.

 


 Fig. 7, askós con decorazione a croco della fig.6, ma ripresa nel laboratorio citato, studio di Massimiliano Marazzi, come si può vedere le decorazioni si vedono un po’ meglio, da Collezione Donatella Pandolfi.

La sua importanza risiede non solo nel fatto che si è conservato quasi per intero e di mostrare con chiarezza gli elementi pittorici che ne caratterizzano la decorazione, ma anche per il dato cronologico che esso offre. L’askós in questione presenta sulla spalla chiare porzioni del motivo decorativo a croco impostato su due bande parallele che corrono lungo la circonferenza del vaso nel punto più largo, un’ulteriore banda orizzontale si svolge alla base. Questo tipo di decorazione, associata alla forma, ha permesso di datare il reperto a una fase avanzata del TE II A, con un’attribuzione cronologica che rappresenta il riferimento più antico per la datazione dell’abitato presente in questa parte di Vivara. Le analisi gas-cromatografiche condotte su questo askós hanno rivelato che esso conteneva olio con estratti vegetali, probabilmente un profumo o un olio balsamico8.

I reperti più antichi provenienti dall’area della Punta d’Alaca, fig. 8, appartengono, o a livelli di accumulo, antico e moderno, e quindi sono riconducibili ad abitazioni originariamente poste nell’area dell’abitato collocato più a monte, oppure ai livelli che caratterizzano i diversi strati di riempimento della cd. Fossa α, la cui genesi è anteriore all’impianto dell’abitato in questa zona.

 


Fig. 8, planimetria della punta d’Alaca con quadrettatura generale e localizzazione delle diverse trincee aperte fra il 1976 e il 2000: in evidenza le tracce dei diversi battuti di capanna individuati a differenti livelli dell’originario andamento del versante occidentale dell’isola (a-d) e le posizioni delle planimetrie parziali o intere delle capanne 1-3, in AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli
Ultimi Anni
, in Bollettino di Archeologia on line Direzione  Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4,  p.6 fig, 1.

Per la Capanna 2, fig. 9 e 10, con l’apertura delle prime trincee (A e B, negli anni 1976-77) è stato possibile non solo individuare una serie di battuti pavimentali di capanne collocate su terrazzamenti artificiali, ricavati negli strati di tufi superficiali che caratterizzano questo versante dell’isola, ma anche di determinare la sequenza stratigrafica nella quale si trovavano inseriti.

Successivamente, tra il 1981 e 1982, nelle trincee G e GI, fig. 9 e 10, venne notato un allineamento di grossi massi associati a frammenti ceramici e lembi di battuto, elementi, questi, che facevano supporre di aver intercettato parte di una struttura abitativa.

Per chiarire al meglio la situazione che si era evidenziata, con la ripresa degli scavi nel 1987, venne aperta un’ulteriore trincea denominata J, la nuova trincea presentava le stesse caratteristiche stratigrafiche riscontrate in tutta l’area precedentemente indagata. Infatti, al di sotto del sigillo eruttivo, vi era un consistente strato di “accumulo antico”, ricco di materiali ceramici sia d’importazione che d’impasto, il quale copriva un sottile strato ricco di sedimenti scuri al cui interno vi erano scarsi frammenti ceramici e una cospicua quantità di “intonaco” bruciato misto a carboni. Rimosso questo strato, venne intercettato un ulteriore strato il cui sedimento assumeva un colore grigio-rossastro, poco coerente, quasi privo di pietrame, ma ricco di ceneri e con una notevole presenza di concotti riferibili a originari intonaci parietali, e una ingente massa di frammenti riferibili a piastre di tufo lamellare miste a resti di legno combusto, riferibili a una possibile struttura di copertura a tegole9.

È da segnalare anche il ritrovamento di alcune “tegole” con decorazione dipinta con motivi romboidali e di una “tavoletta” iscritta in osso10. Importante è considerare che sono stati rilevati diversi battuti pavimentali, attribuibili almeno a 6 abitazioni diverse, che sono stati identificati durante le complesse operazioni di scavo stratigrafico, due delle quali, le cd. Capanne 1 e 2 (con l’annesso circolare che fungeva da deposito/magazzino, convenzionalmente indicato come Fossa β), si sono conservate quasi interamente11.


 

Fig. 9, planimetria georeferenziata dell’area principale di scavo alla punta d’Alaca con evidenza delle trincee, dei quadrati (m 1x1) e dei limiti delle pareti (elab. grafica di S. Tilia, stato al 2019) p.13 fig. 6, link in nota 6.  



 Fig. 10, Punta D’Alaca, area ovest dello scavo principale, visione ortofotogrammetrica della Capanna 2,  Fossa α e Fossa β, stato alla fine della campagna 2019, base ortofotogrammetrica georeferenziata elab. di S. Tilia  in AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino di Archeologia on line Direzione  Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 37 fig. 33.

La struttura semicircolare, Capanna 2, fig. 11, è stata interpretata come “forno” utilizzato per la cottura delle ceramiche, il quale presenta i resti dell’originario alzato in concotto e un piano in tufo battuto calcinato, ricoperto da uno strato di terreno misto a ceneri .

 


Fig, 11, “forno” per ceramiche, campagne di scavo 2018-2019, in  AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 19 fig. 12, A                 

Osservando questo settore si è potuto notare che il forno semicircolare, insieme all’accumulo dei vasi sopracitati, era posto all’interno di una sorta di annesso semicircolare, posto a una quota più alta di almeno cm 20 rispetto al battuto capannicolo Quest’area è stata identificata come una zona adibita alla produzione del vasellame, questo viene suggerito non solo dalla presenza del “forno” rappresentato dai resti della sua originaria struttura in concotto, ma dal ritrovamento, nelle sue immediate vicinanze, di materiali riconducibili a scarti, fig.12, di produzione ceramica (inv. 2017C/5) e di una probabile scoria di lavorazione (inv. 2018C/1; fig. 14).

 

Fig. 12, da op. cit. nota 6: fig. 14 p. 21:
A, scarti di produzione ceramica, inv. 2017C/5;
B probabile scoria di lavorazione; inv. 2018C/1.

 

Eccezionale è stato il ritrovamento di una brocca, fig. 13,  con decorazione a “barbotine”, le cui analisi gascromatografiche hanno permesso di rilevare tracce di originarie essenze vegetali, forse utilizzate per aromatizzare il latte12.


