Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

sabato 4 febbraio 2017

Archeologia in Sardegna. Dal torciere al workshop: L’età del Ferro a San Vero Milis. Riflessioni di Alfonso Stiglitz

Archeologia in Sardegna. Dal torciere al workshop: L’età del Ferro a San Vero Milis
di Alfonso Stiglitz




Museo Civico di San Vero Milis (OR)
Fonte: Dattiloscritto dell’articolo poi edito in Rivista di Studi Fenici XLI, 1-2 (2013), pp. 15-22

Il 16 agosto del 1890 il Museo di Antichità (oggi Museo Archeologico Nazionale) di Cagliari acquisiva al proprio patrimonio, con il numero di inventario 22932, il noto “torciere” bronzeo proveniente da San Vero Milis (Fig. 1).

Il ritrovamento portò all’attenzione, per la prima volta in questo territorio, un oggetto con evidenti connessioni orientali e sicuramente attribuibile all’Età del Ferro, di importanza tale da trasformarlo nell’archetipo dell’immaginario archeologico sanverese. Centoventidue anni dopo, nel 2012, il workshop di cui questi atti rappresentano la testimonianza segna un nuovo punto fermo sul ruolo che il territorio sanverese svolge nello stimolo della ricerca sull’importante fase della storia sarda. In questo lasso di tempo il probabile sito di rinvenimento del “torciere”, il nuraghe s’Urachi, è stato oggetto di indagini archeologiche solo a partire dal secondo dopoguerra, con una prima campagna di scavi realizzata da Giovanni Lilliu nel 1948. Da allora si
sono succedute nove campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza archeologica e dal Comune, nel 1979, negli anni ’80, nel 19955 e nel 2005. (Fig. 2) Nel frattempo, nel 1986, il Comune di San Vero Milis ha istituito il Museo Civico con annesso il Parco archeologico di s’Urachi e negli anni ’90 ne ha avviato la costruzione oggi giunta a compimento. Il Museo, sebbene ancora non aperto al pubblico, svolge da anni attività di divulgazione e di ricerca scientifica, tra cui scavi archeologici e ricognizioni nel territorio; in particolare ha partecipato al progetto di ricerca Colonial Traditions che ha visto l’attuazione di studi archeometrici sulle ceramiche provenienti dal villaggio di Su Padrigheddu e dal contiguo nuraghe s’Urachi. Contemporaneamente sono state avviate attività scientifiche nell’area costiera di San Vero Milis, nel Capo Mannu, con la realizzazione di alcune campagne di scavo nel deposito nuragico posto nella spiaggia di Su Pallosu, che ha restituito materiali databili dal Bronzo recente sino all’età del Ferro, e di prospezione in tutta l’area. Sono stati anche avviati i lavori di sistemazione dei depositi del Museo e di pubblicazione dei reperti ivi presenti. Dal 2013 il Museo civico di San Vero Milis conduce, in regime di concessione triennale ai sensi del D. Lgs. 42/2004, scavi archeologici nell’area del nuraghe s’Urachi con direzione scientifica dello scrivente e di Peter van Dommelen della Brown University di Providence (USA) e nelle aree archeologiche di Serra is Araus di Su Pallosu con la direzione scientifica dello scrivente e di Giandaniele Castangia.
Un “torciere” come pretesto 
L’oggetto principe per l’età del Ferro del territorio sanverese, il cosiddetto torciere, è purtroppo privo di un contesto di provenienza se non per la generica menzione del nuraghe di San Vero Milis; la dizione di ‘nuraghe’ senza altra specificazione richiama il nome semplice di ‘s’Urachi’ (il nuraghe) con il quale viene denominato il gigantesco complesso turrito posto a poche centinaia di metri dal moderno abitato. All’epoca del rinvenimento il monumento doveva essere scarsamente leggibile, come attesta mezzo secolo dopo Taramelli: “un cumulo di rovine appena sporgente dal suolo”. L’importanza del pezzo rafforza l’ipotesi di provenienza da questo monumento data la preminenza del sito nella regione, sottolineata dalle dimensioni e dall’estensione cronologica della sua