Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

martedì 15 ottobre 2019

Archeologia. Il Primo Ferro nuragico nella Sardegna centro-occidentale. Articolo di Alessandro Usai


Archeologia. Il Primo Ferro nuragico nella Sardegna  centro-occidentale
Articolo di Alessandro Usai


Riassunto: La Prima Età del Ferro è documen­tata nell’Oristanese e nelle zone adiacenti da contesti materiali presenti in nuraghi, insediamenti, santuari, ripostigli e se­polture. L’analisi tipologica delle ceramiche rivela una distinta facies centro-occidentale con scarsa decorazione geometrica, a cui si aggiungono manufatti metallici e ornamenti. Gli insediamenti sono spesso caratterizzati da muraglie perimetrali, forse tipiche del periodo di transizione tra le età del Bronzo e del Ferro.

Il presente contributo si concentra sulla diffusa fa­cies oristanese del Bronzo Finale terminale-Primo Ferro iniziale e sui documenti più episodici della fase recente del Primo Ferro. Entrambi i momenti sono caratterizzati da contesti ceramici con scar­sissima decorazione geometrica e pertanto sono stati erroneamente riversati nel calderone “pregeo­metrico” del Bronzo Finale; ma le recenti edizioni di importanti contesti consentono di restituire la giusta collocazione alla documentazione materiale del
Primo Ferro oristanese, e quindi di ristabilire una più ragionevole durata dei processi di trasfomazione e dissoluzione della civiltà nuragica, nella Sardegna centro-occidentale e in tutta l’Isola (Usai 2007, 2012a). L’intelaiatura del discorso si basa sui risultati delle mie ricerche nel complesso del Nuraghe Pidighi di Solarussa. Nella fonte Mitza Pidighi, alla sommità del ricchissimo deposito ceramico emerge una distinzio­ne tra i materiali del livello più basso e di quello più alto dello strato 13: entrambi sono caratterizzati dal tipo ceramico grigio chiaro oristanese, ma il primo presenta forme piuttosto semplici e ripetitive (cioto­le, scodelle e scodelloni, anche con orlo rientrante ed anse a maniglia, rare brocche e sporadici frammenti di boccali), mentre il secondo mostra una grande quantità e varietà di forme innovative (scodelloni troncoconici con orlo leggermente ispessito e sbiecato, boccali con orlo caratteristicamente sagomato, brocche con versatoio sull’ansa, olle con orlo ispes­sito a sezione quadrangolare, anfore piriformi con finto beccuccio); inoltre, anche se la grande maggio­ranza dei recipienti rimane inornata, compare tutta una gamma di decorazioni a pastiglie e cordoncini plastici, punti e tacche impressi sulle anse, schemi incisi più complessi e rari cerchielli semplici o con­centrici (Usai 1996, 2000; 2007, figg. 1-3; 2012a). Il contesto terminale di frequentazione della fonte è identico a quelli che caratterizzano l’ultima fase di vita dell’insediamento adiacente. Nella sequenza strutturale assume grande importanza la muraglia recintoria, che si pone verso la fine dello sviluppo dell’insediamento; inoltre è importante sottolineare la presenza di case complesse costituitesi nel tem­po e definite nelle ultime fasi edilizie da strutture prevalentemente rettilinee (Usai 2012b). Nei con­testi dei diversi vani indagati emergono di volta in volta elementi utili per un puntuale inquadramento cronologico dell’intero complesso (Usai 2007, figg. 4-6; 2012a): nel vano O si distingue una brocca con cerchielli concentrici alla base dell’ansa; nel vano P una brocca con fondo ad anello e tre sottili cordo­ni plastici sul collo, che si raccorda strettamente a quella nota come proveniente dal nuraghe Sianeddu di Cabras (Campus e Leonelli 2000, tav. 230.4: tipo 669.BroAs.14, varietà B) e a brocche da Genna Maria di Villanovaforru (Ibid., tav. 236.4-5: tipo 687.BroAs.32) e da Vetulonia (Delpino 2002, pp. 366-367, nn. 