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mercoledì 17 ottobre 2018

Archeologia della Sardegna. Basilica di Porto Torres: San Gavino (ante 1065-ante 1111). Giudicato di Torres, curatoria di Flumenargia. Articolo di Roberto Coroneo


Archeologia della Sardegna. Basilica di Porto Torres: San Gavino (ante 1065-ante 1111).
Giudicato di Torres, curatoria di Flumenargia
Articolo di Roberto Coroneo


La basilica di S. Gavino turritano è parrocchiale del moderno abitato di Porto Torres, che occupa il sito della colonia romana di Turris Libisonis, sede episcopale dal 484 (quando Felix è fra i cinque vescovi sardi al sinodo di Cartagine convocato dal re vandalo Unerico) sino al 1441, quando fu trasferita a Sassari. La cattedrale romanica sorge alta sul mare fra due cortili, “atrio Comita” e “Metropoli”, nell’area della necropoli orientale e in particolare nel monte Agellu, dalla voce latina “agellus”, «cimitero all’aperto per la sepoltura dei poveri» (G. Spano). 
Gli scavi seicenteschi identificarono una piccola struttura cruciforme, probabilmente una memoria divenuta ipogeica quando fu incorporata nell’edificio romanico, la cui navata settentrionale si sovrappone a una basilica trinavata con abside a occidente. Da questa proverrebbero i marmi di spoglio individuabili nell’edificio: due altari a cippo e un pilastrino da recinzione di età bizantina, un
frammento di transenna e i tre capitelli con colombe, rilavorati per l’impiego nell’aula romanica.
La prima menzione del titolo è contenuta nel “Condaghe di S. Pietro di Silki” e risale al 1065 circa. Dallo “Pseudocondaghe di S. Gavino” si ricava la notizia della costruzione della basilica in due tempi: iniziata da Gonnario-Comita (giudice di Torres e Arborea) ad adempimento votivo, fu ripresa e ultimata dal figlio Torcotorio-Barisone I de LaconGunale, giudice turritano nel 1065. L’indagine archeologica ha confermato l’esattezza della fonte apografa. Nella navata settentrionale l’allestimento delle fondamenta si è arrestato in corrispondenza dei primi due pilastri da levante, quando nella navata mediana i lavori erano stati condotti sino alla coppia di pilastri mediani; dunque la fabbrica procedette a partire dall’abside orientale. 
La basilica preesistente venne rasa al suolo e il terreno fu ricolmato, risparmiando la struttura martiriale, con funzione di confessio o cripta (oggi nella versione seicentesca a corridoio) sotto l’altare maggiore in medio, cioè al centro della navata e non nell’abside, così mantenutosi fino al secolo scorso, «isolato in mezzo della gran nave» (A. Della Marmora). La basilica è frutto di un progetto unitario, con pianta trinavata ad absidi contrapposte lungo l’asse nordestsudovest. Tuttavia la ripresa dei lavori comportò un avvicendamento di maestranze, distinte nelle consuetudini di taglia anche se nell’alveo della stessa formazione pisana. Di questa rimane memoria nello “Pseudocondaghe”, secondo cui il giudice affidò la fabbrica a undici maestri architetti, i migliori che potessero chiamarsi da Pisa. Al maestro che poco prima del 1065 progettò e impiantò la basilica si devono abside e corpo orientale, dove sull’alto zoccolo poggiano paraste con basi marmoree innalzate da un dado che interrompe la scarpa, mentre sul paramento in grandi cantoni calcarei si incavano alloggi per bacini ceramici e si profilano specchi conclusi da un archetto, come nel timpano del frontone, dove però gli archetti hanno doppia ghiera a spigolo vivo. Le monofore sono di tipo arcaico, con strombo gradonato a spigolo vivo, come nell’oculo del timpano di levante e nella prima luce sinistra del fianco settentrionale. 
Alla ripresa dei lavori, nell’abside e nel corpo occidentale le monofore gradonate vengono sostituite dal tipo a sguanci lisci, mentre gli archetti sono filettati a listelli sottili. L’unità architettonica è assicurata dal ritmo degli specchi che, fra larghe paraste d’angolo, rifasciano il paramento dei fianchi con archetti impostati su una parasta o su un peduccio in asse con una monofora. 
L’interno è trinavato da ventidue colonne e tre coppie di pilastri cruciformi, oggi senza funzione strutturale ma probabilmente destinati, nel progetto originario, a reggere archi-diaframma tra i muri della navata mediana, così da definire uno spazio concamerato e non bidirezionale, com’è ora che le opposte direttrici conducono alle absidi con arco frontale a leggero rincasso. Le colonne sono di spoglio, in granito e in marmo, con abachi a tavoletta. Dei capitelli, perlopiù di età romana, tre con colombe furono rilavorati in età altomedioevale, mentre due sono romanici. 
La navata mediana ha tetto ligneo, esternamente in lastre di piombo; ogni navatella è voltata a crociera. La divisione fra le campatelle è segnata da un arco trasverso, impostato su mensole altomedioevali o d’imitazione romanica. L’ultima coppia di campatelle verso occidente duplica l’ampiezza dell’arcata per marcare un transetto, che si pronuncia anche all’esterno con la maggiore altezza dei muri. La costruzione dovette completarsi entro il 1111, come attesta l’iscrizione funeraria nella base della parasta del fianco allo spigolo nord. 
Al 1492 risale un’epigrafe, relativa al restauro aragonese dell’unico portale romanico superstite. Ubicato sul fianco nordovest, centrato nello specchio fra paraste e dunque in situ (a differenza degli altri, aperti in età aragonese con forme gotico-catalane), si compone di elementi marmorei: architrave istoriato con motivi geometrici, stipiti a più risalti, capitelli con aquile imperiali, figure zoo-antropomorfe. Nella lunetta campeggia a rilievo bassissimo una scena di combattimento fra cavalieri; si direbbe il programma iconografico di una “porta regia”, da connettere all’alta committenza giudicale.

