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sabato 19 dicembre 2020

Archeologia della Sardegna. Ritrovata la città fantasma di Gemellas. Articolo di Bartolomeo Porcheddu

 Archeologia della Sardegna. Ritrovata la città fantasma di Gemellas

Articolo di Bartolomeo Porcheddu

 

«Monti, mari e fiumi attraverserò, dentro la tua terra mi ritroverai» sono le prime due strofe della canzone “Meravigliosa creatura” di Gianna Nannini, che invitano alla persistenza nella ricerca, perché, prima o poi, alla fine, “se sei nella mia terra, ti ritroverò”. Chi conosce il proprio territorio non può perdersi, né qualche estraneo può pensare di nascondersi senza essere visto. La nostra Madre Terra ci ha insegnato che possiamo sopravvivere dei suoi frutti, per resistere anche contro chi vorrebbe conquistarla. Coloro che hanno il controllo del territorio, per quanto piccolo possa essere, hanno un

punto di riferimento preciso da cui partire per misurare il Mondo.

Nell’Itinerario Antonino (in latino: Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti), una grande cartina stradale dell’Impero romano (fine III e inizi del IV secolo dopo Cristo), in cui sono indicate le distanze tra una località o stazione di sosta e un’altra, per quanto concerne la Sardegna, una delle strade principali partiva da Tibula e giungeva a Carali ed era chiamata in latino A Tybulas Caralis, vale a dire “Da Tibula a Carali”. La località di Tybula è anche indicata nel II secolo dopo Cristo dal Geografo e astronomo Claudio Tolomeo, che nella sua Geografia la colloca nella Costa settentrionale, ma, secondo un’ipotesi di misurazione terrestre, risulterebbe sita lungo la valle del Coghinas, dove effettivamente si trova la cittadina di Tula. 

Il problema della localizzazione di Tibula è stato causato dal fatto che vi fossero sia la città di Tibula sia il suo porto. Altro problema di individuazione è stato generato dalla errata propensione a trascrivere la /Y/ greca, che si leggeva come una /U/, allo stesso modo della vocale /I/, causando non pochi errori di interpretazione. In ogni caso, la città di Tibula era indicata in origine come Tybula e si leggeva Tùbula. Una corretta scrittura della città di Tybula la danno, ad esempio, le grandi enciclopedie del passato, come la Universus Terrarum Orbis ed il Baudrand, specificando che Tybula era una Urbs (città) dell’Isola di Sardegna.

Pertanto, la voce Tu[b]ula, in cui nel logudorese si sincopa la consonante /b/ intervocalica in sillaba atona, diventa Tula, la città che aveva il suo porto sulla foce del Coghinas, nel punto in cui oggi sorge la chiesetta di San Pietro a Mare in Valledoria (in sardo: Codaruina). Il fiume Coghinas, oggi chiuso da due sbarramenti nelle dighe di Casteldoria e Coghinas, è ancora per diversi tratti navigabile, ma in antichità, molto probabilmente, congiungeva con piccole imbarcazioni la città di Tula al suo porto. La strada terrestre costeggia ancora per buona parte il fiume e transita ad Erula, dove nella frazione di Sa Mela è stato rinvenuto un miliario della strada romana.

Nell’Itinerario Antonino sono indicati tre percorsi che collegano il Nord Sardegna con il Cagliaritano: il primo è la via costiera che parte dal Porto di Tybula (Valledoria – Codaruina) e segue la costa Nord-Orientale fino alla Capitale; il secondo mette in contatto il Porto di Tybula e, per compendium (via più breve) anche Olbia, transitando lungo la costa Nord-Occidentale dell’Isola fino a Sulcis (Sant’Antioco), e da qui fino a Cagliari; la terza via, invece, ha la sua prima stazione di partenza non nel Porto, ma nella città di Tybula, quindi inizia il cammino verso Cagliari da Tula e, verosimilmente, dalla sua grande muraglia megalitica de “Sa Mandra Manna”, centro astronomico dell’antichità in cui si misuravano il tempo e lo spazio.

In quest’ultimo e terzo tracciato, dopo Tybula (Tula), a XXV miglia (circa 37 km), la prima stazione di sosta indicata dall’Itinerario è Gemellas, che in sardo e in latino significa “doppia, in coppia, simile, uguale”. Se si tiene in considerazione il fatto che in altri tempi le strade seguivano la mezza costa e non la pianura per non impantanarsi nelle giornate di pioggia; misurando anche i diversi tornanti che seguivano la morfologia del terreno e che oggi sono spazzati via dalle ruspe; seguendo l’attuale Strada Provinciale n. 103, che si collega alla Strada Provinciale n. 67, si giunge direttamente alla chiesa di Sant’Antioco di Bisarcio.