16-17, tavv. I.f-g, II.c-d); nel vano R un frammento di vaso portabraci, forma finora documentata solo a Santa Barbara di Bauladu, a Genna Maria e a Pinna ’e Maiolu di Villanovaforru e a Sant’Anastasìa di Sardara (Campus e Leonelli 2000, tav. 446.1-2: tipo 1115.PBra.1); nel vano Yun’ansa di brocca con cerchielli semplici e una “fiasca del pellegrino” che trova confronto in rari manufatti nuragici d’impasto (Ibid., tav. 245.1: tipo 698.Fia.1) e nei “pendagli a pendolo” in bronzo, questi ultimi presenti non solo in Sardegna ma an­che a Populonia e Vetulonia (Lo Schiavo 2000, pp. 207-209, 215-217, figg. 1-2, 4; 2002, pp. 65-67, fig. 8); nel vano Z una brocca con versatoio e un bottone conico in bronzo con appendice superiore discoidale, analogo a esemplari da Santa Vittoria di Serri, dalla tomba 585 di Pontecagnano (Ead. 1994, pp. 63, 81, fig. 1.1-2) e dalle tombe 272 e 384 del Sorbo di Cerveteri (Pohl 1972, figg. 139.1, 258.6) (Primo Ferro IB). Ricordo che il vano Z, un picco­lo ambiente circolare con vasca rettangolare e sedile alle pareti, forse originariamente anche con bacile centrale, richiama esattamente il modello delle “ro­tonde” di Su Nuraxi di Barumini (Paglietti 2009). Allo stesso momento risalgono anche i reperti cera­mici recuperati nello spessore della muraglia recin­toria, che non ho motivo di ritenere inseriti succes­sivamente e che pertanto costituirebbero un termi­nus post quem per la datazione della stessa muraglia. L’insieme di questi elementi pone l’ultimo periodo di occupazione dell’insediamento e della fonte di Nuraghe Pidighi nella fase antica della Prima Età del Ferro. L’abitato del nuraghe Santa Barbara di Bauladu, pur­troppo ancora largamente inedito (Gallin e Sebis 1985; Gallin e Fonzo 1992; Gallin et alii 1994; Sebis 2007, p. 82, fig. 26.9-14), appare caratterizzato da un contesto ceramico identico a quello del vicino insediamento di Pidighi, con una presenza apparen­temente maggiore di ceramica decorata geometrica e con alcune forme caratteristiche del Primo Ferro ben documentate anche a Genna Maria, come i vasi piriformi, le brocche a collo eccentrico sottile, i vasi a saliera, i portabraci, le pintadere; in questo conte­sto si inquadrano le testimonianze di attività fuso­ria, con probabile produzione di bronzetti figurati. Nell’ambito di una casa complessa si rileva un picco­lo vano circolare con vasca rettangolare e sedile alle pareti. Inoltre spicca la grande muraglia recintoria, che diversamente da quella del nuraghe Pidighi mo­stra ampi tratti di un paramento interno e di cui non si conosce il rapporto con le abitazioni periferiche. Nell’insediamento di Duos Nuraghes di Borore (Webster 2001) i contesti delle abitazioni, per quan­to noti in modo frammentario, sono caratterizzati da ceramiche della stessa facies, lisce o ornate da semplici schemi a scanalature o a spina di pesce sul­le anse o, raramente, con decorazione geometrica. La presenza di cospicui depositi del Primo Ferro è confermata da numerose datazioni radiocarboniche calibrate. Anche qui si nota la muraglia perimetrale, che in un saggio di scavo è risultata essere fondata sopra un edificio abitativo preesistente, e che per­tanto potrebbe risalire alle ultime fasi di sviluppo dell’insediamento. Un quadro simile emerge anche dalle prime noti­zie sull’insediamento di Iloi di Sedilo (Tanda et alii 2012; Depalmas 2012). Anche nel nuraghe Losa di Abbasanta e nel va­stissimo insediamento circostante i materiali de­gli scavi più recenti e soprattutto quelli dei vecchi scavi, selezionati per la decorazione geometrica, confermano l’esistenza di un importante conte­sto riferibile all’occupazione della Prima Età del Ferro e di una fase ancora più avanzata, definita da Vincenzo Santoni come