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mercoledì 11 novembre 2020

Archeologia. Il ritorno di Ulisse: viaggio verso la patria. Naufragio. Articolo di Lydia Schropp

Archeologia. Il ritorno di Ulisse: viaggio verso la patria. Naufragio.

Articolo di Lydia Schropp

Al ritorno di Ulisse in Corsica, emerge chiaramente dal dialogo con Circe che l’eroe si è attenuto scrupolosamente  alle istruzioni ed ha eseguito correttamente i riti prescritti nel Mondo degli Inferi. Prima del congedo Circe lo mette nuovamente in  guardia per quanto attiene ai pericoli del viaggio. Gli consegna dei viveri ed in segno di amicizia gli invia un vento favorevole, chiamato  cercius, identificato da WHATMOUGH con il Mistral.

Il primo ostacolo si trova presso le isole Sirene (1) ,cioè le isole vicine alla penisola Sorrentina e forse anche Ischia (2), le une pericolose per le correnti marine e gli scogli, l’altra  per la sua origine vulcanica, perché in antichità fu flagellata da molte eruzioni.(3) Circe sconsiglia l’approdo ed ingiunge ad Ulisse  di procedere oltre senza  fermarsi, anzi lo avvisa di farsi  legare ad un albero dai suoi

compagni per sottrarsi ad ogni tentazione, in quanto la bellezza dei luoghi è tale da incantare ogni passante.(4)

Dopo le isole Sirene Ulisse ha la possibilità di scegliere fra due direzioni  ugualmente irte di difficoltà, o le” rupi erranti “ intendendo probabilmente  le pietre di pomice galleggianti sul mare derivanti dalle eruzioni  del vulcano sommerso  Marsili e del vulcano Stromboli  che possono aver dato l’impressione di rupi erranti   o lo stretto di Messina. Se dovesse optare per la prima soluzione, dovrebbe guardarsi dal fuoco del vulcano e dalle rocce,  che con il mare in tempesta sfracellano la nave,  se dovesse scegliere lo stretto di Messina, dovrebbe evitare due scogli  micidiali, e cioè lo scoglio di Scilla(5) e di Cariddi (6) con i loro gorghi, dovuti alla variazione di flusso dell’alta e bassa mare fra il Mar Tirreno e lo Ionio. Circe consiglia  Ulisse di tenersi più vicino alla costa  calabrese, e  cioè a Scilla  e di evitare in ogni modo  la vicinanza di Cariddi, perché il risucchio del mare  è troppo pericoloso per una piccola barca.

Superati tutti questi ostacoli, emerge alla vista l’isola Trinachia (7), dalle belle ed ampie spiagge, e cioè Capo Peloro  e la zona attigua dei laghi salmastri Ganzirri , Faro e Margi , quest’ultimo ormai prosciugato, dove pascolano in libertà  greggi ed armenti sacri al dio Sole (8). Essi non devono essere toccati, pena la morte (9).

Il viaggio di Ulisse  lungo il Tirreno dalla Corsica  sino allo stretto di Messina  procede  abbastanza bene, grazie anche al vento  propizio alla navigazione (10)  inviatogli da Circe, sebbene dinanzi a Scilla  egli perda sei rematori vittime del gorgo.

Alla vista dell’isola Trinachia Euricolo, il secondo uomo di  Ulisse incita gli amici, stanchi di remare, a fare una breve sosta nell’ ampio porto, vicino ad una fonte d’acqua dolce (11)

Memori del divieto, tutti sono unanimi  nella decisione di non toccare i buoi. (12)

Ma ecco  che di notte sorge improvviso un forte vento sfavorevole  alla navigazione, che costringe Ulisse a prolungare la sosta per un mese ed a trarre la nave al riparo in una grotta.(13)

Man mano  che le provviste di cibo si esauriscono e gli stimoli della fame  diventano più forti, cresce la tentazione di cibarsi dei buoi e degli agnelli sacri al dio Sole. Alla fine, spinti dalla necessità, i  compagni di Ulisse profanano il sacro divieto (14), attirandosi  subito l’ira del Sole, che chiede ragione a Zeus del misfatto e lo minaccia addirittura di invertire l’ordine stabilito. Se i colpevoli non verranno puniti, egli porterà la luce ai morti . (15) Dal racconto omerico emerge la grande autorità che il Sole esercita sul capo degli dei, Zeus, il suo linguaggio sa un po’ di mafiosità.

