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domenica 16 agosto 2020

Archeologia. Postilla su “Il suono degli scudi oblunghi dei guerrieri-sacerdoti di Mont’e Prama”. Articolo (postilla) di Giovanni Ugas

 Archeologia. Postilla su “Il suono degli scudi oblunghi dei guerrieri-sacerdoti di Mont’e Prama”

Articolo (postilla) di Giovanni Ugas

 

In merito all'articolo "Il suono degli scudi oblunghi dei guerrieri-sacerdoti di Mont’e Prama" pubblicato su questo quotidiano Honebu in data 29.07.2020 al link http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2020/07/archeologia-della-sardegna-il-suono.html il professore Giovanni Ugas scrive queste ulteriori considerazioni:

L’identità dei guerrieri con lo scudo oblungo

Spesso la ricerca dell’identità dei portatori di scudo oblungo sulla testa proposti dall’arte scultorea

nuragica è stata condizionata dalla problematica individuazione dell’oggetto tenuto nella mano

guantata. Ora, questo oggetto è un elemento importante, ma non decisivo, per definire l’identità di

questi personaggi perché, come gli oggetti tenuti nelle mani dalle immagini degli offerenti, può

indicare un’azione contingente legata al rituale e non la loro funzione o ruolo. Maggiori garanzie

per l’identificazione dei personaggi offrono i capi d’abbigliamento e le armi; non a caso il bronzetto

di Vulci con scudo oblungo al fianco è stato identificato da G. Lilliu, come un sacerdote militare per

il fatto che adopera lo scudo ed è connotato dal pileo, dunque indipendentemente dall’oggetto,

piuttosto enigmatico, che pende dal polso della sua mano destra.

Chi sono allora questi guerrieri con scudo oblungo sulla testa e cos’è l’oggetto tenuto da

essi tra le mani guantate? Partiamo dal secondo quesito. Come ho scritto nell’articolo, per

rispondere è necessario esaminare il complesso delle forme di questo oggetto tenuto nel pugno

guantato da tutti i portatori di scudo oblungo e la sua posizione relativa nella composizione

scultorea. Partendo dall’osservazione che si tratta di un piccolo manufatto di limitata altezza, stretto

e rilevato al centro, tenuto nell’estremità del pugno, direi delle dita, rivolto sempre verso lo scudo o

posizionato sopra di esso, sono giunto alla conclusione che l’oggetto era usato come percussore per

battere sullo scudo e che necessariamente la sua funzione era quella di produrre un suono per

accompagnare ritmicamente una danza. Ora, poiché la danza è un evento corale, i personaggi con

scudo oblungo, essendo guerrieri, evocano ovviamente una danza di guerra. È dunque palese la

funzione dell’oggetto, ma occorre capire quale era l’ama dei guerrieri che danzavano.

La presenza del brassard sull’avambraccio, indipendentemente da una sua eventuale

relazione con il guanto fissato al polso, induce a sostenere che i guerrieri con scudo oblungo erano

arcieri. Nella necropoli di Mont’e Prama, oltre ai portatori di spada, ci sono già alcune immagini di

arcieri con arco semplice e dunque si sarebbe tentati di dire che i guerrieri con scudo oblungo

appartenevano a un’altra arma; tuttavia tra le grandi statue è presente anche un frammento di

guerriero con elmo a tiara perlata e pennacchio, analogo a una figurina bronzea da Abini con scudo

tondo dietro le spalle armata di arco composito e stocco. Dunque a Mont’e Parma risultano già

documentate due tipologie di arciere con scudo tondo (uno con arco semplice e uno con arco

composito) e non c’è da meravigliarsi se ve ne fosse una terza, connotata diversamente dallo scudo

oblungo. Va detto ancora che i due noti arcieri in bronzo di Sa Costa in Sardara proteggono

lateralmente la testa con un piccolo scudo rettangolare, diverso da quello tondo, e dunque si

avvicinano formalmente e concettualmente ai guerrieri con lo scudo oblungo sulla testa. In effetti,

lo scudo lungo e pieghevole come quello delle statue di Mont’e Parma, protegge l’intera persona e

il suo uso si addice specificamente alla protezione della testa, particolarmente esposta al pericolo

costituito dai frombolieri e dagli arcieri nemici sia nei combattimenti a lunga distanza sia negli

assalti agli spalti delle fortezze. Lo scenario più logico per i portatori di scudo lungo tenuto come

una testudo è certamente l’assalto a una fortezza condotto da un reparto di guerrieri armati di arco

per il combattimento a distanza e di spada per quello ravvicinato e occorre chiedersi quale evento

bellico connotato dall’assalto a una fortezza fosse tanto importante per la comunità di Mont’e

