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mercoledì 11 aprile 2018

Archeologia. L'Alba di una Civiltà, Francesca Bianchi intervista Pierluigi Montalbano per FtNews. Articolo di Francesca Bianchi


Archeologia. L'Alba di una Civiltà, Francesca Bianchi intervista Pierluigi Montalbano per FtNews.
Articolo di Francesca Bianchi

FtNews ha intervistato il prof. Pierluigi Montalbano, studioso di paleostoria e direttore del quotidiano on-line di storia e archeologia, che recentemente ha dato alle stampe il libro Sardegna. L'alba di una civiltà, un testo divulgativo sulla Civiltà Nuragica. Presidente di Honebu e relatore in ambito storico-archeologico in numerosi convegni in Italia, Montalbano collabora con una équipe internazionale su temi riguardanti la navigazione antica, i relitti sommersi del Bronzo e del Ferro e i commerci fra Oriente ed Occidente mediterraneo.
Lo studioso ha voluto dedicare questa intervista al suo ultimo saggio, nato dagli argomenti affrontati in molte conferenze sulla storia antica della Sardegna da lui organizzate. Molti gli argomenti di cui ha parlato: dal culto della Dea Madre a quello degli antenati, dalla funzione delle Domus de Janas alle caratteristiche dell'architettura religiosa preistorica sarda, così come deducibile dalle Tombe dei Giganti e dai Pozzi Sacri. Ha parlato anche delle espressioni artistiche della civiltà sarda, come i bronzetti e le navicelle bronzee, e ha accennato alla Stele di Nora e al dibattito sorto tra gli studiosi in merito alla sua interpretazione.
Tra le pagine di questo prezioso manuale è racchiusa la speranza che la cultura cosiddetta "ufficiale" possa restituire alla Civiltà Nuragica la dignità che merita, riconoscendo l'importante ruolo storico di
quella che è stata una delle civiltà più antiche e all'avanguardia del bacino del Mediterraneo. Al prof. Pierluigi Montalbano va il merito di aver raccontato la storia e la preistoria della Sardegna con un linguaggio accessibile a tutti, anche a coloro che non hanno specifiche competenze in ambito archeologico. Dalle sue parole riecheggia la passione che anima le sue ricerche e i suoi studi, una passione che con vivo e sincero entusiasmo trasmette al lettore e a chi ha il piacere di assistere alle sue conferenze sulla storia sarda.

Prof. Montalbano, come e con quali obiettivi è nato il libro Sardegna. L'alba di una civiltà?
Nel corso degli ultimi anni ho preparato una serie di conferenze sulla storia antica della Sardegna e ho pensato di raccogliere i dati in ordine cronologico. Collegando gli argomenti fra loro, si è andata formando una struttura perfetta per la stesura di un testo divulgativo, ideale per tutti coloro che vogliono avvicinarsi ai temi archeologici, seguendo un percorso che non richiede particolari competenze. 


A cosa fa riferimento, nel sottotitolo, l'espressione alba di una civiltà?
La storia della Sardegna è poco trattata nei testi istituzionali, quelli scolastici, e, ancora oggi, noto una certa difficoltà da parte di chi prepara i programmi, nel considerare il periodo nuragico come meritevole del termine "Civiltà", forse perché ancora non si è riusciti a trovare una letteratura storica che descrive inequivocabilmente chi furono i nuragici e cosa realizzarono. Romani e Greci hanno descritto le vicende propagandando le loro gesta e minimizzando la storia degli “altri”. Ciò ha compromesso le nostre possibilità di comprensione dei fatti realmente accaduti. Penso che nel panorama storico vissero genti importanti che furono quasi cancellate dalla propaganda dei vincitori. In questo senso, l’età dei nuraghi non ha lasciato tracce letterarie che possano renderle merito, ma analizzando le opere architettoniche di cui furono capaci i sardi dell’epoca, si resta affascinati dall’ingegno e dalla maestria di quelle genti. Quella nuragica fu una Civiltà, non una semplice “cultura”.