Orientalizzante antico (Santoni 1993). Tuttavia la limitatezza degli scavi non consente di connettere il repertorio cerami­co coi corrispondenti edifici abitativi, né di ave­re un’idea dell’organizzazione dell’insediamento; inoltre la possente muraglia recintoria presenta un doppio paramento, come quella di Santa Barbara di Bauladu, e non si addossa alle strutture periferiche, per cui non si può collocare la sua costruzione in un ipotetico schema di sviluppo edilizio. In generale, gli esempi di Pidighi e Duos Nuraghes mi inducono a ritenere che almeno una parte delle nu­merosissime muraglie recintorie degli insediamenti oristanesi (ad es. Benezziddo di Aidomaggiore: Usai et alii 2012b, fig. 1C) possa essere datata a una fase compresa tra il Bronzo Finale terminale e il Primo Ferro, e anzi connotino proprio i principali abitati che non si erano estinti prima e che sono giunti fino a questo momento, rispondendo a un’esigenza diffusa manifestatasi in un’ampia area in un deter­minato periodo. Ciò non esclude la persistenza di numerosi insediamenti non difesi, apparentemen­te anche privi di strutture murarie come quelli del Sinis e della bassa valle del Tirso, tra i quali un certo numero perdura con tutta probabilità dal Bronzo Finale almeno alla fase di transizione al Primo Ferro (Sebis 1998, pp. 114-117, tavv. XVII-XXV; 2009, pp. 38-41, fig. 14; Usai et alii 2012a). Non si ha invece traccia nella Sardegna centro-occidentale di nette cesure come la costruzione di case complesse sui ruderi degli antemurali distrutti, come è noto a Barumini e a Villanovaforru al pas­saggio tra Bronzo e Ferro. In effetti i dati disponi­bili indicano una sostanziale continuità di occupa­zione dei nuraghi, pur senza escludere fenomeni di abbandono, parziale smantellamento e riutilizzo o scadimento funzionale. Nel nuraghe Orgono di Ghilarza, la camera supe­riore ha restituito un contesto ceramico del Primo Ferro connesso col focolare e con una fossa ricavata nel pavimento. La fossa, di forma molto irregolare, appare ricavata nella struttura sottostante e indica un intervento di ristrutturazione del pavimento; ma ciò non fornisce certo argomenti per attribuire a questo periodo la costruzione della parte superiore dell’edificio, costituita da una torretta circolare con camera a tholos sovrapposta ad un preesistente nu­raghe arcaico con camera naviforme. A parte l’as­senza della ceramica grigia chiara oristanese, le for­me vascolari sono molto simili a quelle di Pidighi e di Duos Nuraghes; risaltano alcune ciotole carenate decorate con pastiglie e cordoncini plastici, una sin­golare ansa a maniglia sopraelevata sull’orlo con fila di punti impressi, un paio di fini brocchette con fondo ad anello, anse decorate a scanalature vertica­li parallele e cerchielli concentrici, pareti con sche­mi a spina di pesce e a chévrons, e infine uno ziro con anse a X (Usai 2007, figg. 7-8; 2012a). Nell’area del nuraghe della Madonna del Rimedio o Nuracraba di Oristano si registra una fase di abban­dono dopo il Bronzo Recente e una rioccupazione nel Bronzo Finale terminale; il contesto dell’ultima fase si inquadra nella facies fin qui descritta, con un’ampia varietà di forme tipiche del Primo Ferro come vasi piriformi, vasi a saliera, brocche con anse decorate a cerchielli concentrici, pintadere (Santoni e Sebis 1984; Sebis 2007, p. 82, fig. 26.15-17; 2008; Sebis e Deriu 2012). Nella stessa facies si inquadrano anche i primi ele­menti diagnostici recuperati dalla spianata sommi­tale del nuraghe S’Urachi di San Vero Milis, pur­troppo in condizioni di grave rimaneggiamento antico e recente (Stiglitz et alii 2012, fig. 1E). Il quadro d’insieme così delineato consente di interpre­tare correttamente situazioni come quella del nuraghe Santa