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lunedì 20 maggio 2019

Archeologia. Considerazioni sui protonuraghi. Articolo di Alberto Moravetti


Archeologia. Considerazioni sui protonuraghi.
Articolo di Alberto Moravetti
tratto daCorpora delle antichità della Sardegna, LA SARDEGNA NURAGICA, Storia e monumenti”

A partire dal Bronzo medio 1, se non alla fine della fase precedente, in Sardegna si diffondono
quelle costruzioni che chiamiamo nuraghi – tipologicamente differenziati in protonuraghi
e nuraghi a tholos o “classici” – che per la loro grandiosità e per l’alto numero disseminato in
tutta l’isola caratterizzano il paesaggio sardo ed una “civiltà” protostorica fra le più originali
e complesse del Mediterraneo.
I protonuraghi, come è noto, sono strutture architettoniche variamente definite nel tempo
 “nuraghi abnormi, falsi nuraghi, pseudonuraghi, nuraghi a galleria, nuraghi-nascondiglio,
nuraghi anomali o aberranti, nuraghi a corridoio/i, protonuraghi, nuraghi arcaici”  ad indicare
di volta in volta un rapporto di somiglianza o di diversità formale, di cronologia o di

funzione rispetto al più noto e diffuso nuraghe con camera centrale a tholos. Taluni vi vedono
un’architettura arcaica, preludio di un processo evolutivo che porterà al nuraghe classico,
mentre altri ritengono che i due tipi siano contemporanei e differiscano nella struttura per
motivazioni diverse ma non per ragioni cronologiche.

Si tratta di edifici a uso civile, piuttosto semplici nella loro sintassi architettonica: presentano
varietà di forme planimetriche (circolare, ellittica, triangolare, trapezoidale, poligonale), opera
muraria in genere rozza e non troppo elevata (una decina di metri), talora con più ingressi.
L’interno è costituito da corridoi piattabandati – che spesso si incrociano oppure attraversano
l’intero edificio –, da vani-scala che portano al piano di svettamento, da nicchie ed anche
da piccoli ambienti voltati ad ogiva o ad ogiva tronca.
Da costruzioni estese sul terreno ma poco spaziose e scarsamente articolate all’interno, dalla
massa muraria prevalente rispetto ai vuoti e dalle planimetrie irregolari, si tende – attraverso un
processo evolutivo – a forme ellittico-circolari con ambienti più favorevoli alla vita ed, in particolare,
con una camera centrale (quadrangolare o fortemente ellittica) coperta ad aggetto, “a
schiena d’asino” o a chiglia di nave rovesciata (“naviforme”), premessa ormai al nuraghe a tholos.
La diffusione di questi monumenti – come ben evidenziato nella carta pubblicata da Stefania
Bagella e qui riproposta – interessa soprattutto l’area centro-occidentale dell’isola, la stessa
toccata dal megalitismo dolmenico (dolmen, allées couvertes, tombe di giganti) e caratterizzata
da un paesaggio storico a prevalente economia pastorale.
Fin dall’Ottocento erano stati individuati alcuni “nuraghi” che presentavano una qualche
singolarità rispetto allo schema comune, come ad esempio le planimetrie del nuraghe Majori-
Tempio (La Marmora A. 1840, Atlas, III) e del Crastu-Ghilarza a «schiena di tettoia» (Spano
G. 1867, p. 38, nota 1). Sarà Padre Alberto Maria Centurione, in un suo lavoro sui nuraghi –
figlio del suo tempo ma non privo di osservazioni interessanti –, a segnalare i nuraghi «senza
camera» di Suei-Norbello e di Sumboe-Ghilarza «[…] che hanno entrambi, a vece di camere,
semplici androni coperti parimente da lastre» (Centurione A.M. 1888, p. 100); inoltre, lo
stesso studioso pubblica la pianta della «[…] gran camera ovale» del Crastu-Soddì (p. 97, fig.
XXIII), ora rilevato con cura e classificato come protonuraghe “naviforme” (Manca Demurtas
L., Demurtas S. 1991a, p. 156, tav. V).
