Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

mercoledì 22 maggio 2019

Archeologia della Sardegna. I nuraghi Articolo di Paolo Melis.


Archeologia della Sardegna. I nuraghi
Articolo di Paolo Melis.
tratto da “Corpora delle antichità della Sardegna, LA SARDEGNA NURAGICA, Storia e monumenti”

Il nuraghe è la costruzione che caratterizza la civiltà sviluppatasi in Sardegna a partire dalla
media età del Bronzo e che da esso prende il nome (Lilliu G. 1962; 1982; 1988; Contu E.
1981; 1998a). Nella tipologia classica, nota con la denominazione di “nuraghe a tholos”, si
distingue sensibilmente dalle strutture nuragiche che lo precedettero: i “protonuraghi”, recentemente
ridefiniti come “nuraghi arcaici” (Ugas G. 2005, p. 70). Proprio dall’evoluzione
di questi ultimi – in una fase del Bronzo medio su cui ancora gli studiosi discutono (BM2 per
alcuni, BM3 per altri), fra XVII e XVI secolo a.C. – si giungerà alla definizione del modulo
di nuraghe con grande camera circolare centrale.
Nuraghi semplici
Nei suoi caratteri generali, il nuraghe è un edificio sostanzialmente modulare che varia in

forma e dimensioni in base al numero e alla disposizione delle replicazioni del modulo base.
Quest’ultimo è costituito da una torre troncoconica – realizzata attraverso la posa di pietre
collocate con una certa cura – al cui interno è sempre presente una camera più o meno circolare
con copertura a tholos. Le murature sono formate da pietre di dimensioni variabili: i massi di maggiori dimensioni, a parte gli architravi degli ingressi, sono generalmente inseriti al piede dell’edificio, talora a costituire una sorta di basamento, mentre le pietre di minori dimensioni sono destinate alla parte sommitale della torre ed in molti casi sono lavorate, talvolta con grande cura (tecnica “isodoma”), in modo da ricavare dei conci dalla caratteristica forma a “coda” oppure a “T” idonei ad assicurare una miglior inserzione nel profilo curvo della muratura e quindi maggiore stabilità.

I materiali, tuttavia, erano per la maggior parte costituiti da pietre grezze reperite in loco oppure
estratte dai banchi di roccia e sbozzate più o meno sommariamente: in molti nuraghi,
soprattutto i complessi più importanti, sono state osservate tracce di una preparazione preliminare
del sito di fondazione, anche con opere di sbancamento che potevano avere l’ulteriore
scopo di fornire lo stesso materiale da costruzione (ad esempio a Duos Nuraghes-Borore). La
posa in opera dei massi comportava un largo uso di piccolo pietrame destinato a regolarizzare
i piani di posa o a riempire gli interstizi che si determinavano nelle murature per la differente
forma dei blocchi maggiori; non è attestato l’uso di veri e propri leganti cementizi, ma veniva
fatto comunque largo utilizzo di fango.
Le strutture murarie dei nuraghi – a differenza dei “protonuraghi” – sono realizzate con filari
ordinati di pietre disposte, con un criterio abbastanza evoluto di sovrapposizione, a corsi alternati
(la pietra superiore fra le due mezzerie di quelle inferiori): questo avviene soprattutto
nelle parti superiori dell’edificio mentre nei livelli inferiori la regolarità è meno marcata e a
volte è anche difficile seguire un unico filare per l’intera circonferenza. In diversi nuraghi pare
evidente che fra le pietre di costruzione siano stati reimpiegati anche dei veri e propri menhir,
sicuramente rinvenuti in loco – spicca fra tutti quello di m 3,20 di lunghezza riutilizzato come
architrave interno nel nuraghe Rodas-Bulzi –, un utilizzo dunque deliberato di questi antichi
manufatti di culto che, considerati gli evidenti problemi nella messa in opera, potrebbe essere
ricollegato alla volontà di rimarcare la sacralità dell’atto di fondazione dell’edificio e di rinsaldare
il legame con i propri antenati.

Le murature delle torri mostrano un’inclinazione più o meno accentuata, di norma intorno
ai 10°, che in molti casi non è costante ma diminuisce fortemente nella parte superiore della
struttura (come nell’esempio del nuraghe Nuraddeo-Suni). Il modulo della camera può essere replicato in verticale, almeno su tre livelli sovrapposti, dando origine a torri di notevole elevazione. Purtroppo, nessun nuraghe ha conservato intatta la parte superiore per cui è impossibile stabilire quale potesse essere effettivamente l’altezza massima di una torre nuragica e quale fosse il numero massimo di camere sovrapposte eventualmente ospitate.
Allo stato attuale, le torri conservano intatta una o due camere sovrapposte, spesso con
tracce di un terzo ambiente crollato: l’altezza massima residua, registrata nel nuraghe Santu
Antine-Torralba, è di m 17,55 – mentre è di oltre 20-21 metri l’altezza originaria ipotizzata
– ma simulazioni informatiche condotte sui materiali di crollo del nuraghe Arrubiu-Orroli indicano
che la torre centrale di quel complesso (alt. residua m 14) dovesse svettare ad almeno
27 metri di altezza. I nuraghi dovevano comunque essere delle strutture piuttosto slanciate,
considerato che il diametro di base negli edifici più imponenti poteva raggiungere i 15 metri
mentre nella generalità delle torri (nuraghi singoli o torri centrali di bastioni complessi) si
attesta intorno ai 10 metri.

Il crollo dell’elevato ci impedisce di verificare come dovesse presentarsi la parte sommitale
di un nuraghe che viene, in genere, ipotizzata sulla base di pochi ma significativi elementi.
In primo luogo, il rinvenimento di mensole litiche – in qualche caso ancora in situ ma più
sovente riverse al suolo fra i materiali di crollo – richiama l’originaria presenza di un ballatoio,
forse ligneo e probabilmente con parapetto, sporgente sul bordo della terrazza; in secondo
luogo, numerose raffigurazioni in pietra e in bronzo di torri nuragiche (ma anche le cortine
di bastioni, di cui parleremo fra poco) mostrano inequivocabilmente una terminazione con
terrazza sporgente su mensole (si veda il contributo di Mauro Perra in questo volume).
Per quanto riguarda la struttura interna, il modulo-tipo di nuraghe prevede la presenza di
almeno tre elementi: la porta di ingresso, il corridoio di accesso e la camera centrale a tholos.
Una quarta componente, data dalla scala per accedere alla sommità dell’edificio e alle camere
superiori, se presenti, pur essendo indispensabile, non è stata riscontrata in molti nuraghi per
lo stato di rovina delle torri o perché effettivamente assente (ad esempio nell’Arrubiu-Orroli
e nel Piscu-Suelli) ed in quel caso vanno ipotizzate soluzioni diverse per l’accesso alle parti
superiori della torre, con scale esterne o con passaggio dagli spalti del bastione (come nel
citato nuraghe di Orroli).