Segni straordinari di cattivo auspicio si notano già prima dell’imbarco  dei greci(16), poi , appena sono sul mare, sorge  una  micidiale tempesta che travolge la barca e la fa precipitare  nella voragine di Cariddi.

In questo frangente l’intervento di Zeus è determinante, egli salva Ulisse  ed  impedisce a Scilla di vedere il naufrago, mentre  annienta con il suo fulmine gli altri greci (17)

Ulisse, l’unico greco che non ha infranto il divieto e non si è reso colpevole di sacrilegio (18) riesce a salvarsi a nuoto, e dopo nove giorni di deriva sul mare, viene ributtato  sulla costa di Ogigia (19), dove è accolto  dalla ninfa Calipso.(20)

Purtroppo oggi ci sfugge il vero significato dell’esperienza traumatica di Ulisse nell’isola Trinachia. Però dalla narrazione appare evidente  che in epoca antichissima  gli abitanti del luogo osservarono un culto in onore del dio Sole. L’importanza  strategica dello stretto di Messina ci può anche indurre a pensare  che sia gli egiziani che  gli ittiti ed in seguito i fenici avessero delle mire espansionistiche  nella zona. Il nome di capo Peloro, che in greco significa  mostro, prodigio, può anche rimandarci all’area pelasgica, mentre il termine Trinachia rivela una realtà geografica, e cioè la presenza  di  tre laghi/lagune salmastre. Dalla narrazione di Omero sembra che il territorio di Trinachia sia disabitato. Non è riportato neanche l’antico nome della città Zancle, probabilmente Danklaion, Dancleon.(21) La pericolosità  dell’isola è corroborata dall’alto indice di frequenza dei terremoti(22 ) che induceva la popolazione a risiedere sulle alture e non sulla costa. A questo proposito è accertato  che gli Etruschi non risiedevano di norma in luoghi pianeggianti, ma sempre su alture e che ritenevano sfavorevoli i terreni soggetti a catastrofi naturali. (23)

Postilla.

Seir -  ebraico – significato: piccolo territorio ricoperto di alberi  (forse  per indicare quello che poi in greco sarà un temenos? questa domanda me la pongo io) poi Seir è il nome del monte a sud della Palestina, abitato dagli Hurriti e più tardi dagli Edomiti (1 Mosè 14,6, ;36,20,21 e 1  Mosè32,4 –  5 Mosè 2,4. 5.8.) Cfr. F  . RIENECKER, Lexikon der Bibel , 1988 Wuppertal  edizione Brockhaus– colonna 1277 sotto la voce seir.

Sin ha un accento sulla i formato da 2 elementi, uno va da sinistra a destra e l’altro da destra a sinistra, praticamente  l’inverso di  ^  .

Keros è naturalmente anche greco per indicare la cera, non c’è bisogno di scomodare il latino.

Riassumendo, il fascinoso sarebbe il fenicio, la presenza di spirito, la consapevolezza il greco.

Sor da cui prende il nome Sorrento significa scoglio ed è il nome ebraico per Tiro

Note.

1)      Sirene.   È chiaramente un nome di origine fenicia, cioè  sir = scoglio, a cui si sovrappone il semitico  sir  = canto. Erano geni della morte localizzate presso le isole Licosa, S. Pietro e Galletta, cfr. Pauly-Wissowa, Seirenes. Secondo Strabone e Plinio il Vecchio  la penisola Sorrentina  si chiamava promontorio delle Sirene. Si trovava lì un tempio dedicato a Minerva, con i doni votivi dei marinai scampati al naufragio. Cfr. E. Pais, Italia Antica, Bologna, 1922, vol. 2, pag. 176. Siccome Omero parla però espressamente di isole, si deve trattare delle isole che precedono la penisola sorrentina.(Sor anche fenicio per rocca )

2)    Ischia, in greco Pitekousa fu chiamata la terra fra gli Arimi, ed in ionico ainos, “veemente, terrificante”. In seguito divenne un importante scalo fenicio e greco.