Nel corso della sua trentennale attività, fervida ed appassionata, il Taramelli sfiora appena il
problema di questi singolari monumenti che, va detto, in quegli anni erano piuttosto rari: dà
notizia, con planimetria, dei “nuraghi” Cotta-Busachi, che ritiene far parte della «[…] evoluzione
da un tipo iniziale» (Taramelli A. 1904, p. 229), e del Bruncu Màdili-Gesturi «[…]
monumento nuragico che appare tra i più antichi dell’isola!» (Taramelli A., Nissardi F. 1907,
col. 62, fig. 15); più avanti scriverà che «[…] ci sono tipi nuovi di nuraghi che si allontanano
da quelli tradizionali» (Taramelli A. 1916a, p. 6).
Il francese François Prechac, soffermandosi sul profilo retto-curvilineo di alcuni nuraghi della Gallura e sullo schema rettangolare del Fronte Mola-Thiesi, ipotizza la presenza nell’isola di una forma nuragica «quadrata», del tutto eccezionale e derivata dalla architettura funeraria megalitica, accanto alla più diffusa forma rotonda originata dalla capanna circolare (Prechac F. 1908, p. 153 ss.).
Ma sarà Cesare Dessì – un erudito locale con idee alquanto stravaganti e bizzarre sulla funzione
dei nuraghi – che, per primo, in seguito alle sue indagini sui nuraghi della Gallura,
classificherà queste singolari costruzioni così diverse dai «nuraghi veri» o dai «nuraghi modificati
», vale a dire quelli a tholos e quelli complessi, come «falsi nuraghi» o «pseudo-nuraghi»
(Dessì C. 1922, p. 13 ss.).
Nel poderoso resoconto sugli scavi di Barumini, Lilliu affronta il problema di questi strani
edifici – appena nove quelli allora conosciuti e nessuno di questi oggetto di una indagine stratigrafica
– definendoli nuraghi a galleria o nuraghi-nascondiglio «[…] imitazione decadente
ed alterata […] dei nuraghi della bella epoca […] le ultime costruzioni nuragiche, fatte rozzamente
da maestranze dimentiche della tradizione struttiva dell’ogiva» (Lilliu G. 1955, p. 128,
nota 76). Quindi, se negli autori precedenti si adombrava una maggiore antichità di questi
edifici rispetto ai nuraghi a tholos, Lilliu li colloca decisamente alla fine del mondo nuragico.
Nel 1959 Ercole Contu pubblica i risultati dello scavo da lui diretto nel nuraghe «a corridoi»
Peppe Gallu-Uri, uno dei tredici da lui indicati. Si tratta del primo nuraghe di questo tipo ad
essere indagato e a fornire quindi elementi di cronologia meno evanescenti: il monumento, sulla base dei materiali rinvenuti si pone fra il XIII e il IX secolo a.C. con ulteriore frequentazione
in età storica. La datazione al C14, IV-III secolo a.C., risulta del tutto inattendibile
perché in contrasto con le ceramiche rinvenute nello scavo (Contu E. 1959).
Negli stessi tempi veniva condotto un breve intervento di scavo nel Fronte Mola-Thiesi che
restituiva esclusivamente ceramica figulina riferibile al VI-III secolo a.C. (Maetzke G. 1961,
p. 656), confermando in questo caso la cronologia bassa prospettata nel volume su Barumini.
Nella pubblicazione dedicata a I nuraghi: Torri preistoriche della Sardegna, del 1962, Lilliu approfondirà l’analisi di queste costruzioni, ora divenute una trentina grazie ai lavori di censimento
legati alle tesi di catalogo archeologico promosse dalla cattedra di Antichità Sarde dell’Università
di Cagliari. Nella classificazione delle torri nuragiche lo studioso introduce la distinzione
fra due tipi di nuraghi: «[…] la prima forma è quella del nuraghe a tholos, classico, cioè
con la camera circolare coperta dalla falsa cupola o pseudovolta. È la forma ricordata dagli
scrittori greci quando parlano di deidaleia e di tholoi in Sardegna, costruzioni fatte al modo
arcaico greco, cioè miceneo […]. La seconda forma è quella del nuraghe a corridoio […] o
pseudonuraghe o nuraghe a galleria e in essa potrebbe vedersi la componente occidentale di
gusto dolmenico trilitico» (Lilliu G. 1962, p. 16).