       Fig. 13, brocca, uguale a fig.14, da op.cit. nota 6, foto n. 19, p. 25.

Proviene dal livello del battuto pavimentale della capanna 2, scavi 1987,
ricomposto è conservato nei laboratori della Terra Murata di Procida.



Fig. 14, brocca, quella della fig. 13, si nota quale è stata la funzione d’uso, Collezione Donatella Pandolfi.

La giara cananea, fig.15, a Punta d’Alaca, conservata quasi per il 50%, è stata trovata nell’area dell’annesso circolare della Capanna 2 la quale ha avuto una funzione di magazzino, fossa β (s.v. fig. 10). Le analisi gascromatografiche relative ai residui organici hanno rilevato la presenza di olio vegetale e vino aromatizzato con erbe. Sono Residui associabili a una varietà di erbe che potrebbero essere state usate per aromatizzare latte o derivati.



Fig.15, giara cananea, ricomposizione virtuale sulla base del modello eseguito con scanzione a luce strutturata, Bollettino di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio online, IX, 2018, 2-3, foto n.12, p.  14,
ecco il link; https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2019/07/2018_2-3_Marazzi_Pepe.pdf 

Per i grandi contenitori si presentano alcune foto che mostrano le loro dimensioni in relazione con la figura di Massimiliano Marazzi, fig. 16 e 17.

 



Fig. 16, giara, Collezione Donatella Pandolfi.

 


Fig.17, Collezione Donatella Marazzi

Importanti sono i contenitori non torniti, fig. 18.

In fig. 18 si vede un grande pithos con l’ottimo restauro che è stato eseguito.


Fig. 18, grande pithos con superfice lucidata per la conservazione di derrate alimentari di fattura
locale,  dagli arredi della Capanna 1, Punta d’Alaca, da Bollettino di Archeologia, Belle Arti
e Paesaggio online, IX, 2018, 2-3, foto n. 7 a, p.11, ecco il link:
https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2019/07/2018_2-3_Marazzi_Pepe.pdf 

Fra gli arredi della Capanna 1 è stato trovato un vaso biconico decorato con punti di cerchi concentrici, con la superficie lustra scura, interpretato come un contenitore di cibi o bevande pregiate, e forse non locale13.

 


Fig.19, da op. cit. nota 6 fig.17 p. 24, olla biconica a pareti fini, non tornita,

impasto buccheroide, superficie lucidata con decorazione puntinata formante serie
di cerchi concentrici, non fa parte della produzione locale ed è forse di provenienza iberica.


Fig.20, olla della fig.19 che viene osservata da Massimiliano Marazzi, collezione Donatella Pandolfi

Molti di questi oggetti sono in argilla locale  e sono stati lavorati al tornio che è stato uno strumento importato dai micenei. Per le strutture abitative gli scavi hanno documentato che la copertura di alcune capanne presentano una tipologia egea, ma realizzata con tegole in tufo locale, probabilmente lavorate da artigiani del posto. Anche i metalli erano importati, come sappiamo in Campania non ci sono giacimenti metalliferi, ma sono stati fusi e modellati a Vivara e queste attività documentano che Vivara, all'epoca punta estrema di Procida, era protesa verso Ischia e fungeva obiettivamente anche da scalo marittimo, al riguardo con le indagini subacquee (op. cit. nota 5) sono state documentate delle strutture del porto di età prestorica attraverso il quale si svolgevano traffici marittimi con  scambi di beni e anche di tecniche. Non si può affermare che Vivara sia stata una colonia micenea, ma il suo territorio, limitato, almeno rispetto alle documentazioni archeologiche disponibili, nella tarda età del Bronzo era inserito nella rete dei contatti e degli scambi marittimi dell'Italia meridionale, ed è in questa fase che trovarono spazio commerciale nella rete dei traffici marittimi i naviganti e le genti dell’Egeo.

Come scalo marittimo è stato un sito obiettivamente strategico, ma intermedio tra le coste centro-tirreniche e i centri maggiori dell'età del Bronzo situati nelle isole Eolie, la Sicilia e lo stesso arcipelago flegreo che nell’insieme rappresentarono i punti d’appoggio per l’inizio della frequentazione dei micenei in Italia. I ritrovamenti archeologici dei tre punti di scavo che sono stati citati sono importanti in quanto possono essere riferiti a momenti diversi dell'età del Bronzo per il fatto che le ceramiche micenee hanno una datazione certa che si ricava da ceramiche simili reperite nei siti egei, insieme ai manufatti locali. Al riguardo gli studiosi hanno stabilito una cronologia non solo delle fasi dell'insediamento di Vivara, ma anche di altri siti, attraverso il confronto con materiali coevi trovati anche altrove in Italia. Per queste caratteristiche affini si è parlato addirittura di una koinè, cioè d'una cultura comune marinara e, al riguardo, gli studi sono in corso.

Dal XIV secolo a.C. gli interessi dei micenei si spostarono in maniera preponderante verso la Puglia ionica e adriatica, e gli insediamenti di Vivara, che già s'erano concentrati in una porzione marginale dell'isola, almeno rispetto alle documentazioni archeologiche disponibili, e cioè nella parte settentrionale, dove gli archeologi hanno constatato una riduzione drastica di ceramiche micenee, obiettivamente muoiono definitivamente come popolamento, sempre, sia chiaro che è stato documentato documentato dall’archeologia. La storia di Vivara si conclude con l'evoluzione di nuove dinamiche con nuove esigenze e interessi, in seguito ai quali l'isolotto, ben difendibile solo da Punta d'Alaca, con una pianura ben circoscritta, e con le limitate risorse sia alimentari e sia boschive che cominciarono a scarseggiare, se non ad esaurirsi completamente dopo due secoli di sfruttamento, non sarà più abitato, diventando poi riserva di caccia fino al 1600.

