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lunedì 6 febbraio 2017

Archeologia. Il complesso di S’Urachi e l’insediamento di Su Padrigheddu (San Vero Milis - OR). Indagini sulle relazioni tra gli ultimi nuragici e i primi fenici Riflessioni di Alfonso Stiglitz - Barbara Puliga - Alessandro Usai - Salvatore Carboni - Luciano Lecca

Archeologia. Il complesso di S’Urachi e l’insediamento di Su Padrigheddu (San Vero Milis - OR). Indagini sulle relazioni tra gli ultimi nuragici e i primi fenici
Riflessioni di Alfonso Stiglitz - Barbara Puliga - Alessandro Usai - Salvatore Carboni - Luciano Lecca
Da: Atti della XLIV Riunione Scientifica: La preistoria e la Protostoria della Sardegna
Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009


Si espongono i risultati dello scavo archeologico e delle indagini geoarcheologiche condotte nel 2005 presso il nuraghe S’Urachi e nell’area circostante. Oltre ai nuovi dati sulla struttura del nucleo polilobato, i saggi stratigrafici alla base dell’antemurale turrito e del muro isodomo aggiunto e le analisi di campioni del terreno hanno chiarito la formazione dei depositi adiacenti al monumento e il rapporto tra questi e l’insediamento punico. È stato messo in evidenza il deposito alluvionale su cui il monumento fu costruito, trasportando migliaia di blocchi di basalto da affioramenti distanti più di due chilometri; ciò rivela l’intenzionalità di una scelta apparentemente contraddittoria e il ruolo del monumento nella gestione del territorio. Inoltre è stata ripresa l’analisi dei materiali recuperati alcuni decenni fa nell’adiacente sito di Su Padrigheddu, che si è rivelato un insediamento misto dell’VIII a.C. occupato da abitanti di
origine nuragica e da fenici.

Osservazioni geologiche (Salvatore Carboni - Luciano Lecca)
Il complesso di S’Urachi e l’insediamento di Su Padrigheddu sono situati poco a W di San Vero Milis, nella parte settentrionale della fossa tettonica del Campidano sede di un complesso sedimentario di piana alluvionale ad elevato contenuto clastico in matrice argilloso-limosa. Nelle porzioni orientale e occidentale dell’area sono presenti delle conoidi di versante e torrentizie sovra-incise. La gerarchia di tali morfostrutture consentirebbe di attribuirle cronologicamente alla fine del Pleistocene medio (conoidi di versante sovra-incise; 780-126 ka) ed al Pleistocene superiore (piana alluvionale sovra-incisa; 126-11 ka), in regime climatico-eustatico variabile e differente dall’attuale. I settori morfologicamente più depressi, in particolare l’estesa depressione palustre di Mare Foghe, rappresentano le aree di colmata alluvionale olocenica ancora in atto. Tale contesto di corpi deposizionali di versante e soprattutto fluvio-torrentizi, tutti provenienti dal versante meridionale del Montiferru, costituisce il substrato su cui sono stati edificati sia il complesso nuragico di S’Urachi sia l’insediamento di “Su Padrigheddu”. La quota di circa 5 metri dell’area di insediamento del nuraghe, insolitamente bassa, può essere comparata con le variazioni di quota del livello del mare (eustatismo) e col comportamento verticale del terreno (subsidenza). L’aumento del livello del mare rispetto alle strutture puniche e romane (Antonioli et alii 2007), in diversi siti della Sardegna compresa Tharros, estrapolato per l’intervallo degli ultimi 3000 anni, corrisponde a sollevamenti tra un massimo di 2,76 e un minimo di 1,25 m. Il calcolo della subsidenza nell’area del Campidano di Oristano, dedotto dai dati di sondaggi profondi per la ricerca di idrocarburi (Tilia-Zuccari 1969; Pala et alii 1982) e dalla quota dei sedimenti del Tirreniano (Ferranti et alii 2006), mostra valori di abbassamento del suolo per la zona di S’Urachi, rispetto alle quote di 3000 BP, compresi tra 0,33 m e 0,21 m. Sommando l’eustatismo marino con la subsidenza, si perviene a valori relativi di variazione del livello del mare compresi tra un massimo di 3,09 m e un minimo di 1,46 m. Essendo la quota attuale di circa 5 m, si ottengono valori compresi tra circa 6,5 e circa 8 m per 3000 anni BP. Tali valori, seppur di piccola entità, implicano tuttavia rilevanti diversità paleogeografiche e paleoambientali al tempo delle popolazioni nuragiche e puniche nelle aree degli stagni del Sinis e della piana di Oristano. In particolare, nei dintorni del sito di S’Urachi comporterebbe una minore estensione degli stagni e degli acquitrini, a favore dei terreni utili per le colture o comunque disponibili per tutte le attività connesse alla presenza degli insediamenti.

