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lunedì 12 ottobre 2020

Archeologia della Sardegna: Il “Fallo” divino di Gremanu e Romanzesu. Articolo di Gustavo Bernardino

 Archeologia  della Sardegna: Il “Fallo” divino  di Gremanu e Romanzesu

Articolo di Gustavo Bernardino

Un recente lavoro di Antonangelo Liori  “Religione e sesso nella Sardegna antica” Edizioni Abbà maggio 2020, mi consente di tornare su un tema trattato in un articolo del 28/03/2018  “Una possibile interpretazione del culto dell'acqua in Sardegna ed il ruolo dei santuari di Romanzesu e S.Vittoria di Serri”; in entrambi gli elaborati infatti, tra i diversi argomenti considerati, vengono esaminati e interpretati alcuni manufatti appartenenti al periodo nuragico e intimamente connessi alla sfera del sacro. Mi riferisco in particolare al bronzetto di Ittiri “Suonatore di launeddas itifallico” ed i  “Templi” di  Gremanu e Romanzesu. L'autore di Desulo, nella sua opera ricca di citazioni e rimandi a testi classici, spinge il suo pensiero nei meandri della spiritualità e della sacralità che sono gli elementi fondanti che avevano ispirato e guidato il pensiero dei nostri avi nell'affrontare la costruzione dei

predetti manufatti e ammalia il lettore che si incammina nelle 143 pagine del volume. Temi delicati da trattare col massimo rispetto ed infatti la presentazione della sua opera, Liori la affida ad un esponente della Chiesa ed esperto della materia peraltro, come da lui stesso affermato, suo “caro e fraterno amico” don Roberto Caria.

Del bronzetto itifallico viene fatta una lettura  dettagliata  che aggiunge qualche elemento a quanto scrissi nell'articolo del 2018. Per esempio le “occhiaie”, come vengono definite da Liori le cavità oculari presenti nel viso del suonatore, erano sfuggite alla mia analisi ma ora questo particolare da maggior credito a ciò che dissi nel 2018 relativamente alla ipotesi che i nuragici avessero adottato nel loro pantheon una divinità maschile omologa a quella egizia MIN “..Nel “bronzetto di Ittiri”, questo dio viene invece modellato dall'artigiano fonditore, con tre distinti elementi significativi che consentono una lettura più attenta ed esaustiva del potere attribuitogli, per cui era ritenuto il “Dio Padre” al pari della divinità ben nota in campo femminile “ Dea Madre”.

I tre elementi sono:

1)            Suona uno strumento (launeddas);

2)            Ha il seno pronunciato;

3)            Ha il fallo eretto.                                                      

Il secondo elemento mi spinge a riflettere sul perché l'artigiano abbia sentito il bisogno di evidenziare il seno in un corpo maschile.

Si può ipotizzare che l'elemento serve a far capire che il “Dio Padre” ha la capacità di generare, ovvero dare la vita come la donna. Questa infatti, attraverso il parto che avviene con la rottura del sacco amniotico, consente al feto di nascere dall'acqua sacra portata nel grembo.

Allo stesso modo l'uomo genera la vita attraverso il liquido seminale, quindi anche in questo caso acqua sacra. Il seno pertanto indica la funzione generativa uguale a quella della donna; nel bronzetto  appare un seno poco pronunciato non adatto quindi all'allattamento mentre la donna ha la capacità di alimentare la creatura mediante il latte materno.

Il terzo elemento, il fallo eretto, sta a significare l'organo maschile al massimo della potenza, quindi nel momento in cui avviene la comunione tra spirito e corpo che precede il getto del seme che genera la vita.

Per quanto attiene all'ultimo elemento, la mia ipotesi è che il suono delle ”launeddas”, forse produceva un effetto psicotico e quindi poteva aiutare a compiere il rito dedicato al Dio”.

