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venerdì 16 febbraio 2018

Archeologia. Un bronzetto nuragico incarna il mito del Dio Marduk, la divinità solare mesopotamica, figlio di Ea, che vinse sulle tenebre e sul caos illuminando l'umanità e donando la conoscenza attraverso i suoi riti con l'acqua.

Archeologia. Un bronzetto nuragico incarna il mito del Dio Marduk, la divinità solare mesopotamica, figlio di Ea, che vinse sulle tenebre e sul caos illuminando l'umanità e donando la conoscenza attraverso i suoi riti con l'acqua.

A Pompei, in Via Stabiana, non lontana dal porto fluviale sul Sarno, c’è la casa di Cornelio Rufo, un nobile della Gens Cornelia. Due pitture parietali mostrano una misteriosofia legata ai culti della divinità locale identificata col fiume Sarno. La peculiarità di queste pitture è l’utilizzo del simbolismo magico del remo. Si riconosce un corso d’acqua sulle cui sponde ci sono graziose figure femminili che circondano il giovane Dio Sarno. In disparte c’è un giovane seduto in posizione iniziatica con un remo, una traccia evidente dei culti eleusini, praticati diffusamente nella Pompei dell’epoca. Lo stesso simbolo del remo è dipinto in un’altra pittura parietale che adornava la zona destinata al mercato pubblico dei prodotti del mare. Si nota il Dio Sarno appoggiato a un vaso rovesciato da cui escono copiose le acque del fiume sacro. La divinità è circondata da un gruppo di giovani donne che reggono una cornucopia, il corno dell’abbondanza, per indicare la fertile Valle del Sarno. Anche in questo caso, in posizione decentrata e isolata, c’è un giovane in posizione estatica con accanto il remo. Nel mondo della Grecia arcaica, quello cantato da Omero, si legge del rito ariano della cremazione del
corpo di Elpenore, marinaio di Ulisse, morto cadendo dalla terrazza del palazzo di Circe- L’urna con le sue ceneri viene coperta da un tumulo di pietre su cui viene piantato un remo con un significato che segnala un defunto che ha vissuto “l’azzurra avventura” sul mare, conoscendone i misteri e affrontando le acque infernali con l’aiuto del remo/timone, per giungere alla terra degli “immortali”. Si riconosce un culto misterico riservato esclusivamente ai marinai, fra i pochi a ricevere la “dolce morte”, l’immortalità eroica, invece di quella amara e oscura riservata agli uomini comuni. Il remo e il navigare, dunque, indicano esotericamente la lotta che l’uomo marinaio compie contro la natura “infera” delle acque oscure, per dominarla con il remo/timone e conquistare la “vera vita”.