Come è strutturato questo lavoro e a quali fonti ha attinto per la sua stesura?
Il testo segue un ordine cronologico preciso: dai primi ritrovamenti in grotta, risalenti al Neolitico Antico, fino alle espressioni artistiche in bronzo e in pietra che caratterizzarono il passaggio all’età del Ferro. Le fonti sono quelle tradizionali, ossia i testi che gli archeologi più capaci hanno elaborato negli ultimi 40 anni. Ho seguito il metodo scientifico e mi sono affidato alla letteratura suggerita dai docenti universitari.

Quanto è d'aiuto l'archeologia per ricostruire la storia della terra che ospitò una delle civiltà più antiche e all'avanguardia del bacino del Mediterraneo?
Nell’isola abbiamo bravi archeologi e, grazie alla passione che mettono nel loro lavoro, siamo in possesso di una quantità di dati impressionante. Migliaia di reperti sono esposti nelle vetrine dei musei e oggi è assai facile farsi un’idea precisa dell’evoluzione culturale di una società antica. Una nota dolente è la carenza di fondi, motivo per il quale spesso gli scavi terminano dopo poche settimane, cogliendo solo una minima parte di ciò che si potrebbe ottenere se le risorse economiche in gioco fossero sufficienti. D’altro canto, nell’isola sono migliaia i monumenti da indagare e l’impresa diventa titanica. Se fossi un dirigente della Soprintendenza, cercherei di trovare i fondi per iniziare una nuova lettura dei reperti già scavati e conservati nei magazzini. Con le conoscenze attuali si potrebbero scrivere nuove pagine di archeologia, lasciando da parte le costose campagne di scavo che prosciugano le casse già penalizzate dalle scelte degli ultimi governi.


Dai dati archeologici in nostro possesso è possibile tentare di ricostruire la cronologia del popolamento della Sardegna a partire dalla preistoria fino ad arrivare in piena età storica? 
E’ difficile ricostruire l’andamento demografico nelle varie fasi culturali. La storia è ciclica e non abbiamo sufficienti dati relativi alle variazioni del clima, alle linee batimetriche e alle concause che determinarono lo spostamento di genti all’interno dell’isola e oltremare. Ad esempio, c’è un “buco” cronologico fra la fine dell’età del Rame e l’inizio dell’età del Bronzo, intorno ai primi secoli del II millennio a.C. Forse il clima determinò modifiche sostanziali ai consueti metodi di antropizzazione. La ricerca è ancora indietro e i dati archeologici si limitano alle evidenze nei siti funerari. Fu una fase in cui le popolazioni intrapresero una vita seminomade, abbandonando i villaggi e dedicandosi ad attività legate alla pastorizia. Sono i secoli che precedono l’alba della Civiltà Nuragica.

Dove possiamo rintracciare le origini della civiltà nuragica? Come si è evoluta questa civiltà nel corso dei secoli?
Gli studiosi non sono concordi sulla questione. A mio avviso, i locali furono interessati da fenomeni culturali provenienti dall’esterno, penso soprattutto alle genti di cultura campaniforme che giunsero nell’isola dall’Europa nord-occidentale e dalle zone iberiche, probabilmente alla ricerca di metalli. Nel giro di poche generazioni s’integrarono perfettamente, formando il substrato che originò la Civiltà Nuragica. L’evoluzione è percepibile dalle modifiche introdotte nelle architetture. Dai nuraghi a bastione, privi di torri, senza stanze al piano terra e muniti di corridoi a sezione rettangolare (a forma di dolmen), si passò alle prime torri intorno al 1500 a.C., per giungere ai grandi edifici con più torri e bastioni, dotati di camere circolari, ingressi e corridoi a profilo ogivale e cupole realizzate in pietra. L’ultima fase, la più straordinaria, fu quella delle torri sovrapposte, unico caso sul pianeta di edifici abitabili costruiti realizzando fino a tre torri una sopra l’altra. Si giunse ad altezze vertiginose: circa 27 metri nel caso del nuraghe Arrubiu di Orroli e poco meno per il nuraghe Santu Antine di Torralba.