L’ingresso alla torre nuragica avviene di norma attraverso un’unica porta, sempre accessibile
dal piano di campagna ed al più leggermente sopraelevata ma resa facilmente agibile da pochi
gradini. La realizzazione dell’ingresso, eseguita con molta cura, costituiva la sezione architettonicamente più rimarchevole del paramento murario esterno: quasi certamente era qui che venivano posate le “prime pietre” dell’edificio ed il resto della tessitura muraria vi si adattava. Una particolare attenzione era riservata alla realizzazione dell’architrave e delle pietre di stipite su cui esso doveva poggiare. La pietra di architrave, sempre poderosa, veniva spesso arcuata in modo da scaricare lateralmente il peso delle murature sovrastanti; in altri casi era scolpita nella faccia inferiore per ampliare la luce d’ingresso e talora, nel lato interno, poteva presentare una risega di battente per la porta. L’architrave è in genere sormontato da uno spazio ricavato fra le due pietre del filare sovrastante, in funzione di finestrino di scarico, che a volte è sovrastato da un ulteriore spiraglio di scarico a riprova di come i nuragici avessero ben compreso le criticità della parte frontale dell’edificio la cui staticità era compromessa dalla presenza della porta.

Il problema della chiusura dell’ingresso resta ancora sostanzialmente irrisolto; è ipotizzabile una porta di legno che probabilmente veniva solo appoggiata all’uscio dall’interno: infatti, non sono mai stati rinvenuti cardini ed è piuttosto rara la presenza di rozzi battenti, mentre è comune un certo restringimento dell’ingresso rispetto all’andito retrostante. L’ipotesi di una chiusura tramite una lastra di pietra, che pure è stata fatta, non è assolutamente praticabile così come non è credibile la tesi che le porte lignee potessero essere calate dall’alto con funi, utilizzando i condotti che, in un numero assai limitato di nuraghi, si aprivano sul soffitto dietro l’ingresso ed erano in comunicazione con vani superiori (se ne parlerà più avanti). Si notano, invece, in alcuni nuraghi, lievi allargamenti dell’andito subito dopo l’ingresso che avrebbero potuto fungere da spazi per consentire il movimento basculante orizzontale di una porta.
L’andito che conduce alla camera è realizzato nel lato della torre nuragica che mostra il maggior spessore murario. Può essere coperto a lastre trasversali oppure ad aggetto con taglio ogivale: in questo secondo caso, la sua altezza cresce progressivamente verso lo sfocio nella camera. Nella maggioranza dei nuraghi ai lati dell’andito si apre l’apertura affrontata della scala e di una nicchia a lungo definita assai impropriamente “garetta di guardia” ma si conoscono anditi nei quali in luogo della scala si ha una seconda nicchia affrontata alla prima e altri in cui non si affaccia alcun vano.
Quando non si apre a lato del corridoio, la scala parte dall’interno della camera e poi si sviluppa con andamento elicoidale entro lo spessore della massa muraria, a volte con inclinazione poco accentuata, altre con andamento più ripido e percorso più breve. Presenta generalmente gradini più o meno ripidi in alcuni casi sostituiti da un semplice piano inclinato: la copertura del vano-scala è ad aggetto con profilo angolare, salvo alcuni tratti, soprattutto all’inizio, chiusi a lastre trasversali. Lungo il suo percorso si aprono spesso degli spiragli di luce verso l’esterno – in passato erroneamente chiamati “feritoie” – mentre più raramente si possono avere anche piccole aperture rivolte verso la camera (ad esempio nel nuraghe Losa-Abbasanta).

Il corridoio sfocia nella camera a tholos. Il termine, derivato dall’architettura delle più o meno coeve tombe dell’area Egea, soprattutto Micenee, viene spesso alternato alla definizione di “falsa volta”, termini entrambi abbastanza impropri per indicare la copertura delle camere nuragiche per cui attualmente si va affermando la nuova definizione di “corbellatura”, trasposizione forse non molto felice del più corretto termine francese en corbellement. Si tratta, in sostanza, della tecnica elementare del cosiddetto “aggetto” in cui la copertura di pietre è ottenuta facendo sporgere il filare superiore su quello sottostante e restringendone progressivamente il diametro sino ad ottenere, alla sommità, un circolo minimo che poteva essere chiuso da una piccola lastra. La stabilità dei blocchi è garantita dal peso dell’opera muraria che grava sulla parte non aggettante di ogni masso; nei nuraghi, la massa muraria che riempie gli interstizi fra il paramento esterno e le pareti della camera o di altri spazi interni è in genere costituita da pietrame di media o piccola pezzatura oppure anche, più raramente, da una congerie di pietrisco e terra.