3)    Nel terziario l’isola di Ischia era ancora collegata al continente e poi sprofondò nel Tirreno. Nel quaternario si formò come si presenta attualmente. Spesso però in antichità Ischia fu teatro di esplosioni con gas velenosi e gettiti d’acqua, lapilli e fango. Cfr. A: RITTMANN, I Vulcani e la loro attività, Bologna 1967, pp. 167 e 168. Non bisogna neanche dimenticare che nel centro del Tirreno si trova un vulcano sommerso, il Marsili, che ogni tanto è attivo.

4)      Nell’ episodio  delle Sirene Omero certamente  gioca con assonanze attinte da lingue diverse e cioè :

        Fenicio seir     - roccia /recinto

        Semitico sir     -canto

        Latino  cera     -cera

 .      Greco seira/e   -fune, elementi che combina insieme per un racconto ricco di fascino

5) Skulla. Kerényi afferma che il nome è etrusco. Cfr. Carlo Kerényi, Gli de i e gli eroi della Grecia, Milano, 1972, pag 43. Il suo significato è squilla, se si considera che   il greco non conosce la q e la rende con k Da Scilla, rupe e cittadina calabrese, prende il nome il golfo di Squillace, scritto con la q.

Si tratta di una rupe che si protende in mare per circa 300m  formando due  piccole insenature, di cui una sabbiosa lunga ca. 700 m ed una scogliosa con un piccolo porto adatto a barche da pesca. La rupe è alta circa 70 m, ma ha subito grandi modifiche dai tempi di Omero ad oggi in seguito ai frequenti terremoti che hanno devastato la zona. Nel terremoto del 1783 un bel tratto della rupe precipitò in mare. Sul fenomeno spaventevole del terremoto cfr. G. VUILLIER, La Sicilia, impressioni del presente e del passato, Milano, 1897 pp. 364-366. All’interno della rupe si trova una grotta con una fonte d’acqua.

Scilla fu spesso rappresentata su monumenti etruschi e su specchi, come per es. quello di Tarquinia, cfr. E. GERHARD, Etruskische Spiegel, Berlin, 1839-69,  5 vol.

Il mostro Scilla si trova già rappresentato nell’arte cretese

6)     Cariddi   Nome di origine aramaica-fenicia indicante  un vortice che si trova di fronte a Scilla. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, Leiden 1965, pag 40 definisce  karu  una parola semitica, significante muro, argine, parete, banchina “ wall, embankment”. Alcuni localizzano questo gorgo appena fuori della zona falcata del porto di Messina.

(7)  La scrittura  Trivakie per il resto controversa con  Trivakrie  non è stata più intesa nel suo vero significato. Per le forme discordanti di  Trivakria cfr. Gennaro d’Ippolito, Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, Tomo III, Bretschneider, Roma 1980.

Per quanto riguarda la scrittura    Trivakie  bisogna notare che in egiziano Achei era riportato con la k e non    , e quindi può essere la trascrizione egiziana di tre acque , cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica,pag.6 , in quanto in antichità c’erano tre laghi . Partendo però dal presupposto che l’isola era già entrata nell’orbita etrusca, come attesta il nome dello stretto  poros Tursenos  allora la parola potrebbe essere composta da    Tri +  da acnua, una misura etrusca corrispondente a 120 piedi. Quindi la zona era consacrata all’arte della limitazione etrusca, di cui è tramandata l’importanza nel rito delle fondazioni delle città. I confini erano considerati sacri dagli Etruschi ed inviolabili.

Circe, Tiresia, l’isola Trinachia,  possono rappresentare dei capisaldi del mondo egiziano ed  etrusco, con chiari agganci all’ Egitto ed all’area siriana.

A questo proposito è degno di nota che seranim era il titolo usato esclusivamente per i re delle cinque città filistee, e che questo titolo è forse identico con Turannos , Cfr. Eissfeldt, Philister.

