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martedì 1 gennaio 2019

Archeologia. I micenei, principi, aristocratrici e re guerrieri di stirpe greca che si sostituirono ai minoici nella gestione dei commerci nel Mare Mediterraneo nel Bronzo Medio. Articolo di Pierluigi Montalbano


Archeologia. I micenei, principi, aristocratici e re guerrieri di stirpe greca che si sostituirono ai minoici nella gestione dei commerci nel Mare Mediterraneo nel Bronzo Medio. 
Articolo di Pierluigi Montalbano

I micenei prendono il nome dalla città greca di Micene, nell’Argolide, e la loro presenza nel Mare Mediterraneo è attestata per tutta l’età del Bronzo. Alcuni studiosi li associano agli Achei, ma le tracce lasciate da queste genti, ad esempio le tavolette con il sistema sillabico della scrittura Lineare B e la descrizione che ne fa Omero nei suoi poemi, non chiariscono la questione. Le città principali coinvolte nell’orbita micenea sono Pilo, Cnosso, Argo, Tirinto e Tebe, luogo in cui la tradizione fa nascere Ercole, Dioniso e Demetra. La storia dei micenei è legata a doppio filo con quella dei
minoici, genti di stirpe greca che li precedettero e, per tutto il XVI a.C., li affiancarono nelle attività commerciali, pur se le tracce portate alla luce dagli archeologi descrivono una differenza sostanziale: i minoici erano pacifici, i micenei, invece, erano strutturati con un’aristocrazia guerriera che dominava.  Con la decadenza minoica, originata dall’esplosione del Vulcano Santorini, i micenei sfruttarono le conoscenze e le rotte commerciali in uso all’epoca, adattando la scrittura minoica, il Lineare A, ancora non decifrato, e introducendo una serie di modifiche fino a creare la Lineare B, in parte decifrata e simile al greco antico. Il rituale di sepoltura miceneo vedeva la costruzione di grandi tombe circolari ipogeiche coperte a volta semisferica denominata thòlos, rivestite internamente con lastre e arricchite di corredi funerari straordinariamente ricchi di oggetti preziosi, ambra, armi, maschere in oro e diademi. I defunti erano sistemati in posizione seduta, alcuni mummificati, e altri cremati, come descrive Omero nell’Iliade, e deposti in urne d’oro. L’organizzazione sociale era strutturata con il sistema di palazzo, e le città sono fortificate, a differenza di quelle minoiche che erano prive di mura. L’epoca d’oro di questa civiltà è inquadrabile fra l’inizio del XV e la fine del XIV a.C., il periodo palaziale, denominato anche Tardo Elladico, caratterizzato da una produzione ceramica ricca di forme e decorazioni, utilizzate per il trasporto e la conservazione di derrate alimentari, olio e vino.
Nemici giurati degli ittiti, i micenei condussero una serie di guerre contro le città costiere occidentali e meridionali dell’Asia Minore, come riferisce la Lettera di Tawagalawa, scritta intorno al 1300 a.C. dal re degli ittiti Muwatalli II al re di Ahhiyawa (gli Achei) con riferimento ad attività cruente svolte a Wilusa (la città di Troia) mentre lui (il re ittita) si trovava a Mileto (Millawata) per riscuotere i tributi. In quell’occasione i micenei si allearono con il re di una città del Regno di Arzawa, nelle coste occidentali turche, governate da re Piyama-radu, principe ereditario del trono Arzawa del defunto re Uhha-ziti che perse il regno nel 1319 a.C. per mano del sovrano ittita Mursili II e fuggì con i propri figli, riparando proprio nelle isole di Ahhiyawa.
Alcuni studiosi associano i micenei a un altro popolo citato da Omero nelle sue opere: i Danai che regnarono ad Argo, citati anche dal faraone Ramesse III nelle iscrizioni del tempio di Medinet Habu in cui celebra la vittoria contro i Popoli del Mare. Altri studiosi parlano del popolo di Dan confluito in quello ebraico. Con varianti di tale nome compaiono anche in documenti risalenti al faraone Amenoteph III nel 1385 a.C. e nella lettera 151 del 1350 a.C. trovata a El Amarna riferibile al regno del faraone Amenoteph IV, dove si menzionano i Danai, divisi in molte città, tra cui Micene, Cnosso e Tebe. Ancora prima, all’epoca del faraone Tuthmosis III, intorno al 1450 a.C. si fa riferimento a tributi pagati, sotto forma di doni, da ambasciatori dei Danaju (Tanaju) provenienti da Creta, suggerendo un legame con gli ultimi minoici.
Intorno al XVI secolo a.C., nel Peloponneso e in Grecia, grazie al clima favorevole, nelle terre fertili crescevano viti, olivi, fichi, mandorli e si coltivavano granaglie e orzo, ma l'eccessiva concentrazione demografica nelle zone coltivabili provocò fenomeni migratori e la volontà di ripristinare le rotte marine commerciali già frequentate dai minoici. La civiltà micenea si riferiva a una serie di città indipendenti, a volte in conflitto tra loro, con caratteristiche sociali, culturali ed economiche simili.