Sulla cronologia di queste costruzioni, Lilliu sembra inizialmente perplesso: «[…] Oggi non
si può dire quale delle due forme abbia preceduto nel tempo come invenzione», ma nel prosieguo
dell’opera i nuraghi a corridoio gli appaiono architetture attardate e decadute, segno
del tramonto di una civiltà, create per contrastare gli invasori cartaginesi e romani. In questi
monumenti Lilliu riconosceva le «costruzioni sotterranee» e le «grotte» di Diodoro (IV, 30; V,
15, 4), su informazione di Timeo del IV secolo a.C., e le «spelonche» ricordate da Pausania
(X, 17) e da Zonara (VIII, 18) con riferimento alle campagne consolari contro i sardi Iolèi e
Bàlari nel 231 a.C.
L’indagine stratigrafica condotta dalla Ferrarese Ceruti nel nuraghe Albucciu-Arzachena
(Ferrarese Ceruti M.L. 1962, pp. 161-204) sembrava confortare l’ipotesi di Lilliu sui tempi
di costruzione del monumento (VII sec. a.C.), ma i primi risultati saranno successivamente
corretti da una più adeguata datazione al C14 (1220±250).
Nella seconda edizione de La civiltà dei Sardi – i monumenti nel frattempo sono divenuti una
quarantina! – Lilliu scrive che il nuraghe a tholos «[…] ha preceduto nel tempo […] come invenzione
» il nuraghe a corridoio (Lilliu G. 1967, p. 293). Nelle pagine successive utilizza più
di frequente il termine pseudo-nuraghe, indistintamente, con quello di nuraghe a corridoio,
la cui «[…] forma, nata dai remotissimi schemi tardo-neolitici e calcolitici applicati in tombe,
passa in Sardegna per ben altro uso […] tuttavia la sua essenza arcaica e primitiva, elementare,
fu un prodotto tanto antico nell’origine quanto attardato nella conservazione. Per tale carattere
e anche per la varietà della stessa forma, ne vediamo la durata per più di un millennio,
con tappe ben indicate dalle cronologie al C14: circa 1800 a.C. del Bruncu Màdugui, circa
1200 a.C. dell’Albucciu, tra VI-IV sec. a.C. del Peppe Gallu» (Lilliu G. 1967, p. 302).
Questa diversa valutazione dei nuraghi a corridoio nasceva dall’acquisizione di nuove date
al C14 relative al Bruncu Màdugui-Gesturi e all’Albucciu-Arzachena che dilatavano notevolmente
l’arco cronologico di questi monumenti. Inoltre, negli scavi del Bruncu Màdugui
erano stati rinvenuti frammenti fittili con decorazione metopale, attribuiti allora alla Cultura
di Monte Claro che in quegli anni veniva ritenuta un aspetto arcaico della civiltà nuragica. Ora
sappiamo che quelle ceramiche appartengono ad età nuragica, ma al Bronzo medio (Badas U. 1992b, pp. 31-66). Viene ribadito il carattere militare dei nuraghi a corridoio: «nuraghitrappole
» o «nuraghi-nascondigli» da impiegare nella guerriglia contro gli invasori esterni
e nelle lotte tribali (gli pseudo-nuraghi più antichi); alcuni di essi, tuttavia, potevano avere
funzione di vedetta o di abitazione.
Nel 1980, in un ampio e denso contributo sui nuraghi, Vincenzo Santoni si sofferma a lungo
su questi monumenti (Santoni V. 1980, pp. 141-186), da lui definiti esclusivamente pseudonuraghi,
perché la terminologia in uso – quella di nuraghe a corridoio – viene giudicata «[…]
insufficiente, impropria ed erronea».