 

CLIMA, FLORA E FAUNA

Gli archeologi Massimiliano Marazzi e Carla Pepe nella presentazione del terzo capitolo «Un’isola punto di incontro fra biologia e archeologia14» hanno presentato questa sintesi:

«Nell’area della Punta d’Alaca, laddove sono in corso le indagini archeologiche, sono ancora presenti gli originari frammenti boschivi, dominati dalla Quercus pubescens (Roverella) e dalla macchia mediterranea. Il sito si è presentato agli archeologi interamente sigillato da strati di ceneri, pomici e depositi che, per le loro caratteristiche sedimentologiche, sono interpretabili come il portato di eventi sismici ed eruttivi intercalati con fenomeni di cedimento degli strati superficiali composti di tufi incoerenti, veri e propri mud flow, che hanno coperto in diverse aree lo strato archeologico fino circa tre metri15».

Come si vede archeologia e aspetti naturalistici sono connessi e insieme fanno parte del paesaggio naturale sia in antico e sia attuale che in massima parte è stato formato, e tutt’ora lo è, dalla flora e dalla fauna. In questa seconda parte di quest’articolo si presentano alcune delineazioni delle evidenze naturali e paesaggistiche attuali anche perché quest’isolotto merita quest’attenzione combinata anche se viene descritta soltanto in parte.

 

CLIMA

Incominciamo dal clima che ha il suo grado d’importanza in quanto è mediterraneo e tale doveva essere anche in antico:

«Dal punto di vista meteorologico Vivara, che si trova nell’ombra orografica dell’Epomeo, ex vulcano dell’isola d’Ischia, non presenta diversità notevoli anche rispetto a Procida. L’indice di piovosità è basso (745 mm. annui misurati a Procida), ma tuttavia è di poco superiore a quello di alcune località costiere dei Campi Flegrei .

Il clima è mite; la temperatura media invernale si mantiene sui 10°, quella estiva intorno ai 25°. L’umidità relativa è piuttosto alta durante tutto l'anno, tanto da doversi ritenere eccezionali i valori minimi registrati qualche volta di 40-50%, e normale invece con punte massime d’intensità e di costanza nel trimestre giugno-agosto i valori del 90-95%, e anche del 100%.

I venti colpiscono Vivara con notevole violenza da tutte le direzioni, con una certa attenuazione nel settore di sud-ovest per il riparo che offre all'isoletta la mole del monte Epomeo (788 metri).

Le mareggiate più violente sono quelle che agitano il Golfo di Gènito con i venti di sud e di sud-ovest: le cime delle onde allora scavalcano le testate del ponte, e questo rimane praticamente inattraversabile.

In generale si può affermare che il clima dell’isola di Vivara rispecchia nei suoi aspetti quello di tipo mediterraneo, caratterizzato da aridità estiva, piogge concentrate in autunno-inverno e in pochi temporali con precipitazioni torrenziali, mitezza delle temperature invernali. Pur tuttavia, nel complesso il clima risulta meno caldo e secco di quanto ci si potrebbe attendere.

Tali condizioni climatiche favoriscono lo sviluppo di una vegetazione caratterizzata da piante sempreverdi, con foglie coriacee ed epidermide resistente e impermeabile (leccio, mirto, corbezzolo), di piante con foglie ridotte (ginestra, erica) e di piante annuali»16.

 

FLORA

Vivara è considerata un po’ il cuore del Mediterraneo e al riguardo basta osservare la flora che viene descritta dall’APS:

 «La vegetazione, figg. 21 e 22, è caratterizzata da piante sempre verdi” e, malgrado l’azione antropica subita nel corso dei secoli, offre alcune tracce dell’originario paesaggio botanico. Il visitatore, che accede sull’isolotto dal ponte che ve lo conduce da Procida, può osservare tutta la verdeggiante parete orientale dell’isolotto, fig.23, allo stato di quasi vergine e la macchia mediterranea [sul tratto nord-orientale, fig. 31 dal mare si può vedere una parte delle foresta mediterranea] in una fantasmagorica variazione delle tonalità del verde: da quello pallido e grigiastro delle euforbie (Euphòrbia dendròides), a quello più cupo dei pochi lecci (Quercus ilex), e a quello vivissimo e denso dei corbezzoli (Àrbutus ùnedo), fig.24, frammisti ai caprifogli (Lonìcera impléxa); misto in primavera, al ravvivante giallo delle ginestre (Spàrtium jùnceum) in fiore, fig. 25, e al bianco-roseo della fioritura dei cisti (Cistus Monspeliènsis, Cistus salvifòlius, Cistus incànus). La macchia è un complesso di boscaglie litoranee sempreverdi proprie di tutta la regione mediterranea, in particolare delle coste e delle isole, caratterizzate da una fisionomia molto uniforme e in gran parte costituite appunto da leccio, mirto (Myrtus commùnis), lentisco (Pistàcia lentìscus), corbezzolo, per citarne alcuni17.

 

Fig. 21


 Fig. 22

 

Fig. 23

 

Fig. 24

 

Fig. 25

 

« Le analisi archeobotaniche hanno evidenziato diverse specie di Triticum identificando un gran numero di cariossidi relative alle specie monococcum (farro piccolo), dicoccum (farro) e Hordeum vulgare (orzo). Tutto ciò conferma come il farro e l’orzo, elementi base della produzione cerealicola, dovessero indubbiamente costituire una parte essenziale della dieta alimentare. Inoltre, sono stati identificati legumi quali fave e piselli19».

 

FAUNA

Le indagini arche-zoologiche sui resti di macro-mammiferi attestano la presenza di forme domestiche, come suini (taxon prevalente), capro vini e bovini, e di un’unica specie selvatica: il cinghiale (fig. 11)20. Tra i resti di mammiferi domestici sono stati identificati anche elementi ossei di un cane. I dati itti archeologici indicano il consumo di specie prevalentemente costiere (piccoli pesci di scoglio, marmoree, razze, saraghi e orate, unici esemplari di grandi dimensioni), non c’è evidenza di pelagici20 . Ricordiamo che Vivara è posta in una posizione topografica strategica, in quanto domina un tratto di costa (quella di Ciraccio) adatta all’intercettazione dei branchi di tonni, che giungono, provenienti dalle isole Eolie, lungo le coste procidane. I tonni percorrono le stesse rotte fin dalla preistoria, nuotano compatti in branchi lungo-costa, e hanno sempre rappresentato una facile preda e un prodotto proteico essenziale per l’alimentazione21.

 

Il quadro della fauna dell’APS sul suo sito è fondamentale e lo si presenta integralmente:

«Pur con le sue ristrettissime dimensioni Vivara ci fornisce elenchi di diverse specie d’invertebrati e vertebrati, terrestri e marini.