L’ambiente a tholos, continueremo ad usare questo termine per comodità, in posizione decentrata
rispetto alla planimetria della torre, è in genere circolare o al più leggermente ellittico ma
esistono rari casi in cui il profilo di base è tendente al quadrangolare (nuraghe Rodas-Bulzi)
che negli elevati torna ad assumere la consueta forma circolare. Il diametro della camera può
variare notevolmente, soprattutto in relazione alla mole del nuraghe: in genere oscilla fra i 4
e i 5 metri (è di poco superiore ai 5 nel piano terra del nuraghe Santu Antine-Torralba; di m
4,80 nella camera di base del Su Nuraxi-Barumini) ma si conoscono ambienti che raggiungono
i m 6,50 (Is Paras-Isili) e persino i 7 metri (Santa Barbara-Villanova Truschedu). L’altezza
della camera principale, analogamente, varia dai circa 12 metri del nuraghe Is Paras-Isili, agli
11 del nuraghe Arrubiu-Orroli, per scendere sino ai m 7,80 di Su Nuraxi-Barumini e 7,55
del Santu Antine-Torralba: difficilmente una camera del piano terra poteva essere inferiore
ai 6,50-7 metri.
In molti nuraghi le pareti dell’ambiente non presentano alcun vano accessorio mentre in
alcuni si osservano modeste rientranze che ne ampliano la superficie (nuraghi Su Nuraxi-
Barumini, Palmavera-Alghero); nella maggior parte dei nuraghi, tuttavia, la camera è ampliata
da piccoli vani sussidiari a pianta semiellittica o trapezoidale, che si suole definire “nicchie”,
analoghi a quello presente nell’andito, che si addentrano nella massa muraria: possono essere
in numero da uno a quattro ma lo schema più diffuso, quasi “canonico”, è quello che ne prevede
tre con disposizione cruciforme lungo gli assi di ingresso e trasversale. Talora, queste
nicchie terminano con tratti laterali che corrono per qualche metro paralleli al paramento
esterno della torre. Nel nuraghe Santu Antine-Torralba si ha un corridoio anulare continuo
che gira tutt’attorno alla camera con la quale comunica attraverso tre ingressi (corrispondenti
alle tre nicchie in schema cruciforme del nuraghe-tipo).

Come anticipato, un altro vano con affaccio sulla camera è la scala – in alternativa alla consueta
disposizione con partenza dall’andito di ingresso – il cui accesso è notevolmente sopraelevato
(anche sino a 6 metri da terra nel nuraghe Is Paras-Isili), probabilmente per non
indebolire la struttura di base dell’ambiente, e doveva avvenire con scale di legno. Ritenuta
forse a torto come espediente meno “evoluto”, questa soluzione è stata interpretata in chiave
“militarista” e ricollegata all’esigenza di isolare le parti superiori della torre nel caso di intrusione
nemica all’interno della camera. In realtà, l’accesso che oggi ci appare difficoltoso in
origine doveva avvenire comodamente attraverso soppalchi lignei che dividevano l’alta tholos
in due o più livelli, tutti raggiungibili tramite scale di legno: le pavimentazioni dei soppalchi
potevano poggiare su tronchi inseriti in interstizi risparmiati fra le murature (ne sono stati
osservati in numerosi nuraghi) oppure su pilastri (tracce a Duos Nuraghes-Borore, Torre A)
o anche su strutture lignee a castelletto.
In alcuni nuraghi i soppalchi di legno, poggianti su riseghe appositamente realizzate nelle
murature della camera, erano serviti dalla stessa scala intramuraria, in alternativa alla realizzazione
di vere e proprie camere indipendenti: un’unica tholos, quindi, svolgeva la funzione di
più tholoi sovrapposte (nuraghi Oes-Giave, Porcalzos-Borore).
Quest’ultimo espediente tecnico è tuttavia limitato a pochi casi accertati, anche se il loro
numero, con il recente progresso delle ricerche, è in continua crescita: nella generalità dei
nuraghi, invece, si preferì adottare il consueto sistema della sovrapposizione di camere a tholos
indipendenti.

Le camere superiori sono di dimensioni progressivamente più piccole rispetto a quella del
piano terra per adeguarsi al profilo troncoconico della torre e quindi al minor diametro dei
livelli più elevati. La camera del primo piano, in genere, mostra ancora dimensioni significative
(m 5,30 di altezza nel nuraghe Santu Antine-Torralba) e può essere ampliata da nicchie;
gli ambienti del secondo piano invece, nei pochi casi in cui ne sono state riscontrate tracce,
sono modestissimi e spesso delle dimensioni di semplici ripostigli.
L’accesso alle camere superiori avviene tramite la scala intramuraria: nel caso di scala d’andito,
con sviluppo continuo sino alla terrazza dell’edificio, il collegamento tra la scala e la
camera avviene tramite un breve andito; se è presente la scala di camera, ogni rampa termina
all’interno della camera superiore da cui poi parte la rampa successiva con le stesse modalità
del piano terra. In asse con l’accesso al pianerottolo che dalla camera porta alla scala, sulla facciata esterna si apre una finestra-balcone che, analogamente alla porta di ingresso al piano terra, da luce ed
aria alla stanza.

Oltre alle camere, vani di raccordo (anditi, scale) e loro eventuali spazi accessori (nicchie),
una torre nuragica può ospitare, ricavati nella massa muraria, diversi altri ambienti minori,
destinati a magazzino oppure a locali per determinate attività domestiche.
Il vano più caratteristico è costituito da una celletta ricavata sovente al di sopra dell’andito
di ingresso e in comunicazione con quello tramite stretti canali o, raramente, botole: le dimensioni
sono generalmente contenute ma abbiamo esempi (soprattutto nella Nurra e in
Anglona) di vani abbastanza ampi (m 5x2 nel nuraghe Paddaggiu-Castelsardo), ben ventilati
e illuminati da “feritoie” (fino a quattro, nel nuraghe Sant’Andria-Sassari). Gli ambienti
possono essere raggiunti da anguste scale intramurarie che hanno origine da una nicchia
della camera del piano terra – raramente del piano superiore – oppure direttamente da un
accesso sopraelevato nella parete della camera stessa. Spesso sono muniti di una finestra in
comunicazione diretta con la camera centrale: con la loro scala dovevano essere funzionali
all’accesso al ballatoio di legno che spartiva in due livelli la tholos, ma in alcuni casi (nuraghe
Santu Antine-Torralba), dove non era presente la scaletta sussidiaria, il finestrone costituiva
l’unico accesso al vano ed era quindi il ballatoio (con la sua scala di legno) a consentirne il
raggiungimento.
Altri vani possono essere ricavati entro le murature, in genere nel pavimento dei piani superiori
oppure lungo il percorso della scala: si tratta di solito di ripostigli a silo, con accesso
dall’alto, talora anch’essi provvisti di piccole aperture verso l’esterno. Eccezionale è, invece,
la presenza di pozzi o ripostigli interrati all’interno della camera del piano terra, come nel
caso del nuraghe Is Paras-Isili. Alcuni, rari nuraghi presentano anche dei locali sotterranei,
in parte o in tutto scavati nella roccia, a volte accessibili da scale discendenti: nel nuraghe
Rumanedda-Sassari, nel piccolo ambiente sotterraneo è scavato un pozzo per l’acqua.