Vengono riconosciuti due stadi, indicativi di una evoluzione strutturale, e viene pubblicata
la prima carta di distribuzione (Santoni V. 1980, p. 143, fig. 133) nella quale sono registrati
settanta monumenti, cinque dei quali definiti protonuraghi (Carbai-Oniferi, Capanna
Ortachis-Bolotana, Altoriu-Scano Montiferro, Sa Corona-Villagreca, Ridroxu-Muravera); ma
nello stesso elenco compaiono, come psudonuraghi, Monte d’Accoddi e Monte Baranta,
chiaramente costruzioni prenuragiche. Per Santoni la ziqqurath di Monte d’Accoddi «[…]
si configura decisamente quale modello primario di elaborazione dello pseudonuraghe dal
quale avrebbe preso l’avvio la stessa classe monumentale, in tempi sincroni (?) o immediatamente
successivi». I protonuraghi sopra indicati, invece, sono costruzioni che presentano i
caratteri del nuraghe arcaico.
Nello stesso lavoro viene data notizia dell’indagine stratigrafica condotta nel pseudonuraghe
Jacca-Busachi che ha restituito materiali che si inquadrano fra la Cultura di Bonnanaro e il
Bronzo medio, ma va detto che lo scavo non ha raggiunto i livelli di base. Questa costruzione
presenta la particolarità di avere una camera quadrangolare sulla quale si imposta la copertura
ad ogiva, tipo il Pedru Cossu-Norbello già illustrato dal Centurione (Centurione A.M. 1888,
p. 100, tav. XXVI).
A partire da La civiltà nuragica, Lilliu distingue fra pseudonuraghi/nuraghi a corridoio – le
costruzioni prive di camere a tholos – e i protonuraghi, nei quali compaiono piccoli ambienti
voltati ad ogiva (Lilliu G. 1982, p. 17 ss.). L’attribuzione di questi monumenti alla Fase I
(1800-1500 a.C.) viene suggerita da confronti «[…] con forme architettoniche di monumenti mediterranei e atlantico-europei di genesi ed estrazione neolitiche» (Lilliu G. 1982, p. 17).
Come si può arguire, una grande confusione terminologica ed incertezze sul piano cronologico!
In questi stessi anni, Lucia Manca e Sebastiano Demurtas hanno più volte approfondito il
problema di queste costruzioni, da loro sempre definite protonuraghi, individuando interessanti
linee di sviluppo nel loro svolgimento formale (Manca Demurtas L., Demurtas S.
1984a; 1984b; 1991a; 1991b). Viene elaborata una classificazione tipologica con varianti che
poco hanno in comune con i nuraghi a tholos. Il protonuraghe costituisce il momento iniziale
di un processo evolutivo che porterà al nuraghe a tholos, caratterizzato – sempre – da una
torre tronco-conica con unico ingresso seguito da un corridoio, marginato o meno da scala e
nicchia d’andito, che introduce nella camera, circolare in pianta e voltata ad ogiva, più o meno
provvista di nicchie (si veda il contributo di Paolo Melis in questo volume). Quindi, il termine
protonuraghe viene usato ad indicare diversità strutturale rispetto al nuraghe classico, ma con
un preciso significato cronologico.
Ercole Contu rifiuta la definizione di protonuraghi per i monumenti diversi da quelli a tholos
per l’implicito giudizio di maggiore antichità «[…] spesso non chiaramente documentato»,
e ritiene che queste costruzioni siano dovute «[…] più che a tempi e funzioni diversi, all’urgenza,
trattandosi di un tipo di costruzione indubbiamente più semplice» (Contu E. 1981,
pp. 5-175). Negli anni successivi lo stesso Contu si limiterà a descrivere «nuraghi a corridoi,
similari e anomali» (Contu E. 1998a, II, p. 525).
Fulvia Lo Schiavo invece ipotizza che il tipo monumentale sia del tutto contemporaneo ai più
diffusi nuraghi a tholos e che la scelta di pianta obbedisca a criteri di opportunità e di gusto (Lo
Schiavo F. et alii 2010), mentre per Maria Ausilia Fadda lo schema planimetrico di queste costruzioni, più che da momenti cronologici differenti, è determinato dalla morfologia del terreno e
dalla volontà dei costruttori di utilizzare posizioni di avvistamento particolarmente importanti.