 

ANFIBI sono del tutto assenti, anche perché sull'isola non esistono sorgenti.

 

MAMMIFERI si riducono in pratica al solo coniglio selvatico (Oryctòlagus cunìculus) fig. 26, immesso nell'isola a scopo di caccia dal re di Napoli Carlo III di Borbone circa due secoli fa , due o tre specie di topolini (Apodèmus sylvàticus e Mus mùsculus domèsticus), e ad una delle sottospecie di topo, di dimensioni minori: la varietà «alessandrina» (Rattus rattus alexandrìnus), assuefatta oramai totalmente a una vita boschereccia con alimentazione quasi esclusivamente vegetale.

 

Fig. 26 coniglio selvatico da sito APS

RETTLI  per questa specie, fig. 27, non esiste un particolare fenomeno di predazione da parte di rapaci notturni o diurni. Benché libero da predatori, il coniglio selvatico si mantiene in un quantitativo di individui che, pur non rendendolo raro, non ne fa certo risentire l'influenza come rovinosa per la vegetazione. Le caratteristiche morfologiche ed etologiche di entrambe le specie di mammiferi, inducono a pensare di trovarsi di fronte a casi di “nanismo insulare”, giustificati soprattutto da fattori come la consanguineità e la difficoltà nel procacciarsi il cibo.


Stagionalmente appaiono su Vivara specie diverse di pipistrelli (Myòtis myòtis, Rinolophus ferrumequìnum, Rinolophus euryale, Vespertìlio seròtinus, Pipistrèllus Khuli) sui quali rimane ancora molto da studiare. L'isola è quindi, come per gli uccelli, una stazione nei viaggi migratori di alcune delle specie di mammiferi volanti italiani.

Se dai mammiferi volgiamo lo sguardo ai rettili, anche ristrettissima è la varietà delle specie che si presentano alla nostra attenzione. La lucertola (Podàrcis sìcula sìcula) è abbondantissima in tutta la gamma delle colorazioni, maculata e no, con verde e senza verde con cui si presenta in tutta la zona flegrea insulare e continentale. Non rara è un'unica specie di serpente, il biacco (Hierophis viridìflavus): assolutamente innocuo, (poco più di un metro di lunghezza), di colorazione, nelle parti superiori, bruno-olivastra nei giovani e nera negli adulti. Presente in alcune centinaia di esemplari, il biacco è osservabile durante la stagione degli amori, tra aprile e luglio. Tra i ruderi e sulle pareti dei pochi edifici può vedersi, specialmente la sera, qualche esemplare di geco comune o tarantola (Tarantola mauritànica), diffusa in quasi tutte le isole e le coste della nostra penisola, e anch'essa assolutamente innocua. La specie è, a Vivara, meno comune che a Procida.


Fig. 27 lucertola da sito APS

 

UCCELLI  se consideriamo gli uccelli, data l’esiguità del territorio dell’isola di Vivara e la brevità della sua distanza da Ischia, e tramite Procida, dalla costa flegrea, si può parlare di un’avifauna di Vivara soltanto nel senso di “avifauna insulare e continentale della zona flegrea”. Qualunque specie ornitica reperita in tale zona, osservata o non osservata sulla piccola isola, deve infatti sempre ritenersi come reperibile su di essa, eccezion fatta per gli uccelli strettamente acquatici che, frequenti nei laghetti flegrei, potrebbero ritenersi praticamente estranei all’avifauna di Vivara per l’assoluta mancanza d’acqua sull’isola. Si considerano pertanto come “presumibilmente” presenti tutte le specie che risultano osservate nelle vicine coste flegree ed isole maggiori. Si può quindi affermare che a Vivara esistono alcune specie «stanziali», (possono trovarsi durante tutto l'anno); mentre altre sono «invernali» (da ottobre a marzo), pochissime sono «estive» (da aprile a settembre), e la maggioranza sono «di passo» (autunnale, settembre-ottobre-novembre, o primaverile, marzo-aprile-maggio, o di entrambi). Delle specie stanziali solo alcune vi dimorano realmente tutto l'anno anche nella maggioranza dei loro individui.

 

Per le specie stanziali, tra i passeriformi: 1) il passero (Passer Itàliae), fig. 28, e il passero mattugio (Passer montànus) o “mattugina”, 2) il fringuello (Fringilla coèlebs), 3) il merlo (Turdus mèrula), 4) la capinera (Sylvia atricapìlla), 5) 1'occhioccotto (Sylvia melanocèphala),  6) la sterpazzolina (Sylvia contìllans), 7) lo scricciolo (Troglodýtes troglodýtes), 8) la cinciallegra (Parus maior) e 9) il passero solitario (Montìcola solitària).

 


Fig. 28, Passero Italiano, da sito APS


Tra i non passeriformi sono «stanziali» nel senso suddetto: 1) il gabbiano reale (Larus michahellis) fig. 29. A punta d'Alaca, sul versante occidentale di Vivara, dimora stabilmente una colonia di circa trecento gabbiani reali, in prevalenza giovani, che spesso si levano in volo tutti insieme, coprendo la piccola isola di una nuvola di vita e di bellezza; 2) l'assiolo (Otus scopus), 3) il barbagianni (Tyto alba).

 


Fig. 29, Gabbiano Reale, da sito APS

Altre specie di uccelli «stanziali», pur potendosi trovare in qualsiasi stagione nell'isola, capita che in qualche anno, per la ristrettezza del luogo, non siano rappresentate nella primavera inoltrata da nessun individuo, in quanto nessuna coppia è rimasta a nidificarvi. Tali sono in particolare: 1) il cardellino (Carduèlis carduèlis), 2) il verdone (Carduelis chloris), 3) il verzellino (Serìnus serinus).

Anche per le specie «invernali», bisogna distinguere le specie normalmente svernanti e quelle occasionali.

Tra i passeriformi le specie normalmente svernanti sono: 1) il pettirosso (Erìthacus rubècula), 2) il tordo bottaccio (Turdus philomelos), 3) lo spazzacamino (Phoenicùrus ochruros), detto anche «codirosso spazzacamino», 4) l'accèntore (Prunèlla modulàris) o «passera scopaiola», 5) il fiorrancino (Règulus ignicapìllus), 6) il regolo (Règulus règulus), e 7) il luì piccolo (Phyllòscopus collybita).