Nuraghi complessi
Il tipico nuraghe a tholos “monotorre” caratterizzò il paesaggio archeologico dell’isola nel
primo periodo della sua diffusione, ma in tempi brevissimi – per alcuni studiosi, addirittura
in contemporanea – si giunse all’idea della replicazione del modello in orizzontale, dando vita
a complessi nuragici pluriturriti di varia forma e dimensione.
Se appare innegabile il fatto che molti nuraghi complessi abbiano avuto una prima fase come
torre semplice ed essere stati ampliati successivamente, in molti complessi, tuttavia, è stato
riconosciuto un progetto unitario nella realizzazione della torre originaria e dei corpi aggiunti:
in ogni caso, la tecnica costruttiva prevedeva comunque la realizzazione preliminare di una
torre singola centrale, (chiamata “mastio”), a cui veniva poi addossato per giustapposizione
il resto delle strutture. Il tipo di addizione può prevedere l’aggiunta da una a cinque torri, quasi sempre di dimensioni inferiori alla torre originaria che doveva svettare sull’intero complesso, di norma in modo netto e imponente (nuraghi Santu Antine-Torralba, Su Nuraxi-Barumini, Arrubiu-Orroli) ma a volte in maniera assai meno marcata (nuraghe Losa-Abbasanta).

Le torri secondarie, soprattutto negli schemi più semplici, possono addossarsi al mastio separatamente (addizione “tangenziale”) oppure essere raccordate da cortine murarie, rettilinee
o ad andamento sinuoso, a formare un vero e proprio bastione turrito che ingloba la torre in
posizione centrale. Il differente grado di articolazione dei complessi nuragici sembrerebbe far trasparire i segni di un’organizzazione gerarchica del territorio; gli schemi variano dalla semplice aggiunta di una piccola torre, laterale o frontale, per arrivare al modulo forse più diffuso fra le “fortezze” di livello medio-basso, costituito dal bastione frontale con due torri (bilobato) e talora anche un piccolo cortiletto. Da questo schema bilobato si svilupperanno i complessi più importanti
– centri di potere di primo o secondo livello punto di riferimento del proprio territorio
– con l’aggiunta di una o due torri sul retroprospetto che produce planimetrie trilobate
(Santu Antine-Torralba, Losa-Abbasanta, Voes-Nule) e quadrilobate (Su Nuraxi-Barumini,
Santa Barbara-Macomer). Decisamente rari sono i complessi pentalobati – di cui sono noti
solo i quattro esempi dei nuraghi Arrubiu-Orroli, Genna Corte-Laconi, Nureci-Villamar e
Cobulas-Milis – mentre nel singolare caso del nuraghe Su Sonadori-Villasor ben sei torri si
dispongono attorno al mastio principale senza peraltro creare un vero e proprio bastione.

Le dimensioni di questi complessi possono essere assai ragguardevoli: il trilobo di Santu
Antine-Torralba misura circa m 39 di lunghezza su entrambi gli assi, mentre m 40x35 misurano le diagonali del romboide che caratterizza il disegno di pianta del Su Nuraxi-Barumini.
Accanto ai molteplici esempi di complessi nuragici che seguono, in certa misura, gli schemi
regolari fin qui richiamati, esiste un numero altrettanto consistente, e forse addirittura preponderante,
di strutture che si potrebbero definire “irregolari”, per quanto questo termine, riferito ad architetture dell’età del Bronzo, non abbia molto significato. Si nota, soprattutto, la differenza fra una progettualità matura ed articolata – capace di realizzazioni complesse ed ordinate attraverso la mobilitazione di un’ingente forza lavoro di qualità – ed una fabbrica più  “artigianale” di strutture inizialmente più semplici – realizzate con il concorso di maestranze locali a livello di villaggio – che in seguito potevano modificarsi ed ampliarsi, a seconda di mutate esigenze o crescita di importanza nel contesto del territorio, subendo trasformazioni o restauri ed assumendo schemi planimetrici del tutto atipici che rischiano di far diventare puro esercizio accademico qualsiasi tentativo di inquadrare l’architettura dei nuraghi complessi in categorie tipologiche ben distinte, come pure è stato fatto (addizione frontale, laterale, trasversale, concentrica, etc.).

Molti bastioni sono provvisti di cortile, di ampiezza maggiore nei complessi più grandi: quello
del nuraghe Santu Antine-Torralba ha una superficie di poco superiore ai mq 95, quasi
il doppio di quello del Su Nuraxi-Barumini (mq 56). Le pareti dei cortili sono in marcato
aggetto e quasi certamente i vani dovevano essere coperti: i maggiori forse con l’ausilio di
strutture lignee, quelli minori interamente con filari di pietre, com’è testimoniato nel nuraghe
quadrilobato di Appiu-Villanova Monteleone. Nei cortili è quasi sempre presente un pozzo
per l’acqua, ma in alcuni nuraghi ve ne sono altri, localizzati in differenti vani del bastione: al
Santu Antine-Torralba i pozzi sono complessivamente tre.
Le torri dei bastioni sono raccordate da corridoi in comunicazione con il cortile o, se questo
è assente, con l’andito di ingresso del bastione; in alcuni nuraghi esistono corridoi anche nei
livelli superiori (Santu Antine-Torralba, Voes-Nule).
Le torri dei bastioni possono essere ben distinte dalle cortine (bastioni a profilo retto-curvilineo)
o completamente fuse con esse (profilo concavo-convesso) e sono in genere munite di
“feritoie”: analogamente alle camere delle torri centrali, possono avere la tholos suddivisa in
più livelli da soppalchi lignei.