Alessandro Usai non ritiene valida questa distinzione cronologica in assenza di dati di scavo
probanti (Usai A. 1989, p. 223 ss.); Mauro Perra, infine, pur non accettando il termine protonuraghe
ammette che alcuni nuraghi a corridoio possano essere di poco precedenti (Perra M.
1997, pp. 49-76; 2010); critici anche Angela Antona (Antona A. 2012, p. 688, nota 1), Giacobbe
Manca (Manca G. 1995, pp. 19-26) ed altri ancora.
Ma nel 1999 Giovanni Ugas pubblica Architettura e cultura materiale nuragica. Il tempo dei protonuraghi (Ugas G. 1999) lavoro ripreso ed ampliato nel 2005 con il titolo L’alba dei nuraghi, nel
quale approfondisce il tema ma questa volta utilizzando indistintamente i termini di protonuraghe,
nuraghe a corridoio, arcaico (Ugas G. 2005).
L’opportunità di rilevare e di esaminare 80 protonuraghi e 330 nuraghi a tholos, non dispersi
nell’intera isola ma racchiusi in un paesaggio storico ben circoscritto e disposti sul terreno
in stretto rapporto topografico, ha consentito di cogliere elementi distintivi fra i due tipi
di edifici che sono risultati a favore della maggiore antichità del primo rispetto al secondo
(Moravetti A. 1998a; 2000).
Infatti l’ipotesi di una presunta contemporaneità genetica delle due forme architettoniche
determinata dalla morfologia del terreno per «[…] utilizzare posizioni di avvistamento particolarmente importanti» viene a cadere perché i protonuraghi del Marghine-Planargia si
trovano su distese pianeggianti – nella piana di Macomer o sull’altopiano della Campeda –
oppure su posizioni d’altura ove sono in numero del tutto inferiore rispetto alle precedenti
morfologie: anzi, i monumenti più grandiosi si dispongono di preferenza in pianura (Biriola
e Uana-Dualchi; Tusari e Aidu Arbu-Bortigali; Pedra Oddetta I-Birori, etc.), ove sono assenti
posizioni strategicamente privilegiate.
La relazione fra i due tipi di costruzione appare poi ancora più istruttiva quando sono ubicati
a poche decine di metri di distanza, come nel caso di Carrarzu Iddia-Bortigali ove su un
modesto rilievo si trovano i due tipi di costruzione, entrambi – almeno in un certo momento
della loro vicenda storica – elementi di uno stesso nucleo abitativo: si tratta di architetture
così lontane nella forma, nell’opera muraria e nella soluzione degli spazi, da rendere inaccettabili
legami cronologici troppo stretti. Oppure, si pensi alla raffinata architettura del nuraghe
Ponte-Dualchi, posto a poche centinaia di metri dal protonuraghe Frenegarzu-Dualchi. Le
stesse vistose differenze non si avvertono invece in presenza di due nuraghi a tholos ravvicinati – e sono molti – nei quali, se costruiti in tempi diversi, si possono cogliere differenze
nella tessitura muraria, nella planimetria più o meno evoluta – come ad esempio a Duos
Nuraghes-Borore – ma risulta evidente che sono entrambi il prodotto di uno stesso modulo
architettonico.
Pertanto, se riteniamo che tutti i “nuraghi” non rientrano nello schema classico del nuraghe
a tholos – un modello che risponde ad un formalizzato canone architettonico, accettato e diffuso
nei suoi rigidi caratteri tipologici –, credo che, ad evitare ulteriori confusioni, si debba
abbandonare quella pluralità di definizioni ed accettare quella di protonuraghe, pur tenendo
conto della varietà di formule architettoniche che si trovano al suo interno e che si vanno
definendo tipologicamente nel loro sviluppo formale e temporale.