frequentazione a partire, almeno, dall’età del Bronzo sino all’epoca romana, senza apparenti soluzioni di continuità. Si tratta di un supporto rituale in bronzo, la cui definizione e uso è ancora oggetto di discussione: thymiaterion o bruciaincensi, in quanto collegato con funzioni rituali attestate su sigilli o rilievi per alcuni, torciere per altri. Dei sei esemplari finora rinvenuti in Sardegna tre provengono da siti definiti come centri fenici: Sulci, Bithia e Othoca. Gli altri tre provengono da ambiti definiti nuragici: San Vero Milis, Santa Vittoria di Serri, Tadasuni; i primi due appartengono al tipo B3 della classificazione di Almagro Gorbea mentre il terzo, dato lo stato di frammentarietà, può essere riportato genericamente al tipo B. Solo quello di Serri, molto simile al nostro, ha un contesto noto in quanto proviene dal c.d. recinto delle riunioni federali. Ignoto il contesto di s'Urachi, per il quale potrebbe ipotizzarsi la provenienza dall’area compresa tra il muro isodomo probabilmente del Bronzo finale e l’antemurale del Bronzo Recente, se verrà confermata l'ipotesi che questa sistemazione delimiti uno spazio cultuale o comunque pubblico. Altrettanto sconosciuto è il contesto di rinvenimento del pezzo di Tadasuni. Risulta difficile, in assenza del contesto di provenienza, avanzare ipotesi credibili sul significato della presenza di questo oggetto a s’Urachi. In generale, pare condivisibile l’ipotesi che si tratti “di status symbol di provenienza orientale utilizzata dalle élites delle comunità dell’Italia tirrenica e della Sardegna nelle manifestazioni pubbliche a testimonianza del prestigio raggiunto a livello internazionale”, anche se la sua possibile produzione occidentale, iberica o sarda dovrà portare a una rielaborazione di questa visione. Perché importare/fabbricare un “torciere”? Forse perché la sua funzione pratica originaria, sebbene spogliata degli aspetti ideologici di provenienza, poteva ben adattarsi a quelli specifici della società nuragica, senza che la forma concreta dell’oggetto ne risentisse; in questo senso la sua presenza potrebbe essere accostabile a quella delle lucerne nei contesti votivi ‘punico-nuragici’ più tardi. La presenza di un oggetto simile porta a interrogarci sulla realtà culturale, sociale e politica dei rapporti tra l’ambito di provenienza del pezzo, o dell’idea di questo manufatto, e quello di chi lo utilizza. Per questo è importante non limitarsi a un’analisi culturale del reperto ma cercare di inoltrarsi nell’individuazione dei gruppi sociali che stanno dietro alla sua comparsa e utilizzo, generalmente individuati con categorie classificatorie come “nuragici” e “fenici”: nel caso specifico le persone che erano insediate a S’Urachi. (Fig. 3) L’analisi, congiunta a quella degli altri oggetti contemporanei reperiti in loco, ci porta lontano dalla visione tradizionale dualistica nuragici/fenici, nella quale ogni cultura è un insieme definito e fossilizzato costituente un popolo/etnia distinto dall’altro, sempre e comunque. L’acquisizione del reperto in quanto bene di prestigio da parte del gruppo dirigente abitante a s’Urachi comporta non solo la sua reinterpretazione secondo la propria ideologia ma anche l’assunzione di modi di pensare esterni, sebbene rielaborati alla propria maniera. Parte importante di questa trasformazione è percepibile nella produzione artigianale ceramica, l'unica attualmente investigabile per il sito. L'analisi archeometrica, condotta sui materiali delle ricerche realizzate, ha permesso di identificare una varietà di impasti (fabrics) che seppure sostanzialmente prodotti contemporaneamente presentano delle differenze significative non solo nella catena operativa produttiva, ma anche nella trasformazione del gusto. Se da un lato le ceramiche mostrano la consueta dicotomia sull'uso o meno del tornio, dall'altro