Particolarmente complesse sono le torri angolari del bastione del Su Nuraxi-Barumini, articolate
su quattro livelli: la camera di base era certo divisa in due da un soppalco – come
dimostrano i due ordini di feritoie – ed era sormontata da una camera superiore alla cui base
è ricavato un grande ambiente a silo, intermedio fra il pavimento del primo piano e la tholos
del piano terra. Come nelle torri nuragiche, infatti, anche nelle mura dei bastioni possono
essere ricavati vani sussidiari (nicchie, silos e ripostigli) accessibili dalle torri, dalle piattaforme
dei bastioni o aperti sul percorso delle scale.
I bastioni dei complessi, ma talora anche singoli nuraghi monotorre, possono essere racchiusi
entro cinte murarie più esterne, talvolta provviste anch’esse di torri – quelle che, in analogia
con l’architettura castellana medievale, si suole definire “antemurali” – in genere realizzate a
breve distanza dal bastione e sovente divise in diversi cortili, forse a separare le pertinenze di
differenti gruppi familiari.

In alcuni bastioni di nuraghi complessi, ma anche in alcuni monotorri, sono state notate
tracce di rifasci delle murature: spicca fra tutti quello poderoso del nuraghe Su Nuraxi-Barumini
(spess. m 3; alt. m 7) che obliterò l’ingresso originario e costrinse quindi gli abitanti
ad utilizzare una scala per raggiungere la nuova apertura, posta a 7 metri di altezza, ed una
seconda scala interna, sempre lignea, per scendere nel cortile ed accedere al mastio ed al
bastione.

Tramontata oramai l’obsoleta teoria di un rifascio difensivo per resistere agli improbabili
colpi di arieti d’assedio di altrettanto improbabili invasori esterni, appare chiaro come il rifascio
sia da imputare a cedimenti strutturali del terreno di fondazione, soprattutto nella zona
dell’ingresso che venne quindi sacrificato.
Per concludere, va ricordato che l’architettura dei nuraghi presenta numerosissime varianti
che non rientrano nello schema della torre isolata o delle torri aggregate ad un mastio centrale, ed altre che addirittura non prevedono nemmeno la presenza di torri. Nel primo caso, possiamo annoverare diverse muraglie turrite, alla stregua di antemurali, che recingono soprattutto piccoli rilievi isolati o parti di essi: si ricordano soprattutto quelle di Sa Urecci-Guspini e di Antigori-Sarroch sebbene in quest’ultimo esempio l’assenza di un nuraghe al centro del pianoro non sia del tutto certa. Nel secondo caso, si segnalano diverse strutture definite “recinti nuragici”, che in genere sono costituite da tratti più o meno brevi di cortine murarie poste ad integrare affioramenti di roccia, sul bordo di pianori dai lati scoscesi.

Diffusione
I nuraghi sono diffusi in tutta la Sardegna, con aree di maggiore o minore concentrazione, comprese
anche le isole di Sant’Antioco e San Pietro. Sono assenti solo nei rilievi più alti del massiccio
del Gennargentu, nell’hinterland cagliaritano ed in pochissime altre aree, oltre che in tutte
le altre isole minori con l’eccezione, per certi versi sconcertante, della piccola ed anche molto
distante dalla costa isoletta di Mal di Ventre, dove è segnalato un nuraghe su cui però andrebbero
fatte indagini più accurate.
Nell’affrontare argomenti sulla diffusione e sul numero dei nuraghi bisogna premettere che, dalle
fonti ed anche dallo stato dei ruderi, non è sempre agevole distinguere i nuraghi dai protonuraghi
– per cui i dati vanno intesi cumulativi di entrambe le tipologie – che, peraltro, vennero integrati
nei nuovi sistemi di occupazione e controllo territoriale.
Quanti erano quindi i nuraghi? La domanda, forse, non avrà mai una risposta definitiva, anche
perché molti sono quelli oramai scomparsi.

Raccogliendo i dati ad oggi disponibili – che comprendono le informazioni acquisite in primo
luogo dalle carte archeologiche di Antonio Taramelli, dalle tesi di laurea di catalogo avviate dalle
Università di Cagliari e di Sassari e dai lavori di censimento promossi dalle due Soprintendenze Archeologiche sarde e da vari enti locali, in secondo luogo sui WebGIS disponibili (portali Tharros.
info curato da Timbert Krie e Wikimapia) – si è elaborato un database provvisorio che comprende
6523 records corrispondenti, seppur con variazioni minime dovute alla mancata segnalazione
di alcuni monumenti, al numero di nuraghi della cui localizzazione si abbia effettiva notizia.
Fra i comuni della Sardegna, solamente 10 non presentano alcun nuraghe (Belvì, Bugerru, Cagliari,
Elmas, La Maddalena, Monserrato, Musei, Selargius, Simaxis e Arborea su cui pende il
giudizio circa la notizia non verificata di un nuraghe scomparso), 25 hanno nel loro territorio un
solo nuraghe, ben 96 non annoverano nel loro patrimonio archeologico più di cinque nuraghi.
All’estremo opposto sono i comuni nei quali la concentrazione di nuraghi è particolarmente rilevante,
con oltre 100 monumenti: a cominciare dal vastissimo territorio di Sassari (158 nuraghi),
per seguire con quelli di Ozieri (126), Chiaramonti (124), Macomer (109), Paulilatino e Alghero
(entrambi 103). Altri 17 comuni annoverano fra 50 e 100 nuraghi, e fra questi, con almeno 80
monumenti, spiccano Nulvi (88) e Cabras (80).