Prama da essere celebrato con una rappresentazione coreutica.


L’evento celebrato dalla danza

I Sardi hanno usato lo scudo tondo almeno dal sec. XV (partiamo dal presupposto, per me scontato,

che gli Shardana siano i Sardi), mentre non sappiamo quando abbiano cominciato a usare lo scudo

oblungo. La forma di quest’arma difensiva può suggerire una sua derivazione, sia dal lungo scudo

egizio a forma di stele o da quello ellittico nubiano, sia dal lungo scudo turriforme miceneo, e meno

dallo scudo “a 8” in uso nell’Egeo e in Anatolia. Oblungo come lo scudo dei guerrieri sacerdoti

sardi, l’ancile degli Etruschi non sembra documentato prima del sec. IX e parrebbe derivato dallo

scudo “a 8” miceneo, perché tagliato lateralmente al centro, ma non sappiamo con certezza

attraverso quale tramite, anche se riteniamo attraverso i loro antenati Tursha/Tirreni che si

stanziarono in Attica, a Lemno e nel Peloponneso. Da Veio in Etruria, dove secondo Festo il re era

sardo, l’ancile arriva a Roma alla fine del sec. VIII come raccontano le fonti latine. Se sono i Sardi

che hanno trasmesso la danza con gli ancili in Etruria e da qui nel Lazio, l’azione di guerra

celebrata dalle statue dei guerrieri sardi con lo scudo oblungo non può essere l’assalto ai nuraghi

della fine del sec. XI poiché proprio questo evento, secondo Diodoro Siculo provocò la fine del

regime tribale e la diaspora dei capi tribù in Italia e dunque anche in Etruria. Anche tenuto conto

del ruolo che il nuraghe riveste al tempo delle statue di Mont’e Prama come segno memoriale, e

forse anche come simbolo etnico (Norax guida degli Iberi), l’evento celebrato dalla danza doveva

precedere la caduta dei nuraghi e risalire al tempo dei capi tribali. Viene da pensare a qualche

battaglia che ebbe per protagonisti i Sardi/ Shardana nelle guerre combattute nell’Egeo o al servizio

di Ramesse II o ancora contro i grandi imperi dell’Est del Mediterraneo tra la fine del sec. XIII e

gli inizi del XII. Ovviamente, dare un nome alla fortezza da loro assediata con un assalto alle mura

(ricordiamo quelli alle fortezze di Dapur e Tunip al tempo di Ramesse II) è una missione

impossibile poiché i Sardi parteciparono a molte battaglie e purtroppo non hanno pensato di

raccontarle con la scrittura e, dopo alcuni secoli, ci hanno lasciato solo una danza celebrativa e le

immagini scultoree delle varie armi che formavano i loro contingenti impegnati in guerra.


Il ruolo dei guerrieri che danzano

Accertato che i guerrieri con lo scudo oblungo erano arcieri e celebravano con la danza l’assalto a

una fortezza, va ripresa la questione dei differenti ruoli dei due sottogruppi di guerrieri, quello con

lo scudo sulla testa e quello con lo scudo al fianco. Al riguardo, ricordiamo innanzitutto che

l’oggetto tenuto nel pugno guantato dalla figurina bronzea con scudo sulla testa di Dorgali, spesso

definita erroneamente un pugilatore, ha la stessa forma e perciò la stessa funzione di quello usato

dai due guerrieri di Mont’e Prama con lo scudo tenuto al fianco. È evidente che le immagini di