Tor è il termine fenicio per toro.

Quando i filologi tentarono di interpretare la forma Trinakie  a loro incomprensibile, cercarono di correggerla con Trinakrie = 3 campi, 3 recinti. M.C. ASTOUR, Hellonosemitica, spiega Akis =  rifugio da un termine semitico pag. 239 e da aku con uccello marino e quindi rituale p. 245.

I Greci intesero tre promontori.

 8) Il primo faraone che fece erigere una stele in onore del bove Apis fu Bocchoris , che regnò dal 718 al 712 circa. cfr. Jacques Pirenne, Storia della civiltà dell’antico Egitto, Scandicci, 1967 vol. 3 pag. 198.  Ci dice Erodoto II, 47 : in vicinanza di certi templi la vacca non poteva essere mangiata. Comunque il divieto di toccare i buoi è antichissimo ed è già tramandato in fonti babilonesi ed egizie. Infatti il dio babilonese del sole aveva armenti che pascolavano oltre le correnti dell’Oceano e gli Egizi dovevano confessare quando le loro anime arrivavano nella sala dei due giudici “ Non ho ucciso il bestiame di Dio” Cfr. D. GRAY, Seewesen, in Archaeologia Homerica. Goettingen, 1974, pag. 64.

Il numero dei buoi e delle pecore ricorda i 7 giorni e le 7 notti della settimana, che moltiplicati per 50 danno i giorni dell’ anno.

Ancora oggi nell’usanza popolare di portare un grande corno rosso  per evitare disgrazie  si riscontra una credenza antica che i buoi, sacri al dio Sole, aiutano contro il malocchio.

Il nome delle ninfe Faetusa e Lampetie rientrano nel mito delle Pleiadi. Come sorelle di Fetone piangono la sua morte e vengono infine tramutate in alberi.

9) I greci sono consapevoli del significato simbolico del divieto.

10)Il vento favorevole, inviatogli da Circe si chiama “cercius” (Mistral) cfr. WHATMOUGH …vol. 2, pag.188.

11) E’ significativo che Omero non nomini la città di Zancle e non parli di una zona abitata

12)E’ questo l’unico accenno ad una struttura ricettiva sull’isola

13) Dalla decisione di non toccare i buoi si deduce chiaramente  che l’ospite in terra straniera si conformava alle abitudini di vita degli abitanti del luogo.

14) Non hanno più né orzo per il loro rito né vino per la libazione, e, a quanto sembra, sulla costa non ci sono insediamenti urbani dove si può ottenere qualche alimento.

15) in molte tombe etrusche di Cere è raffigurato il sole con i suoi benefici raggi; egli è inteso come il dispensatore della  vita, che porta calore anche nel mondo freddo ed oscuro dei morti.

16)Le carni sugli spiedi sembrano muggire. Di nuovo ritorna il numero sacro 7, per 6 giorni i segni sono sfavorevoli, alla fine al settimo sembra che tutto volga al meglio. Il numero 7 ritorna anche in un altro ambito, da Calipso, Ulisse deve risiedere colà 6 anni, al settimo può allontanarsi.

Per i portenti, pelli e serpenti cfr. M.C.ASTOUR, Hellenosemnitica, pp. 239-240. Probabilmente si vuole accennare alla pericolosità del  luogo, funestato da violenti terremoti.

17) L’annientamento dei compagni di Ulisse con un fulmine rispecchia di nuovo delle credenze etrusche. Dio dei lampi era infatti Tin(i)  a –Iuppiter e nei libri  fulgurales erano esposte dettagliatamente tutte le dottrine  concernenti i fulmini. Il cielo era suddiviso in 12 regioni ed i fulmini provenienti da oriente portavano fortuna. L’etrusco Caecina  cercò di trattare questa dottrina dei fulmini in maniera scientifica. Per gli israeliti i lampi che guizzano in mezzo alle nubi  sono considerati  dei serafini, cioè dei serpenti celesti. Cfr.  STADE, pag. 571.