Più significativo è, invece, il dato della densità per chilometro quadrato che tiene conto della
estensione dei territori interessati. Vediamo quindi come il dato apparentemente sensazionale
della Nurra, con i territori di Sassari ed Alghero, ne esca piuttosto ridimensionato: se Alghero
mostra una densità moderatamente superiore alla media (0,46 nuraghi per kmq, contro una
media regionale di 0,27), Sassari è invece da considerarsi nella media (0,29). I dati invece di gran
lunga più rimarchevoli si osservano nei territori compresi fra l’Alto Oristanese ed il Marghine:
Bonarcado è il comune con la più elevata densità, di ben 1,72 nuraghi per kmq, vale a dire più di
sei volte quella regionale. Al secondo posto troviamo Aidomaggiore con 1,55 nuraghi per kmq,
mentre al terzo vi è Boroneddu con 1,35. Seguono quindi i comuni dell’Anglona, altra regione
che anche nei valori in assoluto mostrava una significativa concentrazione di nuraghi: Nulvi
presenta 1,30 monumenti per kmq e Chiaramonti 1,26. Fra gli altri territori comunali che annoverano
almeno un nuraghe per kmq, abbiamo ancora l’Alto Oristanese, l’Anglona, ma anche il
Logudoro e la Marmilla: Seneghe (1,20), Florinas (1,16), Mara (1,13), Assolo (1,10), Barumini
(1,06), Cheremule (1,03), Bulzi (1,02), Flussio (1,02), Abbasanta (1,00), Siddi (1,00). Spicca anche
il piccolo comune nuorese di Lodine, che in un territorio di poco più di 7,5 kmq ospita ben 9
nuraghi, con densità di 1,18 per kmq, mentre sempre per l’Alto Oristanese e l’Anglona non possiamo
non citare anche i territori di Paulilatino e di Perfugas, entrambi con 0,99 nuraghi per kmq.
In conclusione, osservando la carta generale di distribuzione in base alle densità per kmq, notiamo
come la massima diffusione di nuraghi e “protonuraghi” riguardi prevalentemente la fascia
centro e Nord-occidentale dell’isola, mentre fra le aree meno coinvolte è interessante sottolineare
come, oltre ai territori di aspra morfologia che caratterizzano la fascia orientale dell’isola (dalla
Gallura sino al Sarrabus-Gerrei) vi sia anche l’intera pianura del Campidano.

Eppure, osservando la distribuzione in relazione alle fasce altimetriche, si può notare come i
costruttori di nuraghi non disdegnassero le quote basse, anche se è decisamente preponderante
la scelta di siti di tipo collinare. I nuraghi compresi entro i 100 metri di quota sono 1247 (pari al
19,12%) e di questi 599 sono compresi entro i 50 metri, mentre sono 109 i nuraghi eretti ad una
quota entro i 10 metri s.l.m. Inferiori, anche se non di molto, sono i nuraghi che sorgono fra 100
e 200 metri (1033: 15,84%), fra 200 e 300 (1120: 17,17%) e fra 300 e 400 (1141: 17,49%). Fra
i 400 e i 500 metri, si ha una netta flessione (694: 10,64%), che prosegue con una ripida curva
discendente man mano che la quota procede in elevazione: al di sopra dei 1000 metri s.l.m., nel
complesso, si contano soltanto 68 nuraghi.
A proposito dei siti di montagna, la quota maggiore colonizzata dai nuragici è rappresentata
dal nuraghe Bruncu Nuraghe-Desulo, ubicato a 1331 metri a dominio del passo di Tascusì:
nessun’altro nuraghe supera i 1300 metri, mentre fra i 1200 e i 1300 troviamo solamente i nuraghi
Orotzeris-Talana (1243) e Nostra Signora del Monte-Fonni (1233). Esiste, in realtà, una
segnalazione controversa relativa ad un presunto nuraghe Su Calavrighe-Desulo, riportato sulle
carte IGM, che con i suoi 1428 metri di quota potrebbe risultare il più elevato della Sardegna:
la ricognizione diretta sul posto ha tuttavia permesso di verificare che il manufatto indicato è in
realtà un modesto capanno di pastori.

Fra i siti che invece sorgono a quote molto basse, com’era lecito attendersi, è preponderante
l’ubicazione in aree costiere o di immediato entroterra: da notare che dei 51 nuraghi che sorgono
entro i 5 metri di quota s.l.m., ben 32 sono localizzati nell’area del Golfo di Oristano (16 a Cabras,
8 a San Vero Milis, 4 a Riola Sardo, 2 a Santa Giusta, 1 a Oristano e Terralba).
Il rapporto dei nuraghi con la costa, in realtà – sebbene recenti studi abbiano cercato di rivalutarlo
enfatizzando oltremodo alcuni casi-studio – ad un esame globale del fenomeno pare
confermarsi come un aspetto estremamente marginale dell’insediamento nuragico. È necessario,
peraltro, valutare i limiti imposti all’analisi dalla scarsa conoscenza dei mutamenti intervenuti
sulla linea di costa nel corso del tempo. Si consideri che su 6523 nuraghi, solamente 17
si situano entro 100 metri dalla linea di costa; il dato non sembra migliorare nemmeno se ci si
allontana leggermente, poiché fra i 100 e i 200 metri troviamo appena 21 nuraghi, 18 fra i 200
e i 300, 20 fra i 300 e i 400. In complesso, entro la fascia di un chilometro dalla costa troviamo
solamente 222 nuraghi: il che significa che le vie di accesso al mare dovevano essere sicuramente
presidiate, sebbene in maniera non massiccia, mentre le dirette attività costiere e/o marittime
non dovevano essere oggetto di una particolare vigilanza. A puro titolo di curiosità statistica,
diremmo che i nuraghi più vicini alla costa, entro i 10-15 metri di distanza, sono il già richiamato
nuraghe dell’Isola Mal di Ventre-Cabras ed il nuraghe Municca-Santa Teresa Gallura:
oltre questi, tutti gli altri nuraghi costieri non distano meno di 50 metri dal mare. Il nuraghe in
linea d’aria più lontano dalla costa, invece, è il nuraghe Mandra Ingannu-Bultei (circa 53 km).

L’analisi dei dati conferma anche lo stretto legame fra i nuraghi e la disponibilità di risorse idriche,
già rilevato in diversi studi precedenti a partire dalla vicinanza con i corsi d’acqua. Le più
alte percentuali di nuraghi si concentrano nelle fasce di distanza più ridotte: entro 100 metri da
un corso d’acqua si situano 1180 siti (18,08%), ma la più alta concentrazione si ha fra i 100 e i
200 metri (1692: 25,94%). Ancora fra i 200 e i 300 metri di distanza si ha una forte presenza di
nuraghi (1221: 18,72%) mentre fra 300 e 400 metri la flessione è netta (809: 12,40%) e segna
l’inizio di un crollo rapido e progressivo dei valori inversamente proporzionale alla crescita della
distanza: oltre il chilometro si hanno percentuali irrisorie e va anche detto che in queste fasce
di distanze figurano molti nuraghi dell’Alto Sinis – di Cabras in particolar modo – che sorgono
in prossimità di specchi d’acque interne (stagni, soprattutto), i quali potevano ben sopperire alle
necessità idriche in luogo di veri e propri corsi d’acqua.