  
Tra le specie normalmente svernanti, tra i non passeriformi, vi è il solo gabbiano comune (Larus ridibùndus).
Delle specie occasionali durante l'inverno diremo a proposito di quelle tipiche del passo autunnale: sono infatti la maggioranza di queste che spesso si ripresentano poi nel corso dell'inverno con individui erratici oltre che a Vivara anche nelle zone limitrofe.


Tra le specie definibili «estive», cioè che nidificano a Vivara pur non essendovi stanziali, ci sarebbe solo il gheppio (Falco tinnùnculus) o falchetto comune, sulla cui nidificazione a Vivara resta però da discutere.

Il grosso, dunque, degli uccelli reperibili a Vivara è in pratica rappresentato dagli uccelli di passo. Queste specie sarebbero poi da distinguere in tre categorie: quelle tipiche cioè del passo autunnale, quelle tipiche del ripasso primaverile, e quelle che oltre che al passo compaiono anche sporadicamente durante l'inverno; è chiaro che la maggioranza di tutte queste specie, sono reperibili sia al passo autunnale che al ripasso primaverile.

Tra i passeriformi possiamo considerare come specie tipiche del passo autunnale, e quasi tutte con sporadiche ricomparse durante l'inverno e al ripasso:

1) il lucherino (Carduèlis spinus),

2) più raro, il tordo sassello (Turdus mùsicus),

3) il fanello (Carduèlis cannabina);

4) il frosone (Coccothràustes coccothràustes),

5) lo storno (Sturnus vulgàris) in branchetti;

6) il saltimpalo (Saxìcola torquàta);

7) la ballerina (Motacìlla alba);

8) la strisciaiola (Motacilla cinèrea) o «ballerina gialla»; e, raramente in ottobre;

9) qualche allodola (Alàuda arvènsis), e

10) qualche tottavilla (Pùllula arbòrea);

11) qualche calandrella (Calandrèlla cinèrea); e, di nuovo tra gli alberi;

12) lo zigolo (Emberìza cirlus); e, rarissima, la cinciarella (Parus caerùleus), molto strana per questa sua rarità a Vivara, data la frequenza con cui la si può vedere in tutta la zona flegrea.

  

Non passeriformi tipici del passo autunnale e delle sporadiche ricomparse invernali possono considerarsi: 1) il colombaccio (Colòmba palùmbus), che in qualche anno è stato presente per tutto l'inverno; 2) il martin pescatore (Alcèdo atthis), avvistato anche d'estate, e 3) la beccaccia (Scòlopax rustìcola).


Al largo poi della costa in settembre vola spesso sul mare in branchetti la berta maggiore (Procellària diomedea).

Tipici del ripasso primaverile culminante in aprile sono tutto il folto gruppo dei più splendidi e ravvivanti uccelli che contribuiscono più di tutti a rendere Vivara bella e interessante dal punto di vista ornitologico.

Tra i passeriformi appartengono a questo gruppo: 1) l’usignolo (Luscìnia magarhìncha), 2) il rigogolo (Orìolus orìolus), 3) il codirossone (Monticòla saxìcola), 4) il codirosso (Phoenicùrus phoenicùrus), 5) il culbianco (Oenànthe oenànthe); 6) la monachella (Oenànthe Hispànica), 7) lo stiaccino (Saxìcola rubètra), 8) l'averla capirossa (Lanius senàtor), 9) la cutrettola (Motacìlla flava), 10) la pispola (Anthus pratènsis), 11) il prispolone (Anthus triviàlis); 12) il raro calandro maggiore (Anthus Richàrdi), 13) il beccafico (Sylvia simplex); 14) la bigiarella (Sylvia corrùca); 15) il pigliamosche (Muscicapa striàta); 16) la sterpazzola (Sylvia commùnis), 17) la balia nera (Ficedula hypolèuca), 18) la balia dal collare (Ficedula albicollis), 19) il Canapino (Hippolais poliglotta); 20) il Canapino maggiore (Hippolais icterina); 21 il luì grosso (Phyllòscopus tròchilus); e 22 il luì verde (Phyllòscopus  sibilàtrix). Raramente si sono aggiunti a questo consueto gruppo di Passeriformi primaverili di Vivara, l'Ortolano (Emberiza hortulana), la Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il Forapaglie (Acrocephalus schoenobaenus), l'Usignolo di fiume (Cettia cetti), il luì bianco (Phyllòscopus Bonèlli) e il Pettazzurro (Luscinia svecica).


Tra i non Passeriformi sono transitori ospiti normali dell'aprile-maggio vivarese; 1) il Succiacapre (Caprimulgus europaeus); 2) la Ghiandaia marina (Coracius garrulus), 3) il Gruccione (Merops apiaster), detto localmente “Acquarulo”, 4 ) l'Upupa (Upupa epops), 5) il Cuculo (Cuculus canorus), 6) il Torcicollo (Iynx torquilla) (non raro anche d'inverno), 7) la Quaglia (Coturnix coturnix), 8) la Tortora (Streptopelia turtur), 9) l'Airone cenerino (Ardea cinerea) e infine, rari, l'Airone rosso (Ardea purpurea), il Tarabuso (Botaurus stellaris), il Gufo di palude (Asio flammens), e l'Allocco (Strix aluco).


Sul finire di maggio, e poi di nuovo in agosto «passano», trattenendosi brevemente lungo le coste dell'isola, le varie specie anch'esse dell'ordine dei Gabbiani, confuse generalmente come «Rondini di mare» Sterna comune Sterna hirundo,  Beccapesci – Sterna sandivicensis ecc.) spiccatamente più piccole e agili dei veri Gabbiani, e meravigliose per la loro resistenza al volo e la lunghezza dei loro percorsi migratori, protratti spesso da un circolo polare all'altro.


Si mantengono invece di frequenza in pratica equivalente nel passo autunnale e nel ripasso primaverile, tra i Passeriformi, le cinque specie di «rondini»: Rondine (Hirundo rustica),  Balestruccio (Delichun urbica), Topino (Riparia riparia); e, tra i non passeriformi, le tre specie di Rondoni: Rondone (Apus apus), Rondone maggiore (Apus melba), Rondone pallido (Apus pallidus); le specie di Falconiformi: Gheppio (Falco tinnunculus), Smeriglio (Falco columbarius), Lodolaio (Falco subbuteo), Falco cuculo (Falco vespertinus), Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), Nibbio bruno (Milvus milvus), Nibbio reale (Milvus migrans), Poiana (Buteo buteo).