In quanto al loro numero, dai 13 monumenti segnalati dal Contu nel 1959 (Contu E. 1959,
p. 96), si è passati a 70 nel 1980 (Santoni V. 1980, p. 142), a 180 del 1984 (Manca Demurtas
L., Demurtas S. 1984b, p. 168), a 250 del 1991 (Manca Demurtas L., Demurtas S. 1991a,
nota 19), a 280 nel 1992 (Manca Demurtas L., Demurtas S. 1992, pp. 176-184) e a oltre 350
nel 1999 che sulla base di una ideale proiezione statistica potrebbero raggiungere il numero
di 1500 (Ugas G. 1999, p. 54).
delineando tipologie e varietà di schemi (Manca Demurtas L., Demurtas S. 1984a; 1984b;
1992; Ugas G. 1999, p. 38 ss.; 2005) – come invece avviene per quelli a tholos.
Alcuni di questi monumenti sono assai semplici, hanno opera muraria e forma circolare non
dissimili da quella dei nuraghi a tholos (Monte Sara-Macomer, Losa ed Elighe-Sindia, etc.), altri
invece sembrano costituire l’anello iniziale di un processo formale che raggiungerà compiutezza
in moduli architettonici evoluti sul piano delle soluzioni tecniche e già maturi per essere
accettati in tutta l’isola (nuraghi).
Vi sono protonuraghi che presentano dimensioni notevoli formatesi con parti aggiunte – lobi
e rifasci – semplicemente a contatto con una struttura principale e disposte a profilo scalare,
a gradoni, con l’adozione di soluzioni tecniche piuttosto elementari. Eppure, accanto a costruzioni
di notevole ampiezza (Biriola-Dualchi: mq 1680), altre mostrano minore estensione
(Carrarzu Iddia-Bortigali: mq 51,40), con una media di mq 234 su 66 monumenti rilevati: un
valore più elevato di quello ottenuto per le torri a tholos che su 190 unità – comprese quelle
complesse – registra una superficie media d’ingombro di mq 141,11. Per i protonuraghi, il valore
medio più frequente è quello compreso fra mq 100-200 (30: 44,77%), seguito da quello
compreso fra mq 200-300 (16: 23,88%).
I nuraghi presentano superfici comprese fra quella massima del nuraghe Tolinu-Noragugume
(mq 635) a quella minima di Sa Rocca Pischinale-Bosa (mq 32,60). Anche per i nuraghi il
maggior numero di costruzioni si concentra nella fascia di mq 100-200 (148: 74,74%), seguita
però da quella di mq 0-100 (35: 17,67%).
Se mettiamo a confronto le superfici dei protonuraghi e dei nuraghi, si nota che fra i nuraghi
vi è una fascia dimensionale – quella compresa fra i mq 100-200 – molto ampia, seguita da
altre con valori del tutto marginali, ad indicare la scelta diffusa di un modulo costruttivo già
sperimentato, attento ai precisi parametri di un’architettura ormai matura.
Nei protonuraghi, al contrario, pur convergendo la percentuale più alta di costruzioni nella
stessa fascia dimensionale, si assiste ad una maggiore variabilità dei valori con una tendenza
verso superfici più ampie.
Questa maggiore stesura planimetrica dei protonuraghi, più che ad una architettura ancora
incerta e alla ricerca di un canone architettonico – è più agevole, certamente, costruire su piani
orizzontali che verticali – si giustifica soprattutto con la destinazione abitativa che il terrazzo
sembra avere avuto in queste costruzioni (Albucciu-Arzachena, Pulchitta-Orotelli, Fruscos-
Paulilatino, etc.): l’esigenza, quindi, di uno spazio maggiore che invece non era indispensabile
per il terrazzo dei nuraghi la cui funzione era soprattutto di avvistamento e di difesa.
In conclusione, ad una analisi dei protonuraghi del Marghine-Planargia, legati al territorio e
rapportati ai nuraghi della stessa regione, si avverte sempre di più il carattere distintivo che
anima ciascun tipo monumentale, non soltanto nelle ben note differenze strutturali – forme
planimetriche, rapporto massa-spazio, articolazione degli spazi interni, tecnica costruttiva,
etc. – ma nel modo stesso in cui viene vissuto il territorio.
Si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un’architettura “in itinere”, alla ricerca di soluzioni
tecniche più funzionali per ottenere maggiore spazio utile alla vita, fino a raggiungere una
forma architettonica standardizzata con torre tronco-conica e camera centrale ad ogiva.