Il declino di questa civiltà avvenne introno al 1200 a.C. nel periodo delle scorribande dei Popoli del Mare, con l’invasione dei Dori, un popolo indoeuropeo difficilmente inquadrabile per ciò che riguarda la sua origine, ma il ritrovamento di alcune tavolette nel Palazzo reale di Pilo, cotte a causa di un incendio, che raccontano i concitati preparativi militari per proteggere le coste, è probabile l’arrivo dal mare. Fino al crollo del sistema palaziale, l'organizzazione sociale dei Micenei era basata sulla centralizzazione del potere, con un’organjizzazione gerarchica comandata dal re (wanax). Con lui operava il lawaghetas a capo dell’esercito mentre l’aristocrazia era divisa in heros (carristi), hequetas (guerrieri) e sacerdoti. Le terre erano gestite dal basileus, che assegnava le terre al villaggio e riscuoteva tributi. Alla base del sistema c’era il popolo e, sotto, gli schiavi. Al wanax e al lawaghetas spettava un lotto di terreno confiscato agli sconfitti, mentre il resto della terra veniva venduto ai dignitari che lo facevano gestire da funzionari minori. Le terre donate agli aristocratici per le vittorie in battaglia, non potevano essere vendute o trasmesse in eredità. Sacerdoti e sacerdotesse, custodi del tesoro del tempio, avevano poteri e ricchezze superiori a quelli della nobiltà. Le rivolte e le guerre civili erano frequenti, infatti, le fortificazioni costruite intorno alle città micenee avevano il duplice scopo di difendersi da invasori esterni, da regni vicini e da famiglie rivali. Una caratteristica di questa civiltà è di divinizzare i sovrani e gli eroi, e di conservare un culto attraverso un sacrificio (enagisma) dedicato ai sovrani defunti.  Negli archivi di Pilo è citato un ekeryawon, forse la persona forse più ricca del regno, proprietario di una nave privata composta di 40 vogatori, primo nelle donazioni al tempio di Poseidone e nella distribuzione a palazzo di olio e incensi profumati. Potrebbe essere il principe ereditario, oppure un governatore che deteneva il potere politico. Aristotele racconta una struttura sociale divisa in quattro gruppi: sacerdoti, guerrieri, operai e contadini, a imitazione delle quattro stagioni, e ogni tribù era divisa in tre parti, e queste 12 suddivisioni rappresentavano i 12 mesi dell'anno. I documenti in Lineare-B parlano di un ceto contadino libero con terre in proprietà o usufrutto, che paga tributi al palazzo e decime al tempio, controllato da esattori delle imposte e nobili di provincia. Le comunità agricole erano tenute a versare una tassa (a-ma) in natura (granaglie, cereali, lino, olio, frutta) in cambio di strumenti di lavoro o servizi che il palazzo forniva, come il prestito dei buoi per l'aratura, la sistemazione dei canali d’irrigazione e il prestito di sementi. I marinai avevano agevolazioni fiscali perché erano decisivi per il buon funzionamento della flotta. Gli ufficiali superiori appartenevano all’alta nobiltà (rawaketa). Gli artigiani e i mercanti vivevano in città e nei borghi agricoli e, fra loro, particolarmente importanti erano i fabbri e gli armaioli, a stretto rapporto con il palazzo che provvedeva ai rifornimenti di metalli e combustibile. Alcuni di loro erano itineranti, e negli archivi di Pilo risulta che un terzo circa dei 400 fabbri e armaioli censiti nel regno ha nomi stranieri. Altri artigiani privilegiati erano gli orafi e i vasai, spesso uomini liberi che grazie alla loro arte riuscivano ad arricchirsi notevolmente, specie i maestri. La manodopera di palazzo comprendeva pittori, artigiani dell’avorio, falegnami e operai tessili che producevano grandi quantità di lana, lino e coloranti per l’esportazione. Generalmente la retribuzione era in natura, e nei quartieri artigianali, posizionati all’estrema periferia delle città per limitare il disturbo  provocato da odori, fumi, rumori e scorie di lavorazione c’erano tintori e conciatori di pelli, oltre ai produttori di unguenti, profumi e cosmetici. La burocrazia era dettagliata, perché il palazzo controllava la produzione, l’esportazione, la distribuzione delle materie prime e la riscossione di tributi. Naturalmente, l’agricoltura e l’allevamento erano assai praticate. Fra le divinità troviamo Poseidone, Proteo, Ares, Dioniso, Atena, Persefone, Demetra, Artemide e Tiresia. L'organizzazione religiosa è legata al palazzo e il re (wanax) era anche il capo religioso che dirigeva le offerte e i riti essendo visto come intermediario tra il mondo umano e quello degli dei.
Il palazzo miceneo è completamente diverso da quello minoico. Innanzitutto, era caratterizzato dall’assoluta semplicità rispetto all’intreccio di stanze, corridoi e terrazze del palazzo cretese. Inoltre, sorgeva su un’acropoli protetta da mura ciclopiche, fatte di enormi massi sovrapposti e adattati fra loro a secco. La concezione architettonica era costituita da un grande salone con focolare al centro e quattro colonne a sostegno del soffitto. Questa tipologia è detta a mégaron, ed era funzionale ai banchetti di corte e come sala del trono, per le udienze del sovrano e come luogo per il suo soggiorno privato. Intorno ci sono le stanze della servitù, i magazzini, i corpi di guardia, le dispense e, a volte, un secondo mégaron per la regina. La diversità con i palazzi cretesi stava anche nei materiali impiegati per la costruzione. Le mura ciclopiche e le sale costruite con pietra dal colore simile al ferro, pressoché spoglie di decorazioni, indicavano una concezione di vita diversa, dalla quale era bandita la fantasia e predominava la necessità di ostentare il proprio potere e la propria forza. Importanti sul piano architettonico sono le cosiddette tombe a tholos nelle quali venivano deposti i re e i funzionari più importanti. Sono enormi locali sotterranei foderati con cerchi sovrapposti di grandi pietre lavorate, ognuna delle quali sporge leggermente all’interno rispetto a quella sottostante (tecnica ad aggetto). Si crea così una sorta di grande cupola, sopra la quale viene posto un masso di grandi dimensioni che, con il suo peso, tiene compatte le pareti.

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