Del tutto fuori d’ogni rapporto stagionale sono le rare comparse nei cieli dell'isola del Corvo imperiale (Corvus corax); e la Gavina (Larus canus). L’interesse enormemente maggiore che l’isoletta di Vivara presenta per il passo primaverile rispetto a quello autunnale deriva chiaramente dal fatto che l’ambiente da essa offerto a molte specie migranti che vi si possono trovare non è affatto quello idoneo per tali uccelli. Di questo fatto, constatabile soprattutto per i Ralliformi (Porciglione – Rallus aquaticus, Voltolino – Porzana porzana, ecc) e i Caradriformi (Corriere – Charadrius hiaticula, Piviere dorato – Charadrius apicarius, Piviere tortolino – C. morinellus, Chiurlo – Numenius arcuata, ecc), con eccezione della sola Beccaccia, cui è consona la boscaglia di Vivara, può darsi come esempio tipico la Quaglia, unico Galliforme reperibile nell’isola. Questa, infatti, del tutto estranea all’ambiente boschivo e selvoso di Vivara, è come detto immancabile, e in alcuni anni addirittura abbondante sull’isola dal 20 aprile al 20 maggio, quando vi giunge all’alba dal mare; mentre è ben difficilmente reperibile nel passo autunnale, quando intraprende il suo volo migratorio dai campi e dalle brughiere del vicinissimo continente in cui abitualmente vive»22.

     

CONCLUSIONI

Grazie alle nuove tecnologie di rilevazione e modellizzazione tridimensionale è stato possibile acquisire in 3D sia le tracce delle strutture capannicole presenti a Punta d’Alaca, fig. 30 e 31, sia quelle dei resti delle scalette, fig. 32, scavate nella roccia23, sommerse, che all’epoca collegavano l’antica baia/area portuale con l’abitato.


L’archeologia di Vivara, come ho cercato di evidenziare in quest’articolo, è particolarmente connessa con le evidenze naturalistiche di quest’isolotto. I reperti archeologici mobili sono esposti nel museo civico di Procida e le visite percorrendo i sentieri dal 27 maggio sono diventate regolari, la Riserva opera su Vivara per la tutela dell’isolotto, quest’attività istituzionale è importante per la fruizione di questa area archeologica e naturalistica ed è un riferimento anche per gli studiosi di archeologia.



Fig. 30, Fig. 30 dalla op. cit. nota 6, fig. 62 a p.71, complesso della capanna 2, fossa α
e fossa β della Punta D’Alaca, modello 3D con rappresentate le posizioni delle prese
fotografiche e i punti topografici di riferimento.


Fig. 31, dalla op. cit. nota 6, fig. 62 b p.71, complesso della capanna 2,

ortofotomosaicatura ottenuta da modello 3D creato con fotogrammetria digitale.

 

 


Fig. 32, dalla op.cit. nota 6 fig. 66 p. 81, procedure di rilevazione 3D subacquea della scala
intagliata nel tufo presente (ca. -12/-10 metri) nel Golfo di Genito e modello della stessa.

 

Si tenga conto dell’importanza naturalistica di quest’isolotto per quanto riguarda una parte che è ancora visibile dal mare di quanto rimane della foresta di lecci, fig. 33, nel tratto nord-orientale.

 

 

Fig. 33, foresta mediterranea nel tratto nord-orientale di Vivara, dal video, sito APS, ecco il link: (https://www.youtube.com/watch?v=tOVZKCQfH3c#t=23)

 

Anche se oggi soltanto in parte, sono visibili alcuni resti di opere che documentano la storia del popolamento di età moderna di Vivara, in fig. 34 la mappa24 dell’isolotto. Si descrivono alcuni punti25 ma non sono da considerarsi una guida in quanto sono soltanto un elenco:

1) la Casa del Caporale si trova alla fine della rampa di scale d'ingresso, in corrispondenza della punta Capitello ed è stata costruita forse alla fine del Settecento, come casotto d'ingresso con l'autorizzazione del Re Carlo III dal caporale della guardia del corpo che nel congedarsi da questo suo ufficio, chiese il favore al re di costruirsi questa casetta. La scala d'accesso fu realizzata in occasione della visita della Principessa Maria Josè (moglie di Re Umberto di Savoia) che desiderava passeggiare per Vivara, fu costruita (negli anni '30) l'attuale scala di accesso all'isolotto, che prima era un canalone;

2) i Resti Napoleonici che si trovano poco prima di terminare la salita d'ingresso dopo aver attraversato il pontile sulla sinistra vi è un bivio che indica l'inizio del sentiero orientale; terminata la scalinata si vede il lungo vialone del sentiero centrale, mentre sulla destra c'è una scalinata che porta a due costruzioni immerse in una fitta vegetazione e si tratta del Fortino, una delle costruzioni militari di Vivara;

3) Palmento con tetto a cupola;

4) la Casermetta nota anche come Cantinone, si trova continuando per il sentiero arrivando al cancello che delimita la zona degli impianti dell'acquedotto, quindi alla fine della gradonata, imboccando di nuovo il sentiero centrale sul lato sinistro, circondato dalla vegetazione, si trova un altro manufatto risalente al periodo tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, tale edificio, realizzato anch'esso, in concomitanza con i travagliati eventi bellici che vedono il Regno di Napoli prima conquistato dai Francesi e, successivamente, dai Borboni con l'ausilio della marina inglese, risulta privo di copertura e per quanto attiene la sua destinazione d'uso si presuppone che in origine avesse la funzione di casermetta e che, successivamente, sia stato utilizzato come magazzino agricolo.