Il dio etrusco della tempesta si chiama Sethlans, latino Volcanus. Velchans era per gli Etruschi un dio del fuoco, che scaglia anche fulmini . Cfr. Raymond BLOCH, Gli Etruschi, Milano, 1959 pg. 142.

18)  Ulisse, come al solito, si è allontanato per perlustrare la zona.

19)  per un’etimologia semitica si pronuncia M.C. ASTOUR, Hellenosemitica,p. 343 che interpreta la parola come “bruciante”, altri per un’etimologia egizia e cioè “lontana, barbara, primitiva, di cui c’è ancora oggi un retaggio nella zona denominata Barbagia. Ma probabilmente Og è  un termine antico ebraico per un albero, forse oggi terebinto/quercia ed il nome della ninfa Calipso ha qualche attinenza con Caleb, un nome di  origine ebraica. Il termine Ogliastra si ritrova in Sardegna  ed Ogliastri a Messina.

Le carte antiche non riuscirono a fissare bene la Sardegna. Tolomeo la collocò di fronte alla Sicilia, deformandola nel senso dei Meridiani. La tavola di Peutinger,itinerario militare di epoca incerta,la collocò più a nord,  di fronte alla Toscana. >In ogni caso la punta più bassa della Sardegna si trova quasi sulla stessa latitudine del Golfo di S. Eufemia e quindi Omero non sbaglia se fa percorrere ad Ulisse il tratto Cariddi-Sardegna.

20) L’influsso egiziano/etrusco  è confermato indirettamente anche da Ulisse, che raccontando la sua triste vicenda ai Feaci, dice espressamente che egli ha saputo i retroscena dello sdegno del Sole e della sua minaccia a Zeus da Calipso, che a sua volta li ha appresi da Hermes,  messaggero degli dei, e che per i Fenici è Melqart. Zeus si fa carico dello sdegno del Sole e punisce i Greci, che subiscono il naufragio.

21) Messina si chiamò fino al 480 a.C.  circa Dankleon

22)Pausania e Tucidide affermano che Zancle fu occupata dapprima da pirati, cioè verosimilmente Etruschi, provenienti da Cuma (Cuma = Opicia). Seguirono poi Ioni ed altre popolazioni dell’ Asia Minore, che vi si stanziarono dopo che i loro territori furono occupati dai Persiani (cioè dopo il 494 a.C.) (Cfr.Enciclopedia TRECCANI, Messina) L’antico nome di Zancle fu  Dancleon.

23) Per la migliore comprensione del testo cfr. O.R. GURNEY, Gli Ittiti, Firenze, 1957, pag. 156 “ la località  devastata era dichiarata maledetta in eterno e consacrata al dio delle tempeste mediante un solenne  rito e, in conseguenza di ciò,  si riteneva divenisse pascolo dei sacri tori Seris e Hurris. I futuri coloni avrebbero sfidato questo tabù a loro rischio e pericolo”.

Riassumendo, nel racconto del naufragio di Ulisse si rispecchiano credenze locali , che non collimano con quelle greche, perché i Greci sacrificavano i buoi ai loro dei. Se Tiresia e Circe non avessero svelato ad Ulisse il divieto, i greci non avrebbero neanche imputato la loro disgrazia alla loro infrazione del divieto. La zona di Capo Peloro è molto esposta ai forti venti ed il mare in tempesta mostra chiaramente dei gorghi, che in Calabria si chiamano refoli. Un geroflico egiziano si è trovato in zona, ma si sconosce il suo uso.

La città Zancle ha poi modificato  verso il 480 a. C. il suo nome in Messina a causa dei coloni Messeni che vi si stanziarono   ed a questo proposito è significativo che Ulisse parli al suo rientro ad Itaca dei Messeni,(Canto XXI,15) presso i quali Ulisse si era recato da giovane per trattare un debito che loro avevano contratto, rubando ad Itaca degli armenti ed i loro pastori. Il Canto XXI potrebbe essere anche rivelatore sull’epoca della stesura dell’ Odissea, perché nell’episodio di Trinakie i Messeni sono del tutto ignorati.


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