Una struttura con parametri precisi tanto da poterli definire, fin dagli inizi del secolo scorso:
esiste un rapporto stabile fra la misura della camera e lo spessore murario, «[…] il raggio di
base del muro di un nuraghe può essere al massimo uguale al doppio dello spessore del muro
misurato pure alla base» (Giarrizzo F. 1923, p. 46 ss.). Vale a dire che esiste un rapporto
ben preciso fra spessore murario-diametro-altezza della tholos: parametri impensabili per un
protonuraghe!
Sulla base delle esperienze sul terreno e dei dati disponibili è apparso sempre più evidente
quanto i protonuraghi siano “altro” rispetto ai nuraghi a tholos che costituiscono, in forme
diverse, il punto di arrivo. Inoltre, la maggiore antichità dei protonuraghi è provata da torri con camera ad ogiva edificate in tempi successivi sullo svettamento (S’Ulivera-Dualchi, Orgono-Ghilarza, Erighighine- Aidomaggiore, etc.).
D’altra parte sul piano cronologico ormai si è concordi nel ritenere più antichi i protonuraghi,
come peraltro indicherebbe l’uso stesso di “nuraghe arcaico” che in questi anni si è
aggiunto alle già note definizioni.
Sulla base dei materiali rinvenuti nell’indagine stratigrafica, il protonuraghe Sa Fogaia-Siddi è stato datato fra Bronzo antico II e Bronzo medio (Santoni V. 2009, pp. 118-119), mentre la
costruzione della camera naviforme del Conca ’e Cresia-Siddi viene attribuita con il C14 in
un momento del XVI secolo, ma l’insorgere dei nuraghi arcaici viene riferito al XVII secolo
a.C. (Vanzetti A. et alii 2013, p. 95). Al Bronzo medio iniziale vengono attribuiti nuraghi a
corridoio/protonuraghi/nuraghi arcaici (Depalmas A. 2009a, pp. 123-130).
Quindi, superato il problema della cronologia, rimane da stabilire quale definizione dare a
questi “nuraghi” più antichi.
Nel complesso il termine protonuraghe, a parte poche eccezioni (Moravetti A. 1992b, pp.
185-187; 1998a, p. 51 ss.; 2003a; 2004, pp. 45-60; 2015a; Ugas G. 1999, p. 38 ss.; 2005), ha
avuto poca fortuna a tutto vantaggio del “nuraghe a corridoio” ed ora del “nuraghe arcaico”,
ma viene usato spesso insieme a nuraghe a corridoio e/o nuraghe arcaico. Quindi abbiano
autori – Anna Depalmas, Alessandro Usai, Mauro Perra – che nello stesso articolo usano
indifferentemente, come sinonimi, protonuraghe, nuraghe a corridoio e nuraghe arcaico, che
è anche questa una bella confusione!
In un recente lavoro si è deciso che i nuraghi sono di due tipi: quello arcaico e quello a tholos:
il primo comprende protonuraghi e nuraghi a corridoio mentre il secondo si riferisce a quello
classico con copertura ad ogiva (Vanzetti A. et alii 2013, p. 93 ss.).
L’uso dell’aggettivo “arcaico” per indicare una maggiore antichità del protonuraghe rispetto
a quello a tholos è già una conquista perché si usa un solo termine per indicare lo stesso tipo
di monumento, ma non è sufficiente per differenziare le due architetture che sono tipologicamente
molto diverse, per cui “arcaico” si dovrebbe utilizzare soltanto nell’ambito di ciascuna
classe monumentale.
Già in letteratura si è usato “arcaico” per definire un nuraghe a tholos non evoluto sul piano
architettonico, vale a dire quei nuraghi con scala di camera – certamente meno funzionale
e meno ardita di quella d’andito – oppure privi o poveri di spazi sussidiari, e magari con il
solo piano terra diversamente da quei nuraghi che presentano due o tre camere sovrastanti.
Pertanto, penso che usare una volta per tutte il termine protonuraghe non sia peccato!

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