5) Fabbricato dell’acquedotto;

6) la Vaccheria e il Pulpito, il sentiero conduce alla parte più alta dell'Isola, agli edifici superiori dove prima di arrivare al nucleo seicentesco, c'è una torre di avvistamento ed una vaccheria, realizzati a fine '700, in realtà, la torre, come è chiamata a Procida "pulpito" era utilizzata come appostamento per la caccia delle tortore, e come torre di avvistamento degli spostamenti marini mentre, la vaccheria era un tempo, un fortino di caccia;

7) Torre di avvistamento;

8) Villa anche nota come Casa Padronale si trova proseguendo e, passando sotto l'arco di ingresso, si può leggere sulla pietra di volta la data di costruzione, 1681, fu costruita dal Duca di Bovino Giovanni Guevara che la destinò a casino di caccia, dalle sue stanze si gode una vista incantevole sia (a sud) sulla bocca grande che separa le isole di Capri e Ischia sia a occidente sull'isola di Ischia e l'imponente monte Epomeo, antico vulcano. All'interno della villa ancora si possono ammirare eleganti manufatti come l'altare della cappella con maioliche azzurre seicentesche purtroppo Il vandalismo degli ultimi anni ha compromesso e asportato gran parte delle piastrelle settecentesche in ceramica della cappella, delle vasche di raccolta del frantoio, la superficie del piano nobile compreso degli spazi esterni è di 430 mq., Nel XIX secolo, il complesso fu adibito ad azienda agricola, ne sono testimonianza i locali che si trovano al piano terra, come il locale che ospita il frantoio, la cantina per metà scavata nella roccia, le vasche maiolicate che contenevano olio d'oliva e tutti gli attrezzi per la produzione olearia e vinicola;

9) Complesso archeologico: Punta D’Alaca;

10) Moletto a gradini;

11) Pozzo e cisterna, sono della Casa Colonica che si trova difronte alla villa padronale, al piano terra si trova un tipico "cucinone" rustico con un camino-focolare, di rara bellezza, gli ambienti sono stati fino al 1993 la sede dell'Unione Trifoglio fondata dal Prof. Giorgio Punzo, i cui attivisti avevano allestito una sala convegno, una biblioteca, una collezione di conchiglie, di organismi diffusi nel bacino del Mediterraneo, oltre a sette acquari con organismi marini che vivono nell'attuale Parco Marino "Regno di Nettuno", locale è caratterizzato da un camino rurale di particolare interesse storico e architettonico, altre costruzioni del complesso insediativo coevo sono il forno, il pozzo dal quale si accingeva l'acqua dalla cisterna che è segnalata nella mappa;

12) Belvedere;

13) Stalla;

14), Tavola del Re in fondo al pianoro (a quanto pare Re Ferdinando IV, si dilettava a consumare le ostriche ed altri molluschi delle acque di Vivara) detta anche la Casa Girevole dell'architetto inglese Lamont Young (1851-1929) operante a Napoli a cavallo tra Ottocento e Novecento, nell'esame della forma, della maglia geometrica, e del rapporto con il paesaggio e il luogo, si rilevano caratteri peculiari e innovativi, e la qualità dell'opera, che, pur radicata nel pittoresco inglese, annuncia l'avvento di forme dell'architettura europea da collocarsi nella cultura delle avanguardie;

15) Area archeologica;

16) il Fortino napoleonico fu costruito dai soldati francesi napoleonici allo scopo di prevenire tentativi di sbarco dei legittimisti borbonici asserragliati a Ponza e Ventotene, in parte smantellati poi dagli inglesi, si compone essenzialmente di un piano delimitato da muri di contenimento con probabile funzione di bastione a forma circolare rivolto verso il mare e di altri due edifici. Il primo dei due edifici di cui sopra è realizzato con pietra cementata, coperto a botte, mentre il secondo è formato da due ambienti con volte a botte, varie feritoie a "baionetta" ed un tetto a capanna in pietra, ricoperto da vegetazione.

17) Banchina dell’acquedotto24.

 

Fig. 34, dal sito, versione precedente, della «Riserva Naturale Statale ISOLA di VIVARA25»

 

Con l’apertura al pubblico del 27 maggio 2023 quest’isolotto si posizionerà con più forza nella Rete delle relazioni commerciali tra i siti micenei del Mediterraneo anche perché con il museo di Procida sarà possibile analizzare i reperti archeologici mobili descritti nelle varie pubblicazioni citate in parte nell’apparato delle note. Quest’articolo è stato ideato in una fase alquanto incerta per l’apertura al pubblico, oggi, umilmente, può essere un contributo soprattutto per quei giovani che vogliono conoscere e approfondire l’archeologia di quest’isolotto, ma spesso non hanno gli strumenti bibliografici disponibili (anche se online ci sono opere scientifiche di rilievo) e non hanno risorse finanziarie adeguate per soggiorni sull’isola di Procida, ecco, io a loro ho costantemente pensato mentre analizzavo le fonti bibliografiche che sono peraltro complesse e non escludo anche di aver presentato qualche squilibrio e chiedo scusa, ma è noto l’archeologia attiva soprattutto  dinamiche  d’analisi e l’imperativo è:  la ricerca non si deve mai fermare.

 

Felice Di Maro    

 

 

* Si ringrazia Maurizio Parmiciano, Presidente Associazione Vivara “amici delle piccole isole” (APS), per la concessione della pubblicazione di alcune foto e di alcuni tratti di testi presenti sul sito, Donatella Pandolfi per la concessione a pubblicare alcune foto della sua Collezione e per avermi con liberalità partecipato alcune interpretazioni d’inquadramento dell’isolotto di Vivara quando quest’articolo era soltanto a livello di idea, Nicola Scotto Di Carlo, Direttore del Museo Civico di Procida, e, non per ultimo s’intende,  Pierluigi Montalbano per aver accolto e pubblicato quest’articolo.

L'isolotto di Vivara è presidiato dalla «Riserva Naturale Statale ISOLA di VIVARA» ed è uno dei siti più importanti per lo studio dei rapporti tra il mondo miceneo e le culture del Mediterraneo occidentale dell'età del bronzo. Gli scavi archeologici documentano oltre alle strutture abitative un corpus delle ceramiche egeo-micenee molto importante, mentre lo studio delle caratteristiche topografiche dell'insediamento e le ricerche subacquee dell'antico porto preistorico conservato sotto la superficie del mare hanno consentito di acquisire importanti documentazioni anche nel campo dei rilievi petrografici, bioarcheologici, archeometallurgici e tridimensionali che sono stati eseguiti con scanlaser, stereofotogrammetria e aerofotogrammetria.