L’analisi della distribuzione in base alla litologia dei siti in cui furono eretti i nuraghi mostra
chiaramente la netta predilezione per le formazioni basaltiche del complesso vulcanico pliopleistocenico, con 1326 monumenti pari ad una densità di 0,87 per kmq: si tratta infatti delle
formazioni geologiche che caratterizzano le regioni del Marghine-Planargia e dell’Alto Oristanese
(Montiferru ed altopiano di Abbasanta), che abbiamo già visto essere quelle più ricche
di nuraghi. Seguono le analoghe formazioni effusive (trachiti, andesiti, etc.) del più antico
complesso vulcanico oligo-miocenico, con 1269 nuraghi e densità di 0,55 per kmq: sono le
formazioni tipiche soprattutto dell’Anglona, altra regione con fortissima concentrazione di
monumenti. Molto alta anche la densità di nuraghi nelle tenere formazioni calcaree della successione
sedimentaria oligo-miocenica (1141: densità di 0,49 per kmq): riguardano soprattutto
il Logudoro e la Marmilla, anch’esse regioni con buona presenza di nuraghi. Per quanto riguarda
le grandi formazioni litologiche più antiche (graniti, scisti, etc.) che caratterizzano, in
maniera preponderante, la geologia dell’isola, soprattutto nell’intera fascia orientale (dall’Alta
Gallura sino a Villasimius) e nel Sulcis-Iglesiente, notiamo come la densità di nuraghi sia
al di sotto della media, a volte in maniera molto marcata: 0,22 nuraghi per kmq (1387 monumenti)
è la densità che si registra per il complesso intrusivo e filoniano tardo-paleozoico mentre appena 0,09 (434 nuraghi) è quella relativa al basamento metamorfico paleozoico.

Anche i depositi quaternari, vale a dire il substrato che caratterizza le pianure del Campidano e
della Nurra, oltre che piccole vallate interne o alvei di corsi d’acqua, mostrano una densità irrisoria:
0,13 nuraghi per kmq (663 monumenti). Va detto che quest’ultimo tipo di litologia, offre
raramente materiali utili per la costruzione di nuraghi (come, ad esempio, le arenarie dell’Algherese),
per cui si aveva anche la necessità di reperire i blocchi di pietra dalle formazioni geologiche
circostanti: è il caso della Nurra, in cui i nuraghi sono realizzati in calcare o in trachite.
In generale, a livello globale sembra comunque confermato quanto già era emerso precedentemente
in studi territoriali più limitati: vale a dire, come la distribuzione dei nuraghi sembri prediligere
le formazioni litologiche in grado di offrire buona scelta di materiali lapidei già disponibili
naturalmente in blocchi oppure facilmente estraibili e lavorabili.
Per quanto concerne la distribuzione dei nuraghi in relazione alla suscettività agricola dei terreni,
abbiamo utilizzato la carta pedologica di Aru (Aru A. et alii 1991), poiché più rispondente alle
esigenze di analisi di sussistenza rispetto alla recentissima carta dell’uso del suolo della Sardegna
nell’ambito del progetto europeo CORINE-Land Cover.

Le più alte concentrazioni di nuraghi si hanno in unità pedologiche caratterizzate da suoli principali
relativamente poveri o poverissimi, non adatti all’uso agricolo moderno secondo i criteri
FAO e USDA ma che, se riferiti ad un’economia di sussistenza come quella preistorica e protostorica,
potevano forse essere coltivati in maniera estremamente limitata, soprattutto nei pochi
lembi caratterizzati dalla presenza di suoli secondari che comunque non andavano oltre la classe
quarta (suoli con limitazioni molto severe). L’utilizzo principale era tuttavia quello destinato al
pascolo, quindi all’allevamento, soprattutto di ovini: la densità massima (0,56 nuraghi per kmq) si
registra nella classe quinta, con suoli adatti a pascoli non particolarmente intensivi, sebbene vada
rimarcato che si tratta di una unità cartografica di estensione irrisoria (appena 194 kmq, con 109
nuraghi). Ben più significativo il dato delle classi sesta e ottava, adatte al pascolo rispettivamente
con importanti limitazioni o addirittura con limitazioni severissime a causa delle forti pendenze:
per la prima, abbiamo una densità di 0,41 nuraghi (1516 su una superficie di 3671 kmq) mentre
per la seconda la densità è di 0,34 (1665 nuraghi su 4859 kmq). Al di sotto della media regionale
(0,27) troviamo invece i nuraghi che si dispongono sulle unità cartografiche caratterizzate dai
suoli maggiormente adatti all’uso agricolo, anche se in termini assoluti la loro consistenza appare
meno significativa: 0,25 nuraghi per kmq è la densità sui suoli di classe prima (317 su 1257 kmq)
e 0,23 su quelli di classe seconda (288 su 1293 kmq), mentre sulla classe terza si registra una
densità di appena 0,17 (370 nuraghi su 2229 kmq). Il grosso dei nuraghi (ben 2246 siti), invece, si
distribuisce uniformemente sulla maggiore unità cartografica presente, la settima, che con i suoi
10489 kmq è di poco inferiore alla metà della superficie dell’isola: la densità è quindi abbastanza
bassa (0,21), anche se non eccessivamente inferiore alla media regionale. Sembra quindi evidenziarsi
una distribuzione dei nuraghi particolarmente legata ad un’economia di tipo pastorale, in
cui tuttavia l’agricoltura è presente seppure a livello di soddisfacimento di fabbisogni locali. Giova
comunque ricordare che si tratta di studi pedologici sullo stato attuale dei suoli.

