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martedì 18 ottobre 2016

Archeologia. Chi erano i Fenici? Traffici commerciali e integrazione fra popoli nell’estremo occidente mediterraneo di 3000 anni fa.

Archeologia. Chi erano i Fenici? Traffici commerciali e integrazione fra popoli nell’estremo occidente mediterraneo di 3000 anni fa.


Nel passaggio fra l’età del Bronzo e l’età del Ferro si nota una proliferazione di rotte commerciali che collegano gli approdi disposti nelle coste Mediterranee. Le aree interessate comprendono il Vicino Oriente, Malta, la Sicilia nord-occidentale, la Sardegna, il Nord-Africa e la Penisola iberica. Gli studiosi ipotizzano un cambio climatico che provocò una drastica riduzione delle terre coltivabili con conseguente crisi alimentare. Il fenomeno peggiorò intorno al 750 a.C. con la pressione assira delle terre del Vicino Oriente che ridusse i terreni messi a coltura. In Occidente, soprattutto nelle zone iberiche, ci fu una proliferazione di villaggi a sfondo agricolo e legati alle attività di

mare. Nell’Andalusia Atlantica i villaggi costieri si arricchirono con lo sfruttamento delle miniere, mentre gli insediamenti dell’Andalusia Mediterranea devono la loro prosperità soprattutto per lo sfruttamento delle risorse agropastorali del territorio.
Uno dei più antichi insediamenti dell’Andalusia atlantica è il Castillo de Doña Blanca, un centro situato nel Golfo di Cadice, in una piccola insenatura in prossimità della foce del Guadalete. Frequentato già nell’800 a.C., nel corso del secolo successivo occupava una superficie di 7 ettari con 500 abitazioni e 2000 residenti. Era delimitato da una possente muraglia preceduta da un fossato di 20 metri. La quantità e qualità della ceramica testimonia la ricchezza del centro, con floride relazioni commerciali lungo tutte le coste mediterranee. In breve tempo il Castillo si sviluppò verso l’isoletta che gli antichi autori identificano con Cadice. Intorno all’800 a.C. fu edificato un tempio Melqart, sull’isolotto di Sancti Petri. A Cadice abbiamo strutture abitative del 750 a.C. sotto il moderno quartiere di Santa María, nel settore più occidentale dell’isola di Kotinoussa. Dalla necropoli a incinerazione di Puerta de Tierra, sono state recuperate sepolture del 700 a.C. Abbiamo, dunque, un modello urbanistico simile a quello di Tiro, con due insediamenti: insulare, sotto Cadice, e continentale, nel Castillo de Doña Blanca, avamposto sulla terraferma. I commerci fra fenici e locali, caratterizzati prevalentemente da scambi di argento, interessarono le aree montuose interne delle province di Huelva e di Siviglia fino a raggiungere le coste del Portogallo e del Marocco. Nel IX a.C. si nota un’antropizzazione capillare nella Baia di Cadice sino alla foce del Guadalquivir, con centri principali che controllano i piccoli villaggi a base agropastorale, scarsamente interessati ai metalli. A Huelva, invece, già nel 1000 a.C. si sfruttavano le miniere di rame della regione, con officine specializzate nella lavorazione di armi e di oggetti di bronzo e un florido commercio con le regioni atlantiche del Portogallo e della Francia da una parte e il Mediterraneo centrale dall’altra. Ciò suggerisce una struttura sociale gerarchizzata con élites in grado di gestire ampie masse di lavoratori. La presenza di leader che gestivano gli interessi della comunità favorì il commercio, poiché i primi mercanti che raggiunsero la regione riuscirono a instaurare rapporti con partners affidabili che gestivano l’estrazione e il trasporto dei metalli dalle miniere ai mercati. Due erano gli itinerari del metallo: il primo nasce nella regione del Riotinto, con Cerro Salomón, specializzato nell’estrazione e nella fusione dell’argento, dell’oro e del rame. Lingotti e minerale allo stato grezzo venivano trasportati lungo il corso del Río Tinto fino a Huelva, dove venivano fusi nei forni e poi imbarcati alla volta di Gadir. Il secondo itinerario era organizzato intorno al distretto minerario di Aznalcóllar, con Cerro del Castillo e Los Castrejones, centri posizionati strategicamente e dotati di imponenti sistemi difensivi. Fuori dalle aree minerarie, disposti lungo la direttrice di collegamento al mare, nacquero altri centri in cui si lavorava l’argento: Peñalosa, San Bartolomé de Almonte e la città fortificata di Tejada la Vieja. L’argento di Riotinto, ricco di piombo, era