Barbara di Macomer, dove i pochi frammenti con decorazione geometrica non vanno considera­ti come residui isolati di sporadiche frequentazioni tardive, ma piuttosto devono essere ragionevolmen­te connessi con un ben più abbondante contesto di forme inornate, finora non adeguatamente illustrate (Moravetti 1986, p. 84, figg. 18.2-3, 22.1). Pur nella carenza di pubblicazioni sistematiche, il quadro proposto dai nuraghi e dagli insediamenti è sostanzialmente confermato dagli edifici di culto isolati e dai santuari. La grande fortuna dei santua­ri nuragici oristanesi durante il Primo Ferro e in parte anche durante l’Orientalizzante antico è at­testata da significativi contesti ceramici e bronzei, che confermano la vitalità del sistema territoriale, ora apparentemente più federale che cantonale, e dell’organizzazione produttiva e sociale aristocrati­ca che in esso si esprime. L’edificio cultuale isodomo a pianta circolare di Corona Arrubia di Genoni ha restituito un contesto ceramico della facies centro-occidentale descritta, senza elementi decisivi per l’attribuzione al Bronzo Finale terminale o al Primo Ferro (Campus et alii 1997). Analoghe considerazioni si possono fare per il contesto pertinente al pozzo sacro di Cuccuru ’e is Arrius di Cabras (Sebis 1982; 1987, tav. II) e per i reperti della fonte o pozzo di Sa Rocca Tunda nel Sinis di San Vero Milis (Stiglitz 1984). Sullo stesso arco costiero di San Vero Milis si ricordano le sin­golari coppette in forma di modelli di nuraghe, con alto piede a tromba e vaschetta decorata con motivi geometrici, recuperate in condizioni non chiare da un deposito indefinito di probabile natura votiva presso la spiaggia di Su Pallosu, che trovano posto nel Primo Ferro (Falchi 2006). La posizione costiera è comune anche al pozzo sacro di Orri di Arborea, da cui provengono pochi ma promettenti materiali nuragici (Sanna et alii 2009, pp. 241, 254-256, fig. 12.10.a-b). A Santa Cristina di Paulilatino la durata del santua­rio era finora documentata solo da alcune fibule, dal tipo ad arco semplice leggermente ingrossato, decorato con fasci di linee anulari incise, motivi a spina di pesce e costolature plastiche (fine X sec. a.C.?), al tipo a sanguisuga cava con staffa lunga e decorazione a costolature e zig-zag (prima metà del VII sec. a.C.) (Lo Schiavo 1978, pp. 30, 36-37, figg. 3.1, 5.7). La documentazione ceramica ora di­sponibile richiama strettamente quella dei contesti oristanesi sopra descritti (Atzeni e Sebis 2012). Dal santuario proviene anche una navicella in bronzo (Taramelli 1913; Lilliu 1966, n. 281; Depalmas 2005, pp. 79-80). A Su Monte di Sorradile è ben noto il contesto cera­mico della facies oristanese (Santoni e Bacco 2008, pp. 559-581, figg. 15-20); si distingue in partico­lare una brocchetta decorata con corpo globulare e collo eccentrico sottile dello stesso tipo documen­tato in contesti del Primo Ferro a Creta, a Mozia, a Cartagine, a Cadice e a Huelva (Lo Schiavo 2005). Inoltre si conosce un gruppo di bronzi d’uso e figu­rati, tra cui emerge una navicella con protome di ariete analoga a quella del ripostiglio di Falda del­la Guardiola di Populonia, che G. Bartoloni pone nella prima metà dell’VIII sec. a.C. (Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4). Tra gli oggetti in ambra si notano diversi vaghi attribuibili al cosiddetto “tipo” Allumiere (non al “tipo” Tirinto), ma nella varietà discoidale di probabile tardiva elaborazione locale (Bacco 2007; Bellintani et alii 2012). Infine si ha notizia di due fibule a sanguisuga (Zucca 2001, p. 52) e di una coppa carenata d’impasto ritenuta de­rivata da prototipi fenici (Bernardini 2005, p. 85, fig. 9.4). A questo contesto si aggiungono i bronzi del cosiddetto ripostiglio di Tadasuni, ora