Un altro aspetto, riguardo alla diffusione dei nuraghi nel territorio, è quello relativo alle loro interrelazioni, osservate analizzando la distanza minima reciproca fra i siti. Diciamo subito che nel
modello nuragico di occupazione dello spazio la prossimità è un fatto decisamente raro, poiché
sono solamente 36 (0,55%) i nuraghi che distano entro 100 metri dal più vicino: si tratta, nella
quasi totalità, di coppie di nuraghi che in alcuni casi si aggregano in complessi, come il già richiamato caso di Duos Nuraghes-Borore (due nuraghi distanti 10 metri), o i due nuraghi di Miali-
Sindia (19 metri), mentre nel caso di Carrarzu Iddia-Bortigali (23 metri) un nuraghe integra il sito
di un precedente protonuraghe. Altre coppie di nuraghi ubicati entro i 100 metri sono presenti
a Cabras, Domus de Maria, Gonnostramatza, Macomer, Muravera, Norbello, Ottana, Romana,
Santu Lussurgiu, Uri, Usellus e Sedilo. Estendendo la distanza, la frequenza di nuraghi aumenta
progressivamente ma ancora fra i 100 e i 200 metri si hanno solo 201 nuraghi (3,08%), mentre il
loro numero è più che doppio nella successiva fascia fra i 200 e i 300 metri (481: 7,37%).
La distanza ottimale fra un nuraghe e l’altro, tuttavia, si aggira fra i 300 e i 700 metri, con valori
piuttosto elevati: 784 nuraghi (12,02%) fra i 300 e i 400 metri, 825 (12,65%) fra 400 e 500 metri,
799 (12,25%) fra 500 e 600 metri, 679 (10,41%) fra 600 e 700 metri. Oltre questa distanza, i valori
decrescono in maniera progressiva e repentina: 7,44% fra 700 e 800 metri; 6,48% fra 800 e 900
metri; 5,07% fra 800 e 1000 metri. Fra i 1000 e i 2000 metri di distanza, le percentuali di nuraghi
calano dal 4,05% della fascia fra 1000 e 1100 sino allo 0,66% di quella fra 1900 e 2000 metri,
mentre in un raggio ancora maggiore i numeri diventano irrisori.
Trascurando l’isolatissimo nuraghe dell’isola Mal di Ventre (distante 8613 metri dal nuraghe più
vicino) e limitandoci alla terraferma, il nuraghe maggiormente isolato risulta essere il Domu ’e
s’Orku-Domusnovas (7162 metri), seguito, con distanze superiori ai 6 chilometri, dai nuraghi
Bau Espis-Arbus (6356 metri), Cuccuru Ibba-Assemini (6308 metri), Matta Manna-Dolianova
(6229 metri), Brunku Nuraghe-Desulo (6203 metri), Aldalà-Olbia (6091 metri). Si tratta, come
si può notare, di nuraghi del Campidano, Sulcis-Iglesiente e Arburese, Nuorese, Gallura e non a
caso anche fra i nuraghi che mostrano distanze fra i 5 e i 6 chilometri compaiono sempre siti appartenenti a queste stesse regioni. Si rafforza quindi l’idea già emersa incrociando i dati delle altre
variabili esaminate in precedenza, vale a dire quella di un’isola in cui l’occupazione dello spazio da
parte dei nuraghi segue modelli differenti a seconda delle diverse aree: maggior concentrazione,
regolarità ed efficienza di distribuzione secondo un network a maglie di media ampiezza, nelle
zone centro e Nord-occidentali; maggior rarefazione e minor presidio del territorio nella fascia
orientale, nel Campidano e nel Sud-Ovest.

Questo schema di diffusione sembra trovare significative conferme anche dall’analisi tipologica
dei monumenti, sebbene questo genere di studi, per quanto di fondamentale importanza, non
abbia avuto finora grande sviluppo, in primo luogo per la carenza di dati di dettaglio derivanti da
puntuali rilevamenti dei monumenti, in secondo luogo per l’enorme consistenza numerica del
record da analizzare. Non avendo ancora a disposizione un campione statisticamente considerevole
di dati relativi alle caratteristiche costruttive generali, recenti studi si sono soffermati su alcuni
aspetti particolari delle architetture dei nuraghi a tholos, quali indicatori di differenti tradizioni
ed esperienze locali (Melis P. 2005): in particolare, l’attenzione è stata rivolta alla presenza di vani
sussidiari ricavati all’interno dello spessore murario dei nuraghi, soprattutto nei monotorri o nel
mastio di nuraghi complessi.
Sono emerse sostanziali differenze sia a livello regionale che a livello di ambiti territoriali più ristretti, ma il dato forse più significativo riguarda la distribuzione dei nuraghi in cui è presente una
celletta sussidiaria al di sopra dell’andito di ingresso: l’area interessata è proprio quella di maggior
concentrazione evidenziata in precedenza, costituita dalla Sardegna centro-occidentale (a partire
dall’Alto Oristanese) e Nord-occidentale. Si tratta di un tipo di architettura particolarmente evoI
luta, capace di sfruttare il più possibile gli spazi ricavabili all’interno della massa muraria della torre
nuragica senza comprometterne la stabilità: un’architettura frutto di un bagaglio tecnologico
consolidato all’interno di un’area di fitte interrelazioni, in cui saperi ed idee avevano ampia e costante
circolazione sino a raggiungere gli estremi di un territorio vastissimo. All’interno di questo
areale, sono state inoltre individuate almeno due sotto-zone, una meridionale (Alto Oristanese
e Marghine-Planargia) ed una settentrionale (a Nord dell’altipiano di Campeda e sino al Golfo
dell’Asinara), in cui le stesse esigenze architettoniche vengono affrontate con differente approccio,
derivante da una diversa esperienza tecnologica: più matura a settentrione, con l’adozione
di soluzioni più ardite (cellette più grandi, maggior numero di aperture come finestre o feritoie,
etc.) che ampliano la funzionalità di questi vani sussidiari; più insicura nella zona meridionale,
non incline a creare vuoti eccessivi all’interno della massa muraria, caratterizzata quindi da vani
sussidiari angusti e scarsamente illuminati da aperture esterne.
Altre lievi differenze sono state notate a livello più locale, ma sempre nel solco di una comune
tradizione costruttiva, a significare come la società nuragica, pur mantenendo caratteri generali
abbastanza omogenei, dovette presentare comunque elementi di frammentazione più o meno
marcati, anche se è difficile riuscire a tradurre ciò in termini culturali e soprattutto politici.



1 commento:

  1. Ottima disamina . Rimane sempre il dilemma relativo al perche`della quantita` esosa costruita ..l`uso fattone e il vero significato ..

    RispondiElimina