guerrieri con scudo oblungo, sia tenuto in testa sia al fianco, registrano tutte la medesima azione

scenica che preannuncia o attua la percussione dello scudo e dunque la danza di guerra, ma il fatto

di partecipare a una stessa danza e di celebrare lo stesso evento non implica automaticamente che i

personaggi dei due raggruppamenti abbiano anche lo stesso rango militare e identico ruolo nella

danza. La posa dei guerrieri con lo scudo sulla testa è diversa da quella con lo scudo al fianco ed è

ovvio pensare alla rappresentazione di due diverse fasi del combattimento, una l’assalto con lo

scudo sopra la testa e l’altra il combattimento ravvicinato con la spada e lo scudo al fianco, ma i due

sottogruppi si differenziano anche per altri importanti dettagli. È palese che, mentre i guerrieri lo

scudo al fianco sfoggiano il pileo, le trecce e i sandali, i portatori di scudo a riparo della testa non

solo ne sono privi, ma sono anche decisamente più numerosi degli altri e poiché sono impegnati

in una danza che necessariamente è corale si può ben pensare che rappresentassero i componenti di

un collegio sacerdotale, come quello dei Salii laziali, i guerrieri danzatori o meglio saltatori, per la

via della loro danza cadenzata, della guardia dei re di Roma.

Con le loro caratteristiche, le trecce, il pileo, i sandali, il percussore, oltre che il probabile

sonaglio e il gesto di saluto della figurina in bronzo di Vulci, i guerrieri con lo scudo oblungo al

fianco si rivelano anch’essi sacerdoti impegnati nella stessa scena coreutica dei guerrieri con lo

scudo sulla testa, ma palesemente evidenziano anche il loro rango guerriero e sacerdotale più

elevato. I sandali fanno pensare alla parata degli ufficiali a fine guerra ritornando col pensiero ai

rilievi dei templi di Ramesse II, dove gli Shardana (i Sardi) ritratti nella battaglia di Kadesh

combattono a piedi scalzi ma, dopo la battaglia, le guardie della compagnia regia sfilano con i

sandali davanti al re sul trono. Questi guerrieri mostrano l’elmo cornuto e i capelli corti ed è palese

che nei portatori di scudo al fianco di Monte Prama il pileo rivela l’acquisizione della veste

sacerdotale e le trecce connotano il rango senatoriale raggiunto nel nuovo status politico di anziani.

Dobbiamo pensare, infatti, che gli anziani del consiglio della comunità, gli aristoi del racconto di

Diodoro Siculo, si distinguessero per le trecce oltre che per qualche nota dell’abbigliamento. Come

richiamava sagacemente Giovanni Lilliu, nel romanzo di Grazia Deledda Elias Portolu, il

protagonista è un anziano con le treccioline. A questo punto possiamo ben ritenere che i due

guerrieri-sacerdoti che picchiano con il percussore sullo scudo oblungo tenuto al fianco, emersi

dalle ricerche del 2014 a Monte Prama, siano ritratti mentre danno il tempo ai movimenti di danza

dei componenti del collegio sacerdotale, formato dagli arcieri con lo scudo sulla testa, che

rievocavano le varie fasi dell’assalto a una fortezza. Allo stesso modo e con maggiore evidenza, il

guerriero-sacerdote di Vulci con un sonaglio (o un percussore di forma differente dagli altri) che

pende dal suo avambraccio, considerato il suo gesto di saluto con la mano aperta, va interpretato

come il capo del collegio sacerdotale che dirige la danza e dà le cadenze ritmiche ai danzatori

guerrieri; egli corrispondeva, a livello celebrativo, al militare di rango superiore, che comandava le

operazioni dei guerrieri impegnati nell’assalto.