convin­centemente identificato proprio col santuario di Su Monte (Santoni e Bacco 2008, pp. 545-548, fig. 2), tra cui un torciere di tipo cipriota analogo ad esem­plari di fine VIII-VII sec. a.C. da San Vero Milis, Serri, Santa Giusta e Bitia (Tore 1986), e un’ansa sormontata da tre globetti come su un bacile orien­talizzante da Vetulonia (Cygielman e Pagnini 2002, p. 406, tav. II.c-e). All’ambito cultuale appartengono anche i bronzi votivi figurati, compresi i “bottoni” e le navicel­le, anche se spesso rinvenuti in luoghi diversi da quelli di originaria collocazione: oltre a quelli già menzionati da Santa Cristina e Su Monte, si ricor­dano i gruppi di bronzi da Tuvamene o Perdighes di Aidomaggiore, da S’Arrideli di Terralba, da località ignota di San Vero Milis e da Tharros di Cabras, cui si aggiungono ora esemplari isolati dal nuraghe Aurù di Soddì, dal nuraghe Cuccurada di Mogoro, da Monte Benei di San Vero Milis e for­se da Maimoni di Cabras (Lilliu 1953, 1966; Usai 2003; Atzeni et alii 2005; Zucca 1987; 2003, p. 289, fig. 25; 2012). Si ricordano infine una lucerna-barchetta cuoriforme da Abbasanta, una navicella da Ghilarza e quella non conservata proveniente da un ripostiglio, piuttosto che da una tomba, presso il nuraghe Oschina di Paulilatino, in probabile asso­ciazione con frammenti di rame grezzo (Taramelli 1913, p. 101; Lilliu 1966, nn. 270, 324; Depalmas 2005, pp. 28, 47, 49). I manufatti orientalizzanti presenti nei santua­ri non trovano ancora adeguata corrispondenza negli insediamenti. Gli abitati di Su Cungiau ’e Funtana di Nuraxinieddu (Sebis 1994, 2007) e di Su Padrigheddu di San Vero Milis (Stiglitz 2007, pp. 89-90, figg. 6-7; Stiglitz et alii 2012, fig. 1F) documentano la fase recente del Primo Ferro e l’av­vio dell’orientalizzante. In entrambi, le ceramiche di tipo nuragico, pur derivate dalle forme del Primo Ferro iniziale, sono ormai nettamente differenziate da esse nei caratteri tecnici e formali; ad esse si asso­ciano anfore d’impasto tornito e altre ceramiche di tipo fenicio dell’VIII sec. a.C. Permane irrisolto anche nella Sardegna centro-occidentale il problema della scarsità di sepolture dell’Età del Ferro. Le tombe individuali a pozzet­to e a cista di Mont’e Prama di Cabras (Tronchetti 2005) e quelle a pozzetto di Is Aruttas di Cabras (Santoni 1977), disposte in file regolari e raccol­te in necropoli, suggeriscono l’introduzione di un tipo di sepoltura non monumentale che potrebbe essere finora sfuggito sistematicamente alle ricer­che. Nello stesso tempo non si esclude la continu­ità di utilizzo delle tombe collettive monumentali, anche di tipo evoluto e non tradizionale come la tomba di Motrox’e Bois di Usellus (Contu 1955-57; Bellintani et alii 2012; Bellintani e Usai 2012); non si esclude nemmeno l’instaurazione di rituali funerari comportanti la dispersione dei resti cor­porei (Usai 2007). Forse proprio questo quadro di profonda trasformazione può fornire una chiave per interpretare la necropoli di Mont’e Prama col con­nesso complesso di grandi sculture in pietra, sulla cui datazione nell’ambito o verso la fine dell’VIII sec. a.C. si sta formando un importante consenso. A mio parere, le sculture di Mont’e Prama sono il prodotto di un estremo ingigantimento dei bron­zetti votivi, attuatosi in un contesto culturale attra­versato da forti tensioni in un momento di trapasso epocale vivamente percepito e sofferto: cosa in ef­fetti assai probabile nel Sinis alla fine dell’VIII sec., periodo segnato dallo sviluppo prepotente dei cen­tri di Tharros, Othoca e Neapolis.

Fonte:
ATTI DELLA XLIV RIUNIONE SCIENTIFICA,  LA PREISTORIA E LA PROTOSTORIA
DELLA SARDEGNA.
Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009


Nessun commento:

Posta un commento