Le testimonianze archeologiche che Lei prende in considerazione in questo libro che immagine ci forniscono della cultura che le ha prodotte?
Ci rivelano qualcosa dell’ambiente sociale, economico, culturale e religioso della Sardegna di età preistorica e protostorica?

Nel libro si passa da manifestazioni artistiche di alto pregio, come quelle delle statuette della Dea Madre tenute in mano dai defunti nelle Domus de Janas, i sepolcri a grotticella artificiale risalenti alla metà del IV millennio a.C., fino ai celebri bronzetti della prima età del Ferro e alle coeve sculture in pietra che ornavano il cimitero di Monte Prama, nel Sinis. La religiosità dei Sardi è sempre stata un bel banco di prova per gli studiosi e siamo ancora lontani da interpretazioni condivise. Certamente la sfera del culto e dei riti è affascinante e ci riserva tante sorprese future.

Che ruolo deteneva la Sardegna all'interno della rete commerciale del Mediterraneo? Sono documentate alleanze commerciali o scambi con qualche popolo in particolare? 
La navigazione non lascia tracce evidenti e ricostruire le rotte è impresa difficile. Possiamo avvalerci della logica e di come funzionano i venti prevalenti e le correnti marine nei vari luoghi costieri. Il Mar Mediterraneo è affrontabile seguendo un movimento rotatorio antiorario che dallo Stretto di Gibilterra passa per le coste nordafricane fino all’Egitto, poi risale verso la Siria e, aggirando Cipro, l’isola del rame, passa nelle coste meridionali turche e arriva nelle isole dell’Egeo. Da lì si può proseguire verso nord, attraversando lo Stretto dei Dardanelli per giungere nel Mar Nero, oppure si prosegue verso la penisola italica. La Sardegna si trova al centro del Mediterraneo Occidentale, in posizione privilegiata per ospitare i marinai che trasportavano merci e tecnologie. Si tratta di navigazioni internazionali, con genti che sbarcano a ogni approdo e altri che salgono per iniziare un’avventura per mare. Il Mediterraneo è un piccolo bacino, ideale per tessere rapporti con tutti i popoli che si affacciano sulle coste. Gli antichi viaggiavano molto più di quanto pensiamo e il mercato globale non nasce certo nei nostri giorni.

Molte sono le statuette raffiguranti la Dea Madre rinvenute sull’isola. E' possibile rintracciare corrispondenze stilistiche ed ideologiche con le statuette della Dea rinvenute nelle zone della Vecchia Europa e nel Vicino Oriente? 
Il culto della Dea Madre, ossia un credo religioso legato al ciclo di rinascita, è comune su tutto il pianeta. Quando una donna affronta una gravidanza, cambia aspetto: ingrassa, partorisce e ritorna fanciulla. Ciò deve aver colpito assai l’immaginario dell’umanità, infatti la Dea Madre è una rappresentazione condivisa in tanti luoghi e da tante genti.

Cos'era, secondo Lei, il culto della Dea? In Sardegna era praticato? In caso di risposta affermativa, dove possiamo rintracciare le radici di questo culto e a cosa era legato?
Alla risposta precedente posso aggiungere che c’è un altro elemento legato ai riti di fertilità e alla Dea Madre. Il vaso, nelle sue rotondità, nel suo contenere qualcosa di misterioso, nel suo essere sempre presente nei riti di fertilità, costituisce un bel tema da affrontare dal punto di vista della religiosità. La ceramica andrebbe vista e studiata anche dal punto di vista sacro, non solo da quello utilitaristico, come mero contenitore di liquidi o derrate alimentari.

Un altro culto molto diffuso sull'isola era il culto degli antenati. In merito, cosa si può inferire dalle testimonianze archeologiche?
Il culto degli antenati segue gli stessi principi sacri della Dea Madre. Conservare un defunto nel ventre della Madre Terra è, da sempre, un concetto ispirato dal ciclo di rinascita. In Sardegna abbiamo le Domus De Janas che sono rappresentazioni del ventre materno, le Tombe di Giganti che hanno una forma che lega indissolubilmente la protome bovina, simbolo maschile del “generare la vita”, a quella dell’utero, ossia il luogo che riceve il seme e dona la vita, quindi garantisce la conservazione della specie.