La grande struttura romanica di questo luogo di culto coglie impreparato il visitatore, in quanto si tratta di una cattedrale in mezzo alla campagna. Ma, ovviamente, non bisogna guardare questa chiesa con gli occhi di oggi, ma con le fonti del suo passato. La chiesa di Bisarcio è stata nel Medioevo sede di Diocesi ed è documentata dal 1065. In quel tempo coronava un centro piuttosto popolato di cui oggi rimangono pochi resti. Le motivazioni che subito dopo il Mille avevano spinto le gerarchie ecclesiastiche a istituire luoghi di culto così importanti erano dovute principalmente al fatto che in detti territori persistevano tradizioni pagane che, radicate nella società dai primordi, dovevano essere cristianizzate.

La cattedrale è stata dedicata a Sant’Antioco, ma il suo toponimo è rimasto legato al territorio e viene riportato in latino con la denominazione di Bisarcium. Tale lemma è composto dall’avverbio Bis, che significa “due volte, in due occasioni, in doppio modo” e dal sostantivo Arcium, che, declinato al genitivo plurale, vuol dire “degli archi”. In altre parole, la località era caratterizzata da “due Archi”, probabilmente di ingresso alla città, simili, quindi gemelli, da cui il nome Gemellas riportato nell’Itinerario Antonino. Esempi di archi gemelli si riscontrano in altre città, come ad esempio a Roma nella antica Porta Appia, chiamata anche “Porta ad Archi Gemelli”. Ancora oggi, la facciata della cattedrale di Bisarcio presenta due arcate gemelle poste ai lati dell’ingresso principale (vedi foto).

La successiva fermata dopo Gemellas in direzione di Cagliari è indicata dall’Itinerario Antonino con il nome di Lugudunec, equidistante XXV miglia, esattamente come la precedente tappa tra Gemellas e Tula. Se si tiene presente il dato che la consonante /G/ è stata introdotta nell’alfabeto latino solo nel 230 a.C. per sopperire alla mancanza del Gamma greco, si desume che in precedenza sia stata sostituita dalla consonante /C/. Per cui, Luguidu o Luquidu o Lucuidu sono lo stesso termine scritto in modo diverso. Lucuidu in antichità era il porto e la città di Posada, ma, tra le altre, anche la città di Lione nella Gallia Transalpina, posta nel territorio dei Lugudunensis.

La radice “Lucu” del toponimo Lucu-idu, presente in diversi luoghi, indicava in antichità il Bosco Sacro, che traduceva genericamente Locu de Luche Idu (Luogo di Luce Lunare). Il Monte su cui sarebbe situato il Bosco Sacro, posto ad una distanza di 37 Km da Gemellas, doveva trovarsi verosimilmente nei pressi di Bonnannaro. Tale località è famosa per i suoi preziosi rinvenimenti archeologici che hanno dato vita all’omonima Cultura, datata 1800 -1600 a.C. circa. In questo luogo, dove Santo è detto il Monte di Siligo, propaggine della catena del Monte Pelao, nel cui costone è poggiato il centro di Borutta, i Monaci Benedettini costruirono un’altra grande cattedrale, stavolta dedicata a San Pietro, e istituirono la Diocesi di Sorres intorno la XII secolo.

Anche qui insistevano molto probabilmente ancora nel Medioevo culti antichissimi. Il toponimo di Sorres si rifà alla divinità precristiana di Sorra che in Sardegna troviamo sia nel Monte Sorradile (OR) sia nel Monte di Bidda Sorris (Villasor, CA), nonché, fuori della Sardegna, presso il Monte Sor[r]ate, alla periferia di Roma, anch’esso considerato in antichità un Lucus sacro. Tali montagne, in molti casi, assumevano una particolare caratteristica toponomastica. Ad esempio, il monte di Bunnannaru era l’equivalente del Bunnari sassarese, che era similare a Gunnare o Gonare nel Nuorese, che a sua volta trovava il corrispondente nel Gunnari in Ogliastra e nei Gonnos (Gonnosfanadiga, Gonnoscodina, Gonnosnò, ecc.) meridionali dell’Isola.

Il tratto della strada Tybulas - Caralis, dopo Lugudunec, proseguiva per Hafa, quindi per Molaria, Ad Medias, Foro Traiani, Othoca e Aquis Neapolitanis, prima di giungere a Carali. Tutte le stazioni di sosta sono posizionate più o meno alla stessa distanza (ad eccezione delle ultime due che viaggiano in pianura o bassa collina). Nel caso in cui, per ipotesi, come dai più eminenti studiosi prospettata, la strada avesse avuto il suo inizio dal porto di Tybula (considerato dagli stessi storici sito presso Castelsardo e non a Valledoria), anziché dalla città di Tula, le successive località risulterebbero sfasate per l’eccessiva lunghezza del tracciato rispetto alle miglia indicate nell’Itinerario (vedi cartina) e pertanto non rispondenti alla realtà.

Per il momento, il mio viaggio negli antichi percorsi dell’Isola di Sardegna finisce qui. Sappiate però che “turbini e tempeste, io cavalcherò” per ritrovare ciò che la mia terra ancora custodisce.

 

PS. L’articolo con i riferimenti bibliografici è pubblicato su academia.edu e può essere scaricato dal sito internet https://www.bartolomeoporcheddu.it

 

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