L'ultimo periodo del pensiero “...produceva un effetto psicotico” secondo me è una ipotesi avvalorata dalla osservazione emersa e cioè dalle “occhiaie” evidenziate da Liori. Le occhiaie sarebbero quindi la conseguenza dell'effetto psicotico prodotto dal suono delle launeddas e rimarcato in maniera molto evidente dall'artigiano fonditore che, ricordiamo, eseguiva  l'opera dietro precise istruzioni del committente che, in questo caso, possiamo immaginare come il sacerdote responsabile del rito. Con la tesi proposta nell'articolo del 2018, avanzavo l'idea che nel santuario di Romanzesu si svolgesse appunto un rito e scrivevo:”...Il rito forse, era eseguito da giovani fanciulle giunte alla soglia della fertilità, e giovani del sesso opposto, che si accoppiavano sotto l'imperversare del ritmo frenetico delle launeddas dopo aver invocato il “Ka” lo spirito della divinità e quindi, probabilmente, esclamando Min Ka che risulterebbe pertanto, l'espressione più antica della nostra isola, ancora in uso; oppure mediante l'assunzione di droghe come ipotizzato da Adriana Belluccio in “Discussioni in Egyptology 31/1995 pag. 30,31, in cui l'autrice cita anche fonti classiche. Questo rito, doveva essere molto probabilmente, una interpretazione locale della ierogamia, che veniva praticata in varie parti del Mediterraneo: Siria, Fenicia, Cipro ecc. (come spiega Luigi Cagni a pag. 150 del volume I della “Storia delle Religioni”a cura di Giovanni Filoramo), stesse località in cui sono stati trovate copie del “Torciere” come annota Zucca a pag.74. Tale cerimonia doveva  svolgersi presso il santuario di Romanzesu, un centro molto importante che probabilmente era anche un seminario dove venivano preparati ed istruiti i futuri sacerdoti. L'unica vicinanza con il rito dell'accoppiamento che probabilmente avveniva in questo luogo, è quello descritto dallo stesso Cagni dedicato alla dea Inanna/Istar venerata particolarmente a Uruk “..dove si ha notizia di una ben affermata prostituzione sacra maschile e femminile..”. Il mio convincimento è che durante il periodo in cui si è sviluppata la civiltà nuragica siano esistiti due diversi culti dell'acqua: uno riguarda l'acqua intesa come elemento naturale che serve per la sopravvivenza dell'uomo e quindi l'acqua delle fonti, dei fiumi, dei laghi ecc, che alimenta il corpo e consente la vita e pertanto considerata sacra dai nostri antenati che la ritenevano protetta dalle divinità; un secondo culto riguarda invece un altro liquido anch'esso ritenuto sacro, in quanto genera la vita: il liquido amniotico e quello seminale maschile. Questo concetto sarebbe avvalorato non solo dalla differente tipologia dei pozzi sacri (Massimo Rassu “Pozzi sacri” da Condaghes 2014), diversi di essi infatti non sono costruiti su falde acquifere, in certi casi l'acqua è esterna al pozzo come ad esempio a S. Vittoria di Serri, ma anche dalla architettura templare come ad esempio Gremanu e Romanzesu. Il  ragionamento è che probabilmente in questi due santuari costruiti a forma fallica, si svolgessero dei riti che avevano a che fare con gli equinozi ed i solstizi ed erano riferiti alle fasi della semina e del raccolto. La prima doveva aver luogo nei suddetti santuari mentre il raccolto trovava ospitalità a S. Vittoria di Serri e/o a S. Cristina mediante il parto delle giovani ingravidate in quelli fallici.

Nella descrizione del “suonatore itifallico” come lo definisce Liori, a pag. 35 leggiamo :”...Il bronzetto- ritrovato a Ittiri nel secolo scorso- dimostra una sessualità non banale, anzi assolutamente di raffinata complessità.

La figura alta e sinuosa, ha un non so che di androgino. Le mammelle sono pronunciate, femminee.

E non si notano perché l'eccezionale membro ha una sua preminenza semantica.

In testa non si comprende se ci sia un copricapo o capelli raccolti.

Le occhiaie sono profondissime e l'atteggiamento col quale questo personaggio tiene in bocca le launeddas ha un che di lascivo.

Uomo o donna, complessa scelta. Il corpo non è solo sinuoso, ma flette.

E le launeddas interpretano un tempo sospeso..”.

Dopo di che, il passaggio che più avvicina il mio ragionamento al pensiero di Liori lo troviamo nel capitolo quinto “I pozzi-vagina” dove, a pag. 83, troviamo:” ..la caratteristica  principale di tutti i pozzi- non delle fonti sacre-è una pianta pressoché identica.

Ad indicare una unità di culto legata costantemente al rito della fecondità e della fecondazione.

Fecondità e fecondazione che non possono essere fra loro distinte.

Infatti la pecora non fecondata non produce agnello ne latte.

La donna non fecondata non da alla luce figli e non perpetua la vita.

E una società non può garantire la sopravvivenza della specie se non ha costantemente braccia giovani per lavorare.

Acqua e vita.

A Gremanu l'acqua seminale.

A santa Cristina l'acqua vaginale...”

Si tratta di argomenti complessi che richiedono maggiori approfondimenti e queste poche righe possono solo intendersi come suggerimenti che rimandano ad una lettura di testi specifici; ciò non toglie che la passione per la storia antica della propria terra, possa portare semplici studiosi ad individuare soluzioni che, pur mancando di scientificità, offrono immagini suggestive.

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