I tagli rossi delle statue di M. Prama

Come già riferito, i tagli con tracce di pittura rossa osservati sul petto e sulle gambe di alcuni dei

portatori di scudo oblungo sulla testa sono stati individuati e interpretati da Zucca e Paglietti come

le ferite provocate da un’arma, un pugnale. Occorre rimarcare che nessuna statua di Mont’e Prama

con scudo oblungo sulla testa mostra nel pugno guantato l’estremità di uno strumento che può

essere assimilato alla punta di un pugnale, come quello ipotizzato per il frammento di figurina da

Serri edito dal Taramelli, ma un oggetto appena rilevato che non può essere interpretato in alcun

modo come un’arma. D’altra parte, lo scudo sopra la testa non può conciliarsi con una lotta di

giovani iniziandi praticata con la punta di un pugnale. Inoltre, la prova di valore degli iniziandi non

si svolge tra coetanei che usano la stessa arma, ma contro altri uomini e animali feroci e varie

avversità della natura. Ad esempio a Sparta gli aspiranti guerrieri usavano il pugnale contro gli

schiavi, gli inermi Iloti che essi incontravano. In ogni caso, mancano sostegni per attribuire i tagli

con pittura rossa delle immagini di Mont’e Prama all’oggetto tenuto nel pugno.

Se i tratti rosi incisi non sono segni incidentali o decorativi (occorrerebbe un’indagine

estesa a tutte le statue per valutare sistematicamente le tracce di pittura e di incisioni, se ancora è

possibile osservarle dopo la pulitura delle superfici nelle statue già restaurate), bisogna tener

conto anche del fatto che le ferite possono essere prodotte in tutti i combattimenti e dunque, se il

fine dei tagli rossi era quello di evidenziare il valore dei combattenti, non di meno poteva essere

messo in risalto per tutti i guerrieri, non solo per giovani aspiranti guerrieri. Inoltre, mi aspetterei

che questo rito di passaggio, poiché interessava indistintamente tutti i giovani della comunità, fosse

celebrato nell’altare di un tempio, più che in un luogo funerario sia pure sacro.

Va rilevato, però, che l’oggetto prominente che sbuca dal pugno guantato del frammento

bronzeo di Serri, ammesso che sia la punta di un pugnale da usare come arma, e non la punta di

un’arma trasformata in un percussore, teoricamente potrebbe segnalare, in questa statuina da Serri,

un’azione rituale sussidiaria del collegio di guerrieri-sacerdoti, analoga a quella dei murralia

praticata a fine anno dai 12 danzatori Salii (“Saltatori”) con gli ancili, culminante con l’uccisione di

vittime umane (poi con vittime sostitutive o l’esilio), e a quella delle maschere etnografiche che in

Sardegna rappresentano con una analoga danza cadenzata, a salti (a brinkidus), lo stesso rito

sacrificale di fine anno. Se così fosse, potremmo pensare ad eventuali ferite incidentali che i

guerrieri-sacerdoti subivano durante la danza rituale nella “processione” con le vittime designate.

In conclusione, a meno che tra le manifestazioni del collegio dei guerrieri-sacerdoti di

Mont’e Prama, come per i Salii, non vi fosse anche un rito sacrificale di fine anno e i tagli in modo

simbolico alludessero a questo rito, dovremmo ancora cercare le cause per i tagli rossi delle statue

di Mont’e Prama.

 

Il rapporto delle statue con il complesso funerario

Ci sfuggono ancora tanti segreti del sito funerario monumentale e del complesso celebrativo di

Mont’e Prama. Dai dati noti si evincerebbe che nelle tombe a pozzetto molti dei defunti erano

giovani, come possono esserlo i guerrieri, non solo gli aspiranti guerrieri di 15-17 anni, ma se

possono essere in sintonia con l’età giovanile dei defunti le statue dei guerrieri con lo scudo sulla

testa, non possono esserlo le grandi statue dei guerrieri-sacerdoti di alto rango con lo scudo oblungo

al fianco. È palese che le sepolture sono disposte in asse sud-nord lungo una via funeraria sotto lo

sguardo delle statue soprastanti innalzate dopo che i pozzetti circolari, in un momento successivo

alla realizzazione delle tombe più antiche, furono chiusi con regolari lastre quadrangolari, un piano

d’appoggio a livello, perfetto per le basi quadrangolari delle statue. In effetti, siamo di fronte a una

sistemazione monumentale delle tombe e delle statue su una strada funeraria, che forse già allora

era un’importante arteria viaria del territorio del Sinis, un luogo simbolicamente ideale, con tanti

nuraghi circostanti, per celebrare un evento importantissimo per un distretto confederale se non per

un intero popolo (in tal caso gli Iliesi).