 

Come è noto per un po’ di anni non è stato aperto al pubblico ma dal 27 maggio è visitabile con guide e con le seguenti tariffe:


Non Residenti: Intero € 10,00, Ridotto € 3 (minori fino a 12 anni);
Residenti a Procida: Intero: € 5, Ridotto € 3 (minori fino a 12 anni).

 

 

Note   

1 G. Buchner, Vita e dimora umana nelle isole flegree, dall'epoca preistorica ai tempi romani, Diss. Istituto di Paletnologia, Università degli Studi di Roma, 1938, p. 82.

2 Scavi Buchner, op.cit., alcuni stralci riguardanti Vivara sono stati pubblicati, con il consenso dell'autore in A. Gazzella et altri, Vivara. Centro commerciale mediterraneo dell'età del Bronzo, I: gli scavi dal 1976 al 1982, Bagatto, Roma1991, pp. 32- 39 (qui una bibliografia di tutte le pubblicazioni preliminari relative allo scavo edite dal 1976 al 1990 e una bibliografia di base sugli aspetti storici, geografici e geologici dell’isola); scavi Marazzi-Tusa: Marazzi  M., Tusa  S., Nuove testimonianze micenee dell’isola di Vivara, in «La parola del Passato», fase. CLXXI, Napoli, G. Macchiaroli Ed., 1976, Brevi notizie sulla ripresa delle ricerche archeologiche sull’isola di Vivara, con particolare riguardo ai risultati raggiunti durante la campagna dell’agosto 1976.

             3 Guida Napoli = Guida D'Italia - Napoli e dintorni Touring Club Italiano, Milano 2 luglio 2008 pp. 436.

4 Pepe Carla, Vivara - Storia ed Insediamenti Archeologici, ed. Nutrimenti, 2018, p.7 col.1.

5 Per un resoconto generale s.v. C. Moccheggiani Carpano, Archeologia subacquea a Procida-Vivara, Istituto “Suor Orsola Benincasa”, Napoli, 2001,

6 AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 31-32, ecco il link: (https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/numeri-1-4-2020-anno-xi/).

7 R. Jones in M. Marazzi, S. Tusa, (a cura di), Vivara. Centro Commerciale mediterraneo dell’età del Bronzo: le tracce dei contatti con il mondo egeo, scavi 1976-1982 vol. II, Roma 1994, pp. 303-315; Jones et al., Italo-Mycenaean Pottery: The Archaeological and Archaeometric Dimensions, Roma, 2014, pp. 200-343 [dati bibliografici ampliati presenti in nota n.33 p.32 di op.cit. in nota 6].

8 H. Martlew, Y. Tzedakis, M.K. Jones, Archaeology Meets Science: Biomolecular Investigations in Bronze Age Greece. The primary scientific evidence 1997-2003, Oxford 2008.

9 AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 36, il link in nota 6.

10 M. Marazzi, C. Pepe, “Vivara e il Mediterraneo: dai sistemi di computo alle prime manifestazioni scrittorie”, in Bollettino Direzione di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio online, IX, 2018, 2-3, pp.  19-34,  ecco il link: https://bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/wp-content/uploads/2019/07/2018_2-3_Marazzi_Pepe.pdf

11 AA.VV., Missione Archeologica Vivara Aspetti della Ricerca Scientifica degli Ultimi Anni, in Bollettino di Archeologia on Line Direzione Generale Archeologia, Belle Arti E Paesaggio XI, 2020/1-4, p. 1; si segnala che il cap. 2, La Capanna 2 Alla Punta D’Alaca: Studio Distribuzionale Delle Ceramiche Locali, pp. 11-34, è importante per l’archeologia di Vivara, quest’articolo non è stato possibile presentarlo con tutte le articolazioni e sono state fatte delle scelte in quanto l’obiettivo è stato di presentare possibilmente i reperti archeologici ritrovati a Vivara.

12 s.v. nota n.8.

13 I. Damiani, M. Pacciarelli, A.C. Saltini, Le facies archeologiche dell’isola di Vivara e alcuni problemi relativi al Protoappeninico B, in AIONArch 6, 2016, p.113, alcuni recenti confronti riporterebbero ad ambiente spagnolo (s.v. op.cit. nota 6, p.24 cit. in nota 22).

14 op, cit. nota 10, p. 9.

15 M. Marazzi, “Dai Micenei alla realtà virtuale”, in Archeo n. 382, dicembre 2016, pp. 58-66; s.v. nota 4 in op. cit. nota 14.

16 Fonte per questa seconda parte di quest’articolo è il sito Associazione “Vivara APS - amici delle piccole isole” ecco il link del clima: (https://www.vivara.it/il-clima.html).

17 Sito APS, link: (https://www.vivara.it/flora.html).

18 Sito APS, link: (https://www.vivara.it/fauna.html).

19 op.cit., s.v. nota 10, p. 13 nota 5: Le analisi archeobotaniche e archeozoologiche sono state condotte da una équipe di specialisti presso il Laboratorio di Scienze e Tecniche applicate all’Archeologia dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; sul lavoro svolto si veda quanto già illustrato (C. PEPE, Metodi di ricerca e formazione nella pratica laboratoriale archeologica. L’esperienza nel Laboratorio di Scienze e Tecniche Applicate all’Archeologia, Napoli, 2011).

20  op. cit., s.v. nota 10, p.13, nota 6: un quadro generale è offerto in A. Carannante, S. Chilardi, C. Pepe, L. Pontieri, G. Trojsi, Lo sfruttamento delle risorse locali nel sito dell’età del Bronzo di Vivara-Punta d’Alaca (Procida, Napoli 2010).

21 op-cit., s.v. nota 10 p. 14 in nota 7 si dice “Seguire le antiche navigazioni degli uomini e definire i loro approdi è incontrare le rotte dei tonni: i collegamenti marittimi che univano l’arcipelago eoliano con quello flegreo ripercorrono la via dei tonni,  in C. Pepe, Rotte dei tonni e luoghi delle tonnare dalla preistoria ad oggi, Napoli 2006.

22 sito APS ecco il link: (https://www.vivara.it/fauna.html)

23 s.v. nota 6 pp. 66-72.

24 sito Riserva Naturale Statale ISOLA di VIVARA (https://www.vivarariservanaturalestatale.it/index.php?action=index&p=10224)

25 sito Riserva Naturale Statale ISOLA di VIVARA
(http://156.54.202.237/vivarariservanaturalestatale/)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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