S’Urachi: posizione, struttura, dati acquisiti e problemi aperti (Alessandro Usai - Alfonso Stiglitz)
Il nuraghe S’Urachi è costruito con blocchi di basalto, da poco a variamente bolloso. Esso fu edificato su un dosso appena rialzato nel mezzo della piana alluvionale, in un’area priva di tali pietre da costruzione, scelta che ne ha quindi previsto appositamente il trasporto in considerevole quantità dalle colline adiacenti l’attuale abitato di Narbolia, distanti oltre due chilometri in linea d’aria (fig. 1A). La peculiarità, per non dire l’apparente incongruenza di questa scelta rivela un programma che doveva andare ben oltre l’edificazione del monumento stesso: probabilmente quest’opera ciclopica venne realizzata in concomitanza con un altrettanto ciclopico progetto territoriale di trasformazione agricola e di riassetto economico e demografico, di cui sono testimonianza anche gli altri nuraghi della zona alluvionale realizzati nello stesso modo. Tra tutti, S’Urachi doveva essere, ed è rimasto anche nel nome, il principe dei nuraghi del Campidano settentrionale (Usai 2005). Come è noto dai precedenti studi (Lilliu 1949; Tore 1984; Tore e Stiglitz 1992), la parte più cospicua di S’Urachi è costituita dall’antemurale, di cui emergono sette torri ed altrettante cortine (fig. 1B); altre due torri erano visibili al di sotto della vecchia strada provinciale oggi dismessa, che in questo punto sale a superarle; un’ultima torre è ipotizzabile sotto i sedimenti nel settore occidentale, portando il numero complessivo a dieci. A SE, un grosso muro costruito con blocchi squadrati, probabilmente di recupero, si addossa a una delle torri dell’antemurale. All’interno dell’antemurale si trova il nucleo principale del monumento, che comprende almeno due torri ma di cui non si conosce ancora l’intera configurazione planimetrica. Apparentemente il nucleo principale polilobato si trova in posizione eccentrica, dal momento che sembra quasi aderire all’arco orientale dell’antemurale lasciando un’area libera, forse un ampio cortile, nel settore occidentale. In questo settore è presente una vasta cava di terra, di età moderna, funzionale alla realizzazione dei mattoni crudi per l’edificazione delle case del vicino paese. (Alessandro Usai)

Le immagini dello scavo di Giovanni Lilliu, realizzato nel 1948 (Lilliu 1949), mostrano una lunga trincea perimetrale che aveva lo scopo di mettere in luce le strutture esterne del monumento, cioè appunto l’antemurale e il muro isodomo. Lo scavo perimetrale non incontrò ostacoli fin quasi alla quota di fondazione dell’antemurale, dal momento che il materiale di crollo era molto scarso. Gli strati scavati restituirono quasi esclusivamente reperti punici e romani, dato confermato da un saggio condotto negli anni ’80 tra le torri 2 e 3, che ha messo in luce una sequenza stratigrafica di diversi strati tutti di età romano-repubblicana. Inoltre Lilliu individuò alcuni edifici punici addossati all’antemurale, oggi quasi completamente distrutti ma chiaramente poggiati su un piano regolare poco al di sopra delle fondazioni del nuraghe. Anche se lo scavo e lo studio procedono con risorse insufficienti e intermittenti, l’ultima campagna condotta nel 2005 ha affrontato l’indagine in modo sistematico, con un programma interdisciplinare definito e circoscritto. In primo luogo sono state recuperate le notizie degli scavi precedenti e le memorie di coloro che avevano visto il monumento ridotto a discarica di rifiuti e, prima ancora, a cava di pietra e fabbrica di mattoni crudi d’argilla e paglia. Quindi, considerate le dimensioni del complesso, l’intervento si è indirizzato verso due obiettivi specifici: da una parte la rimozione ordinata dei depositi rimestati che coprono la spianata sommitale del monumento, così da isolare gli strati indisturbati e nello stesso tempo portare in luce i ruderi del nucleo edilizio centrale; dall’altra saggi mirati alla base dei margini esterni del complesso, allo scopo di definire i piani di fondazione delle diverse strutture e la stratigrafia dei depositi dal substrato agli strati più recenti. (Alfonso Stiglitz).