Ricordiamo i miti arcaici di Gilgamesh, l’eroe babilonese che naviga al di là delle acque oscure della morte e trova l’albero della vita; Eracle, che mangia il frutto dell’immortalità nel giardino delle Esperidi solo dopo aver attraversato il mare d’occidente; i grandi personaggi “venuti dalle acque” da Mosè a Romolo. Il simbolismo magico del remo nappare anche nel grado più alto di iniziazione dei Misteri Eleusini, l’Iniziazione Regale, che prevede l’attraversamento simbolico delle acque nelle vesti del comandante di una nave, con l’ausilio di un remo/timone. La misteriosofia pompeiana comprende una parte riservata alla trasmissione, agli adepti, dei segreti dell’arte marinaresca, in particolare lo studio degli astri, che consentono al comandante “dal grande remo” di orientarsi in mare. La Dea Iside, nella sua connotazione di patrona delle genti di mare, è sempre presente in questi misteriosi riti, spesso raffigurata come donna che allatta un bambino. Iside è considerata la Stella Maris che, nelle vesti della lucente stella Sirio, sorge all’alba a Oriente ed è foriera di cielo sereno per i naviganti. A Pompei la più importante festa è quella con caratteri marinareschi detta del “Navigium Isidis”, festeggiata il 5 Marzo, corrispondente con il periodo dell’anno più propizio per riprendere la navigazione mediterranea. Importato dal porto egizio di Alessandria alle rive del Sarno, il culto di Iside ha successo anche per il fatto che molti culti nilotici della Dea si trasferiscono in fiumi più piccoli nelle varie sponde del Mare Mediterraneo. Per gli iniziati, le acque del fiume di Pompei, che rendono fertile l’intera valle, corrispondono in scala ridotta a quelle del Nilo, e le stesse paludi rigogliose di canneti presenti alla foce del Sarno, ricordano le paludi del Delta del Nilo, dove la Dea trovò sicuro rifugio dopo l’uccisione di Osiride.
Il primo esempio di una popolazione dedita alle cose di mare ci viene dai Sumeri, abitanti della culla della civiltà umana: la Mesopotamia, bagnata dalle acque dell’Oceano Indiano che penetra in quelle terre formando il Golfo Persico dove si trovano le foci del Tigri e dell’Eufrate. Già 5000 anni fa commerciavano con i paesi rivieraschi dell’India e descrivevano le gesta del loro eroe, il semidio Gilgamesh che veste i panni dell’intrepido navigatore. Per i Sumeri, quando non erano ancora stati creati il cielo, la terra, gli dei e gli uomini, esistevano soltanto l’Apsu (il principio maschile, l’oceano cosmico) e Mummu (il principio femminile, il caos del mare). Quando i due elementi primordiali si unirono, confondendo le loro acque, iniziarono tutte le cose create: la coppia divina dello spirito del cielo (Ansar) e dello spirito della terra (Kisar). Dalla loro eterna unione nasce la vita, come testimonia l’antico geroglifico egizio della vita: l’Anki, formato dalle lettere iniziali di Ansar e Kisar. La vita, dunque, viene dalle acque, con chiara allusione al liquido amniotico che nel gergo ginecologico conosciamo come la “rottura delle acque”, il momento che precede il parto. Il figlio di Ansar e Kisar è Ea, il “sovrano potente delle acque”, e da lui nascerà Marduk, il solare vincitore del caos primigenio (Tiamat), il portatore di luce che vince le tenebre e il caos. Si tratta di un Dio rappresentato con il corpo di pesce con squame da cui fuoriescono in alto la testa, e in basso i piedi di un uomo. Vestiti simili indossavano i suoi sacerdoti durante la celebrazione dei riti. Per ingraziarsi la sua benevolenza, il re guerriero Sennacherib, al momento di dare ordine alla flotta di salpare alla volta di Nagite, getta nelle acque del mare l’offerta votiva di una piccola nave in oro. Secoli dopo la marineria greca farà altrettanto con offerte votive di piccole barche in terracotta. Essendo il Dio delle acque profonde (l’oceano primordiale) questa divinità è il “Signore della Conoscenza”, promulgatore di leggi e difensore dell’ordine cosmico contro i demoni malvagi. Un’antica tavoletta sumerica lo racconta come comandante di una nave che attraversa l’oceano e arriva allo spuntar del giorno, allegoria del sole nascente visto come salvatore dalle tenebre. Marduk, sole invitto, nato dall’abisso delle acque nella duplice missione di portare la luce al mondo e recare agli uomini la saggezza paterna, frutto della sapienza infallibile di Ea, aveva una madre, Davkina, celebrata come datrice di vita e dea dell’amore, più tardi riconosciuta nella semitica Ishtar.
Marduk è anche gran maestro dell’arte magica del padre, in cui i riti dell’acqua erano sempre presenti. Un arcaico inno ci tramanda lo spargimento rituale di acqua sul richiedente la grazia. La formula sacra, recitata sugli infermi dai sacerdoti del dio, prevedeva l’uso di un’acqua magica attinta in sorgenti sacre. In altri riti si utilizzavano le acque prelevate laddove le acque dolci dei fiumi si univano con quelle amare del mare.
Nella cosmogonia mesopotamica le acque hanno a che fare anche con il regno dei morti, situato in una terra lontana da quella dei vivi, in un mare derivato dall’originario oceano cosmico che nessun essere vivente può attraversare, se non dopo la morte. A guardia di questo Ade c’è una divinità, Irkalla/Allat, che su una barca senza vele e senza remi naviga sulle acque limacciose in attesa di trasbordare le anime che giungono dal mondo dei viventi, come più tardi racconterà Dante nel mito di Caronte. Per contrapposizione, nella terra dei morti, sotto la soglia d’entrata del palazzo degli inferi, c’è una “fonte d’acqua di vita” che ridona la vita a chi vi si bagna o ne beve. Tuttavia, perché le acque della vita scaturiscano, occorre spostare la pietra della soglia che ostruisce la sorgente. Ciò è possibile solo all’onnipotente Ea, il signore delle chiavi della vita e della morte, l’unico a cui è consentito emettere l’ordine di rimuovere la pietra fatale. Il mito della fonte di vita nel regno della morte è riportato anche nella saga della discesa agli inferi della Dea Ishtar. Un mito mesopotamico racconta che i primi esseri umani un giorno videro uscire dalle acque uno strano essere con il corpo di pesce, la testa di uomo e i piedi che sporgevano sotto. Aveva voce umana, e tutti i giorni usciva dall’acqua e passava tutto il giorno in mezzo agli uomini, insegnando come fondare una città, come realizzare un tempio e insegnava tutte le altre scienze che formano il sapere umano. Al calar del sole si tuffava nelle acque dell’oceano e spariva.

Di questo argomento parla Orazio Ferrara nel suo testo "La navigazione nel mondo antico", Capone Editore, 2011, Lecce.


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