Ora, i dati cronologici ricavati dalle ossa dei defunti di Mont’e Prama indicano che, se vi

furono sepolture secondarie, ed è possibile, le traslazioni avvennero tutt’al più con individui del

Bronzo Finale e pertanto questi non potevano rappresentare gli eroi di un evento storico del tempo

dei nuraghi. Così, si potrebbe pensare alla celebrazione di un evento del I Ferro e in effetti,

considerata anche la grande circolazione di armi di questo periodo, non sarebbe impossibile una

guerra intestina poco prima della fine delle sale del Consiglio dove si riunivano i consigli degli

anziani. Tuttavia, in tal caso, le prospettive cambierebbero e non si saprebbe dare ragione degli

scudi oblunghi utilizzati nell’assalto a una fortezza in un periodo in cui le fortezze (i nuraghi) non

erano più tali da qualche secolo. In effetti, la sistemazione monumentale della necropoli di Mont’e

Prama con le grandi statue degli eroi non sembra avere per tema un evento bellico del I Ferro. È

chiaro però che il complesso scultoreo e la monumentalità della necropoli si addicono a un

momento di forte crescita economica delle comunità locali e di benessere sociale come quello

esaltato da Diodoro Siculo. È un periodo in cui in Etruria vi erano i lucumoni o re, almeno in parte

anche sardi di antica discendenza dei capi tribali, ed è possibile che qualche famiglia del Sinis abbia

accumulato consistenti ricchezze con i commerci, allora floridi per mare e per terra, e abbia

acquisito un grande potere politico e puntasse a instaurare un regime monarchico, rivalutando ed

esaltando il periodo dei capi tribali. Tenendo conto del fatto che finora tutte le statue di Mont’e

Prama rappresentano esclusivamente guerrieri, a una potente gens può attribuirsi un’azione di

autoglorificazione attraverso la celebrazione e la rievocazione di uno straordinario evento degli

antenati, come qualche glorioso episodio delle guerre condotte dai Sardi (gli Shardana), forse anche

del Sinis, nel Mediterraneo orientale durante il Tardo Bronzo.

Il richiamo di Diodoro Siculo al culto dei re tespiadi, cioè dei capi tribali, da parte della

popolazione iolea in un tempio aggiunto al sepolcro, dove sembravano dormienti e incorrotti (dopo

vari secoli), può ben alludere a una fase di recupero memoriale dell’età dei capi tribali. La notizia

diodorea può riferirsi a un culto praticato presso le “vecchie” tombe di giganti, ma non di meno può

riferirsi a un’area sepolcrale sacralizzata del I Ferro come quella di M. Prama. Il “templum” può

essere un edificio costruito in muratura, come è stato ipotizzato, ma può esserlo anche un sito

funerario delimitato con un temenos sorvegliato dai betili a occhi e reso sacro con gli altari e le

immagini degli eroi e, forse, del primordiale antenato (*Ili, Norake, Sardo?), ancora da scoprire. Al

momento nel sito di Monte Prama non è stato trovato un edificio templare in muratura, che per l’età

del Bronzo Finale e del I Ferro dovremmo immaginare come un tempio “a megaron”, ma non è da

escludere che Diodoro facesse riferimento a un edificio sacro costruito in età storica, come ad

Antas, dedicato al dio presso le tombe degli antenati. A Mont’e Prama, in prossimità della

necropoli del I Ferro, sul pendio occidentale vi sono resti edilizi, anche con grandi massi e una non

lontana necropoli di età romana.

Ricordiamo che gli eroi tespiadi, cioè iliesi, erano numerosi (una quarantina) e non di meno

erano numerosi i giganti di Monte Prama, ma ciò può essere solo una coincidenza, e in ogni caso la

strada della conoscenza del significato di queste statue e del complesso di M. Prama, così come

dell’intera produzione scultorea sarda, è ancora in buona parte da percorrere.

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