La campagna di scavo 2005 (Barbara Puliga – Alessandro Usai)
L’indagine del 2005 si è svolta principalmente nella parte sommitale del nuraghe, dove sono state scavate alcune US attribuibili a sconvolgimenti subiti dal monumento in età moderna e composte da materiale terroso-limoso, fittile e lapideo proveniente dallo scarto della lavorazione dei mattoni crudi, connesso con la adiacente cava. Nel corso dell’asportazione delle US superficiali sono emersi tre blocchi pertinenti al paramento murario di una torre laterale del nuraghe. Tra i reperti rinvenuti si segnalano pochi frammenti attribuibili alla produzione ceramica nuragica, tra cui tre anse pertinenti a brocchette askoidi, una delle quali decorata a spina di pesce, e un frammento di parete con imposta d’ansa e decorazione a cerchielli concentrici (fig. 1E). Il resto del materiale è riportabile a epoca punica e romanorepubblicana. Più a S, a ridosso della cortina tra le torri 2 e 3, queste US superficiali coprivano una interessante sequenza stratigrafica, messa in luce già nelle precedenti campagne di scavo. Il deposito, ancora da scavare, è caratterizzato da un’ingente presenza di resti di pasto ed ex-voto punici. Si segnala in particolare il rinvenimento di un bruciaprofumi e di frammenti ceramici recanti lettere dell’alfabeto punico graffite. La scoperta di tali materiali testimonia un riutilizzo della sommità del nuraghe a fini cultuali, di cui alcuni indizi erano già emersi negli scavi degli anni ’80 tra il materiale rimestato della parte sommitale, tra cui frammenti di statue fittili di Bes. Questo riutilizzo potrebbe risalire anche ad epoca nuragica avanzata. L'intervento sulla spianata sommitale è stato accompagnato da due limitati saggi ai piedi del monumento. Il primo, presso la torre 3 dell’antemurale, ha evidenziato una sequenza stratigrafica estesa sino a lambire la risega di fondazione della torre e ha restituito materiali di epoca punica con un’ingente quantità di resti osteologici, in particolare mascelle bovine, e numerosi frammenti di ziri, anforacei e tabouna (fig. 1C). Il secondo saggio, realizzato alla base della struttura muraria in opera isodoma addossata all’antemurale, ha restituito anche in questo caso una stratigrafia di età punica (fig. 1D). Al di sotto della cortina muraria è documentata una fase più antica, che ha restituito un esiguo numero di reperti ceramici attribuibili al Bronzo Finale o Primo Ferro. Tale US si interponeva tra lo strato vergine e le pietre di base su cui poi si imposta il muro isodomo. Questo dato ci permette di stabilire che il muro isodomo è stato realizzato non prima dell’età del Bronzo Finale. In sintesi, in entrambi i saggi si è riscontrato un deposito sottile e finemente stratificato, costituito da una serie ordinata di livelli quasi esclusivamente di epoca punica che si segue fino all’affiorare dello strato vergine su cui l’intero monumento venne edificato. (Barbara Puliga)

Si nota dunque uno stridente contrasto tra l’area racchiusa dall’antemurale, in cui gli spazi tra le strutture sono completamente ricolmi e che infatti ha assunto l’aspetto di una spianata uniforme, e la fascia che circonda all’esterno l’antemurale, che invece è stranamente priva del consueto, possente e avvolgente accumulo di blocchi e pietrame, che generalmente deriva dal crollo del nuraghe e dell’insediamento circostante. Se ne deduce che il nucleo polilobato interno, sicuramente completato fino al livello dei mensoloni (di cui si conservano alcuni esemplari fuori posto), ebbe tempo e modo di degradarsi e di subire intensi smantellamenti e rimaneggiamenti; invece l’antemurale non diede luogo all’accumulo di consistenti strati di crollo prima della rioccupazione punica, ma nemmeno intorno ad esso si formarono depositi corrispondenti alla costruzione, occupazione e abbandono di un insediamento strutturato. Infatti all’esterno gli strati e gli edifici punici coprono appena il piano di fondazione dell’antemurale e del muro isodomo. Una eccezione parrebbe costituita dallo spazio delimitato dal muro isodomo, al cui interno sorgono alcune strutture di epoca punica, a una quota decisamente superiore, attestando così la presenza di un accumulo sottostante. Ciò suggerisce che il grande nuraghe, voluto e costruito in questo luogo apparentemente contro ogni logica, non abbia avuto lunga vita e non sia stato in grado di attrarre un insediamento proporzionato alle sue dimensioni e al ruolo economico e simbolico che avrebbe dovuto esercitare. (Alessandro Usai)