Fonte: R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 1993, sch. 1


da Wikipedia:
La città di Turris Libisonis fu sede episcopale dal 489 al 1441, anno in cui la sede si trasferì a Sassari. La basilica di San Gavino, ex cattedrale, sorge nel monte Agellu, area in cui gli scavi archeologici hanno attestato la presenza di una necropoli paleocristiana e due antiche basiliche (una delle quali, a pianta centrale, era il Martiryon costruito sulla tomba di san Gavino, i cui resti furono inglobati nella cripta della basilica) databili al V - VII secolo.
La prima menzione documentaria della chiesa di San Gavino è databile intorno al 1065 ed è contenuta nel Condaghe di San Pietro di Silki. Lo Pseudocondaghe di San Gavino, documento apografo del XVII secolo, riporta l'inizio dei lavori alla prima metà dell'XI secolo e si deve a Gonnario Comita, giudice di Torres e di Arborea, che commissionò l'opera a maestranze pisane. La costruzione proseguì sotto Torchitorio Barisone I de Lacon-Gunale, figlio di Gonnario Comita, e venne inaugurata dal giudice Mariano di Torres e dall'arcivescovo Costantino di Castra nel 1080.
Nel prospetto settentrionale della basilica, due epigrafi incise sulla base marmorea della prima parasta a partire dall'abside orientale attestano la presenza nei pressi di altrettante sepolture privilegiate: un titulus, recante la data 1211, fa riferimento ad un defunto del quale non si è conservato il nome e invoca con decisione l'inviolabilità della tomba mentre l'altra iscrizione, antecedente alla prima, ricorda un personaggio di nome Guido de Vada. Ancora un'epigrafe, datata 1492 e presente sul portale romanico, attesta i lavori compiuti nel XV secolo che introdussero nella costruzione elementi dello stile gotico-catalano.
Nel XVII secolo venne sistemata la cripta che accolse le reliquie dei martiri turritani rinvenute nel 1614 in seguito agli scavi voluti dall'arcivescovo Gavino Manca de Çedrelles.
Esterno
La basilica è situata tra due cortili, detti "atrio Comita" e "atrio Metropoli", su cui si affacciano i due lati lunghi dell'edificio. Nel fianco meridionale si apre l'ingresso principale, costituito da un pregevole portale gemino del XV secolo in stile gotico-catalano; il grande arco a tutto sesto che sovrasta il portale è retto da colonnine e presenta la cornice dell'estradosso che poggia su due capitelli scolpiti con la raffigurazione di due angeli che reggono uno stemma ciascuno. La chiesa è biabsidata con absidi contrapposte su entrambi i lati corti della basilica. Il paramento esterno, in pietra calcarea, è scandito da lesene e archetti pensili. La copertura del tetto è in lastre di piombo.
Interno
L'interno è a pianta rettangolare, diviso in tre navate tramite due serie di archi a tutto sesto retti da ventidue colonne di spoglio, in granito rosa e marmo grigio, e da tre coppie di pilastri cruciformi. I capitelli sono quasi tutti di epoca romana. La pianta a sviluppo longitudinale è conclusa su ambo i lati minori da un'abside. La navata centrale, molto più larga di quelle laterali con un rapporto di 3:1, è coperta a capriate lignee che riportano diverse scritte in colore rosso risalenti al XVII secolo, mentre le campate delle navatelle laterali sono voltate a crociera. L'altare maggiore, fino alla metà del XX secolo collocato al centro della navata entro una quinta in stile gotico catalano, si trova ora nell'abside situata a sud ovest, ridotto a semplice mensa (è stato demolito anche il pregiato coro e altri altari secondari) mentre l'abside contrapposta, a nord est, ospita un catafalco ligneo del XVII secolo con le statue policrome dei santi martiri Gavino, Proto e Gianuario, raffigurati in posizione giacente. Dalle navate laterali si accede all'anticripta e alla cripta, dove sono custoditi artistici sarcofagi romani, dentro i quali si conservano le reliquie dei martiri turritani. L'anticripta è un ambiente in stile classico rinascimentale, caratterizzato da numerose nicchie entro le quali si collocano statue marmoree di martiri locali.





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