differente da quello di Aznalcóllar. Il dato è significativo dal momento che il piombo è fondamentale nella coppellazione, una tecnica innovativa nella fusione dell’argento. L’argento estratto a Riotinto si fondeva utilizzando il piombo presente nel minerale, mentre quello proveniente da Aznalcóllar poteva essere lavorato solo con l’aggiunta di piombo metallico importato nella regione dai mercanti fenici della Baia di Cadice che così influenzarono la produzione e il commercio del minerale estratto nel distretto, a differenza di quanto documentato per l’argento del Riotinto, il cui commercio era saldamente nelle mani dei locali. A Tejada la Vieja il forte impatto con i mercanti portò alla creazione di un importante villaggio, con edifici abitativi, capanne artigianali dedicate alla metallurgia e magazzini per lo stoccaggio di prodotti alimentari, divisi tra loro da strade. A Tavira, alla foce del rio Gilão, c’è una possente muraglia difensiva del 700 a.C. che difende le strutture dedicate alle attività metallurgiche legate alla lavorazione dell’argento proveniente dai distretti minerari del Basso Alentejo e della Serra Algarvia, seguendo un percorso già utilizzato nel Bronzo. Pochi chilometri a sud di Tavira c’è Castro Marim, alla foce del fiume Guadiana, un sito fortificato costruito su una collina che controlla un vasto territorio. Nel VII a.C. Castro Marim diviene un importante mercato nel quale confluivano rame e argento dalle regioni più interne, e manufatti pregiati mediati dai commercianti navali stranieri. Da Gadir e Castillo de Doña Blanca l’argento veniva imbarcato su navi e trasportato nei più importanti mercati del Mediterraneo. Inizialmente la merce scambiata per l’argento riguardava prevalentemente olio e vino, come testimoniano le tante anfore da trasporto, le brocche bilobate e le coppe carenate. Dal 750 a.C. viene introdotta la tecnica del tornio, la depurazione dell’argilla, e si nota un nuovo assetto urbanistico. C’erano artigiani itineranti che spostandosi nelle comunità producevano manufatti e insegnavano alle popolazioni locali l’utilizzo delle nuove tecnologie. La diffusione di beni suntuari agli inizi del VII a.C. è la prova dell’affermazione di gruppi aristocratici che controllano le risorse del territorio e accumulano ingenti ricchezze. I sovrani locali adottano nel loro stile di vita e nelle pratiche funerarie modelli propri delle aristocrazie del Vicino Oriente, certamente trasmessi dai commercianti. Si circondarono di simboli di potere e di oggetti preziosi, esotici, da esibire nelle cerimonie pubbliche, e alla loro morte questi oggetti diventano il corredo funerario. Nelle necropoli di La Joya, Huelva, e altre, gli archeologi trovano gioielli di oro e argento, avori, bruciaprofumi e vasi in bronzo, uova di struzzo decorate tagliate a forma di vaso e di coppa. Inoltre c’erano oggetti, in ceramica e bronzo, per bere e mangiare che attestano la pratica del banchetto rituale. A volte anche singoli pezzi in avorio e vetro. L’assunzione di vino durante le cerimonie pubbliche ci riporta a pratiche rituali diffuse nel Vicino Oriente e in Grecia, mentre l’olio era utilizzato nella dieta quotidiana e per illuminare le dimore e le tombe principesche nel corso delle cerimonie funebri, come testimoniato dal rinvenimento di thymiateria e candelabri in bronzo.
Sin dal loro arrivo in Spagna i naviganti levantini introdussero la coltivazione dell’olivo, infatti, il termine Kotinoussa dato dai Greci a Cadice si riferisce ai numerosi olivi della baia. L’olio importato suggerisce la presenza di mercanti che lo acquisivano a Bibloe  Sarepta. Eccellente era l’olio attico, commerciato in anfore di lusso denominate SOS, e il movimento di merci pregiate portò all’ostentazione da parte dei signorotti locali e all’incremento delle attività produttive. I locali, sfruttarono le conoscenze di agricoltori e allevatori stranieri per introdurre nuove piante e raffinate tecniche agricole perché le pianure lungo il corso del Guadalquivir sono fra le più fertili di tutta la Spagna. Assieme ad agricoltori e allevatori giunsero anche artigiani, carpentieri e tecnici. Comparvero le prime botteghe artistiche orientali con ateliers operanti prima a Cadice e poi presso le regge dei signori di altri villaggi. Naturalmente nel giro di una generazione di formò una scuola con artigiani locali che appresero le novità.
