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mercoledì 11 luglio 2018

Archeologia. I gioielli “eliopolitani” di Sorradile. Articolo di Gustavo Bernardino


Archeologia. I gioielli “eliopolitani” di Sorradile.
Articolo di Gustavo Bernardino


I turisti che si trovano a Sorradile, il borgo della provincia di Oristano, situato nella regione storica del Barigadu, hanno la fortuna di poter ammirare due splendidi esempi di arte religiosa eliopolitana, miracolosamente salvati dalla furia devastatrice del tempo e (ahimè!) dell'uomo. Il primo esempio lo si trova incastonato nella facciata ovest della chiesa campestre di S. Giovanni Battista recentemente restaurata. Si tratta di una pietra di trachite rossa di forma semicircolare in cui è stata scolpita una “Barca Solare” attribuibile al culto del dio Ra-Atum massimo esponete della teologia eliopolitana.
Nel paese di Sorradile esiste una leggenda secondo la quale, la chiesa campestre sarebbe stata eretta (come spesso è avvenuto) sopra un preesistente tempio pagano. Sarebbe da accertare la provenienza del reperto.
La barca, come viene descritto dettagliatamente da Mario Tosi nel “Dizionario dell'antico Egitto pagg.204/211, viene utilizzata dal dio Ra per effettuare  il viaggio che dura 12 ore e serve per superare la notte. Rappresenta  dunque la rinascita dalla morte a nuova vita.
Il secondo esempio certamente più notevole per importanza e dimensione, lo si trova nel sito archeologico noto col nome di “Su Monte”. In questo sito (semi abbandonato) che risulta essere (per chi ha la fortuna di
avvicinarsi) di una bellezza unica, si trova anche un altare-vasca di forma trapezoidale semiellittica che contiene la corona della “dea Anuqet” figlia di Ra e di Stet, divinità considerata “Signora del Nilo” protettrice delle acque (in questo caso del fiume Tirso) oggi sommerso dal lago. Lo stesso manufatto, ufficialmente viene definito “modello di nuraghe” .
Ai piedi di questo altare-vasca si trova una lastra con incise nove coppelle che portano a pensare alla rappresentazione di una Enneade con le immagini (non più visibili) di nove divinità. Un luogo cultuale di immenso valore archeologico, lasciato in balia della trascuratezza e del degrado.
Andiamo per ordine.
Alcuni giorni or sono, mi è stata inviata la foto (qui riportata). L'immagine con immediatezza mi ha portato ai testi, più volte consultati per precedenti studi, che riguardano l'antico Egitto, e ho provato stupore e grande gioia.
Stupore derivante dal fatto che, non mi risulta siano mai state trovate testimonianze così precise riconducibili alla teologia eliopolitana; grande gioia per l'eccezionale importanza del reperto utilizzabile come prova inequivocabile per la dimostrazione della tesi che mette al centro della discussione sempre aperta (ed a volte molto accesa) in ordine alla prevalenza del “sacro” rispetto al “militare/guerriero” della civiltà nuragica.

Come ho scritto in un precedente articolo apparso sul quotidiano di storia e archeologia Honebu,”...in quest'isola meravigliosa, in epoca nuragica si sviluppa dunque un sincretismo religioso tra culti e simbolismi. Qui si incontrano divinità e rituali provenienti da terre lontane (Egitto, Mesopotamia, Anatolia, Grecia etc..). L'isola offre pertanto uno scenario unico al mondo che consente di vedere l'evolversi delle religioni mediterranee. Un laboratorio in cui nascono nuovi dei e nuovi riti, una fucina di sacralità. La terra che condivideva con gli egiziani le stesse divinità che costituivano l'Enneade”.
Non sono in grado di dire se Atom-Ra e Anuquet, le divinità egizie titolari dei reperti sopra elencati, in Sardegna avessero lo stesso nome, lo ritengo molto improbabile, ma è certo che appunto per il fenomeno di sincretismo sopra accennato, queste divinità sono presenti nella nostra terra e hanno caratterizzato il lungo percorso della storia nuragica.     
Per dare conto di questa tesi, riporto alcuni passi tratti da “Testi religiosi egizi” di Sergio Donadoni:”L'atomismo delle divinità quali le abbiamo elencate fin qui le lascia ognuna valida per conto suo, entro la sfera della zona di culto, geografico o personale che esso sia. Ma una civiltà organizzata con una base territoriale così ampia come quella egiziana non può mantenere questa potenziale anarchia religiosa, a costituire un elemento incongruo proprio in un settore vitale. Gli dèi entrano in relazione stretta e frequente fra loro e per varie vie. Prima di tutto nei sistemi teologici, poi nel mito. Fra i due concetti può esservi una certa parentela, anche se i punti ultimi di arrivo sono assai lontani.
 I sistemi teologici scalano, in un tempo che parte dalle origini del mondo, una serie di divinità, le quali spesso han la sola funzione di ritmare e scandire la storia della creazione. La più semplice formulazione di questa visione dinamica è quella che è anche la più diffusa, e che vuole che ad ogni dio si affianchi un coniuge e un figlio. Si hanno così delle triadi che integrano con la loro organicità le figure assolute e ferme degli dei cittadini. Hahtor a Dendera è la signora – ma ha sposo Horo e figlio Ihy. E così via. Questo permette già di legare fra di loro varie divinità, spesso con criterio di vicinanza territoriale delle loro sedi di culto. Ma altri e più ambiziosi sistemi escono da questa esigenza. Fra questi, particolarmente notevoli quello dell' Enneade e quello dell'Ogdoade.
Eliopolitano il primo, che narra come da Ra Atum nasca per una generazione che non ha bisogno di madre una prima coppia, S'u e Tefnut, da cui nasce una seconda di Geb (la terra) e Nut (il cielo), da cui nascono altri quattro dèi di complessa mitologia, Osiri, Isi, Seth e Nefti”.
Dunque il dio supremo Ra ha due figli Geb (terra) e Nut (cielo) e Donadoni ci dice che l'usanza degli dei è quella di unirsi in “triade” quindi è plausibile che Nut Ra Geb(pron. Gheb) sia la triade più famosa ed importante in quell' epoca, per cui i nostri Nuraghi potevano essere edificati per praticare il culto di Ra oltre ovviamente essere utilizzati anche per altri scopi come, ad esempio, il controllo del territorio.

L'immagine della chiesa di San Giovanni Battista è di Enzo Cau



1 commento:

  1. Nut Ra Geb se pronunciato unito (Nutragheb) suona molto simile alla parola nuraghe. E' un caso?
    Albino Nieddu

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