appare evidente – ma non è una novità – che l'utilizzo dell'innovativo strumento artigianale non è limitato all'immissione di nuove forme o nuovi artigiani; ciò è documentato dalla produzione con tecniche non tornite di vasi di tipologia sia nuragica sia fenicia, così come nella ceramica tornita sono presenti essenzialmente forme di tradizione fenicia ma non in modo esclusivo. La preponderanza di materiale di morfologia e di impasti fenici, soprattutto a partire dalla seconda metà del VII a.C., riporta in maniera palese al nuovo ruolo che il centro di Tharros pare iniziare a svolgere rispetto al territorio, cambiando le forme e la sostanza dei precedenti rapporti territoriali e di cui s'Urachi non rappresenta solo un caso di studio, ma il più importante centro dell'entroterra del nuovo spazio urbano. Di questa nuova realtà può rappresentare un contraltare la differente sorte del non lontano insediamento nuragico di Su Cungia' 'e funta' (Nuraxinieddu) che vede finire la sua vita proprio in questo lasso di tempo, significativa espressione della complessità del processo, in atto in questa regione, non alieno da contraddizioni le cui conseguenti tensioni, formatesi nei gruppi sociali distinti per luoghi e per interessi, possono dare corso a conclusioni anche traumatiche. L’evoluzione delle ceramiche ci dice che questo processo, che idealmente (ma non è detto che lo sia nella realtà) possiamo far cominciare con l’acquisizione del “torciere”, vede la trasformazione profonda, “molecolare” per dirla con Gramsci, del gruppo sociale fino ad allora vivente nell’insediamento che porta all’acquisizione di nuove identità culturali non più riconoscibili in quelle precedenti (schematicamente definibili come nuragica o fenicia) ma non per questo dimentiche di esse. D'altra parte il comparire di oggetti 'esotici' che denotano un certo status in chi li acquisisce, può essere indice del formarsi di un periodo di insicurezza sociale, che potremmo definire di cambiamento, nel quale il vecchio ordine viene messo in discussione. Un indizio possiamo trovarlo nella non lontana necropoli di epoca nuragica di Monte Prama (Cabras), risalente alla prima età del Ferro: la consueta sistemazione egualitaria dei defunti, con la assenza di corredi di accompagnamento, viene interrotta con la tomba 25 nella quale un maschio ventenne è sepolto con una collana il cui elemento più vistoso è un oggetto esotico, uno scaraboide di provenienza orientale. L'anomalia potrebbe indicare il sorgere di uno stato di insicurezza nel quale la necessità di una ostentazione di status rivela l’esigenza di ribadire il ruolo dell'individuo e del gruppo sociale di appartenenza. A s’Urachi, nell'arco temporale che va dall'avanzato VIII a.C. sino alla piena età punica, rileviamo il formarsi e lo svolgersi di un processo, “molecolare” appunto, con la trasformazione dei gruppi sociali frutto non di una mera sostituzione di persone ma di un incontro nel quale le strutture che formano il gruppo sociale che vive in quel specifico luogo si trasformano in qualcos'altro. Non sono ancora chiari né il processo che a questo porta, né l'effettiva traducibilità tra le varie espressioni di questa fase; in altre parole, non è chiaro se la società che c'era prima sia perfettamente intesa da quella successiva e in quale modo; appaiono però, sebbene ancora in modo confuso, quelli che sono i protagonisti di questi cambiamenti o, per meglio dire, quelli che ci mostrano tali cambiamenti, ad esempio gli artigiani specialisti della ceramica, uomini o donne che siano, che si muovono come nuovi intellettuali capaci di proporre, assieme ad altre categorie professionali, le nuove forme nelle quali quel gruppo sociale deve agire.In conclusione potremmo chiederci: chi era ‘veramente’ nuragico (o fenicio) a s’Urachi nell’età del Ferro?

Nessun commento:

Posta un commento