Qual era la funzione delle Domus de Janas?
Questi sepolcri individuali sono i contenitori sacri entro i quali si svolge il ciclo di rigenerazione della vita. Il defunto riceve i riti funerari, viene cosparso di ocra rossa, il colore del sangue e della vita, e rimane conservato in attesa di risorgere. Il corredo funerario prevede contenitori di cibo e bevande, oggetti di vita quotidiana e altri manufatti o amuleti.

Cosa ci dicono le Tombe dei Giganti e i Pozzi Sacri relativamente alle caratteristiche dell'architettura religiosa preistorica sarda?
Le Tombe di Giganti e i Pozzi Sacri sono luoghi in cui si manifesta la religiosità dei nuragici. Essendo aniconica, ossia priva di simboli, penso che il monumento stesso sia costruito con una forma ben precisa, legata alla fertilità, al ciclo della vita. Certamente nell’isola si tenevano riti propiziatori e riti di iniziazione, e questi monumenti erano perfetti per svolgere tali riti.

L'ultimo capitolo del libro è dedicato alle espressioni artistiche della civiltà sarda, come i bronzetti e le navicelle bronzee. Cosa può dirci in merito agli aspetti formali e simbolici di questi reperti?
I bronzetti e le navicelle sono espressioni artistiche legate alla vita quotidiana e alla sfera religiosa.

Abbiamo fonti che documentano la scrittura in Sardegna? 
Al momento l’unico testo che mette d’accordo gli studiosi è la Stele di Nora, una pietra trovata a fine Settecento nei pressi della Chiesa di Sant’Efisio, a Nora, una frazione del comune di Pula. Si tratta di un testo scritto nel IX secolo a.C. con caratteri dell’alfabeto fenicio. Non sappiamo in che lingua sia scritto, pertanto la sua traduzione comporta una serie di problemi. Ritengo che sia una stele commemorativa voluta da un personaggio che fece edificare nella zona un tempio per ringraziare le divinità. Sappiamo che intorno al X secolo a.C. i mercanti mediterranei svolgevano i loro commerci presso approdi nei quali è testimoniata la presenza di un tempio dei naviganti. Forse si tratta di uno di questi edifici, in cui la divinità era garante degli scambi.

Recentemente sull'isola di Tavolara, nei pressi di Olbia, sono stati rinvenuti i resti di un insediamento del IX secolo a.C. riferibile alla civiltà villanoviana, che caratterizzò l’Etruria nella prima Età del Ferro. Come ha reagito a questa notizia? Pensa che potrebbero esserci stati altri insediamenti villanoviani in Gallura?
Su questa domanda preferisco sorvolare, perché penso che abbiano preso un abbaglio. I siti che testimoniano la presenza umana sono sempre da interpretare secondo i reperti rinvenuti e il metodo scientifico va seguito sempre. Quando si vogliono convogliare dati mirati a supportare una tesi specifica, occorre verificarne la qualità e la quantità; inoltre, devono essere confrontati con testi letterari o altre fonti. In caso d’incertezze è meglio seguire il metodo del “rasoio di Occam”, il principio metodologico enunciato dal monaco Guglielmo di Occam, secondo cui, a parità di elementi, la soluzione di un problema è quella più semplice e ragionevole.

Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno questo Suo lavoro? 
La storia insegna a ragionare e il nostro passato è un lume che, se ben interpretato, può aiutarci ad affrontare il futuro con un ventaglio di scelte positive e riducendo i margini di errore. In questo libro racconto le vicende millenarie di un popolo importante. Alcune di queste vicende sono illuminanti per capire l’importanza dell’organizzazione e della volontà di un popolo di affrontare con intelligenza la natura, assecondandola e sfruttandone le potenzialità.


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