I campioni stratigrafici (Salvatore Carboni - Luciano Lecca)
I campioni del terreno acquisiti nel corso dei saggi stratigrafici eseguiti alla base dell’antemurale turrito e del muro isodomo aggiunto hanno chiarito la natura e l’appartenenza dei corpi sedimentari adiacenti al monumento. I sedimenti superficiali e in scavo, per circa 1 metro, sono costituiti da rimaneggiamenti dei sottostanti sedimenti alluvionali, con frequente presenza di granuli di minerali pesanti (magnetite), granuli di quarzo, ghiaie e ciottoli di natura vulcanitica a vario grado di smussamento, rare lamelle di mica, argille di sedimentazione continentale superficiale, nonché vari materiali di provenienza antropica nuragica e post-nuragica. Eccetto che per l’occasionale presenza in granuli carbonatici biogeni, provenienti da lastre di arenaria eolica e di arenaria calcarea marina, anch’essi di provenienza antropica, l’analisi litologica ha individuato pertanto, nelle U.S. campionate, unicamente contenuti litici e caratteri della matrice omogenei con i litotipi presenti nelle aree di alimentazione naturale, ovvero i versanti meridionali del Montiferru. Sotto i blocchi basaltici alla base del muro isodomo, il contenuto clastico ed i caratteri tessiturali del deposito individuano pertanto l’originaria superficie topografica di appoggio della struttura, corrispondente alla parte alta dell’unità alluvionale pleistocenica costituita dai sedimenti ad elevato contenuto clastico, in matrice argillosa arrossata. 

Nuragici e Fenici a Su Padrigheddu e a S’Urachi (Alfonso Stiglitz)

Le uniche tracce sinora note di un abitato precedente all’epoca punica sono quelle localizzate a circa 200 metri dal nuraghe, nel luogo detto Su Padrigheddu. È documentato da prospezioni svolte agli inizi degli anni ’80 a seguito di un rimboschimento, che portarono alla raccolta di un consistente lotto di ceramiche di tradizione nuragica e fenicia. Inizialmente interpretato come necropoli a incinerazione, con datazione alla fine del VII a.C. per la parte fenicia, è oggi più chiaramente riferibile a un abitato nuragico della fase avanzata della prima età del Ferro, nel quale vanno evidenziandosi presenze fenicie databili a partire dall’VIII a.C., con attestazioni sino a età tardopunica, senza apparente soluzione di continuità (Stiglitz 2007). La fase più antica è documentata da ceramiche in red slip e da orli di anfore tipo S. Imbenia (fig. 1F.9-10). Le ceramiche di tradizione nuragica, pur derivate dalle forme del Primo Ferro iniziale, sono ormai nettamente differenziate da esse nei caratteri tecnici e formali (fig. 1F.1-8). Questa situazione richiama da vicino quella più nota di S. Imbenia di Alghero (Garau e Rendeli 2012; Depalmas e Rendeli 2012) e trova un riscontro nel villaggio nuragico di Su Cungiau ’e Funtana di Nuraxinieddu, distante circa 10 km, che documenta la fase recente del Primo Ferro e l’avvio dell’orientalizzante, e nel quale sono attestate, seppure in maniera ridotta, anfore tipo S. Imbenia (Sebis 1994, 2007). A questa fase è possibile attribuire uno straordinario oggetto, rinvenuto nell’800 e di cui purtroppo ignoriamo l’esatto punto di provenienza: si tratta del c.d. “torciere” bronzeo di tipo cipriota (fig. 1G) (Tore 1986). Il rinvenimento di due esemplari molto simili al nostro, uno a Tadasuni e l’altro a S. Vittoria di Serri in contesti nuragici, ci porta a supporre che anche quello di S’Urachi provenga dalla fase nuragica, come oggetto parlante dell’incontro tra questa comunità e le componenti fenicie che veicolarono questo tipo di oggetti. L’appartenenza degli altri due esemplari a depositi non funerari fa propendere, anche per quello di S’Urachi, per una sua connessione con ambiti votivi, di cui il muro isodomo potrebbe rappresentare la fase più antica e il deposito di epoca punica quella più tarda. A partire dalla fine dell’VIII e nel VII sec. a.C., nell’area di Su Padrigheddu e di S’Urachi la cultura materiale presenta una crescente fenicizzazione fino alla scomparsa delle forme e delle tecniche propriamente nuragiche (Roppa 2012), mentre in questa stessa fase pare esaurirsi la vita del vicino villaggio di Su Cungiau ’e Funtana di Nuraxinieddu, attestando la possibile trasformazione delle comunità miste nuragico-fenicie verso una fase diversa decisamente più acculturante. In conclusione, S’Urachi pone gli studiosi delle civiltà nuragica e fenicia di fronte alla necessità ineludibile di costruire un’interpretazione non unilaterale ma condivisa dell’ingresso della Sardegna nella storia, quindi un’interpretazione credibile solo in quanto adeguata alla complessità dei processi in gioco. 

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