Per quanto riguarda la sfera del sacro, nei pressi di Siviglia, a Montemolín abbiamo templi della fine dell’VIII a.C., che rivestivano una funzione economica testimoniata dalla presenza di ossa di buoi, capre, arieti, scrofe e di grandi contenitori decorati e dipinti. Gli animali sacrificati venivano macellati e le loro carni lavorate, salate e commercializzate.
La linea di costa alla foce del Guadalquivir nel I millennio a.C., era diversa da quella attuale, infatti, gli insediamenti di Siviglia e di El Carambolo, che oggi distano dall’Atlantico 70 km, prima erano sul mare.
Alla foce del Guadalquivir, nell’800 a.C. si sviluppa un villaggio in un lato e su un promontorio, nell’altro lato, un grande santuario ben visibile dal mare, in cui si praticava la prostituzione sacra. Risalendo il corso del fiume, i navigli potevano raggiungere i ricchi centri agricoli dell’interno.  I sepolcri più antichi della zona mostrano il rito con l’ustrinum, un luogo nel quale si eseguiva la cremazione dei defunti. Si tratta dunque di una incinerazione secondaria, distinta da quella primaria nella quale i defunti venivano posti su una pira funeraria realizzata direttamente sopra la fossa che a combustione finita avrebbe accolto le ceneri.
I villaggi andalusi mediterranei sono sulla costa che interessa Málaga, Granada e Almería, posti lungo i fiumi che giungono dalla Cordillera Penibética: Cerro del Prado alla foce del Guadarranque, Casa de Montilla alla foce del Guadiaro, Cerro del Villar alla foce del Guadalhorce, Málaga sul Guadalmedina, Toscanos sul Vélez, Morro de Mezquitilla sull’Algarrobo, Chorreras, Almuñécar sul río Seco, Cerro de Montecristo sul río Grande e Villaricos sull’Almanzora. Negli abitati si nota lo sviluppo delle attività agropastorali e di quelle legate al mare come pesca, raccolta dei molluschi e salagione del pesce. Abbiamo contatti fra gli abitanti costieri e le genti dell’interno, con lo sviluppo di commerci fra mare e villaggi indigeni costruiti nei punti strategici che dominavano le principali vie di comunicazione verso la valle del Guadalquivir. I reperti scavati confermano che i locali vivevano con i mercanti sin dalle prime fasi di contatto. La valle del Vélez rappresenta un’importante via di penetrazione verso le fertili pianure di Granada. Alla foce del Vélez, nel 750 a.C. nasce Toscanos, che mostra ceramica modellata a mano di tradizione locale in abbinamento a ceramica grigia d’importazione. Nel VII a.C. proliferano gli insediamenti indigeni a vocazione agricola, come Cerca Niebla, distante da Toscanos appena 2 km e Los Pinares, sul fiume Algarrobo vicino a Morro de Mezquitilla. Sono diffuse le ceramiche Red-slip e le anfore da trasporto, che documentano un commercio di olio, vino e garum. Si notano l’introduzione del tornio veloce e la depurazione delle argille, la tecnologia del ferro e le nuove tecniche costruttive e di impianto delle strutture abitative.
Nel Primo Ferro si assiste a una riorganizzazione territoriale, con la nascita di grandi villaggi che convogliano i prodotti provenienti dai territori circostanti e fungono da cerniera fra l’area atlantica e quella mediterranea. Nella provincia di Granada c’è Almuñécar/Sexi, florida nel 750 a.C. come testimoniano i ricchi corredi delle necropoli. Gli scavi hanno messo in luce anche forni per la produzione di anfore che attestano un aumento della produzione agricola e la formazione di un surplus alimentare, con conseguente flusso di anfore per derrate alimentari verso la costa. Le ricchezze accumulate nei commerci con i mercanti di Almuñécar contribuirono alla formazione di gruppi emergenti. La richiesta sempre più pressante di prodotti alimentari come olio, vino e grano, indusse altri villaggi della provincia di Granada a sviluppare l’agricoltura e un’organizzazione commerciale di accumulo e redistribuzione dei prodotti provenienti dalla piana di Cordoba.
Intorno ad Almería dal’VIII a.C. aumentò notevolmente lo sfruttamento delle ricchezze metallifere dell’Alpujárride. Nascono Cerro de Montecristo (antica Abdera), alla foce del Río Grande e piccoli villaggi nella Depressione di Vera, come Boliche e Pago de Sapo de Vera. Sulla riva sinistra dell’Almanzora, nel 650 a.C. si forma Villaricos (antica Baria), mentre Cabecico de Parra, si pone in relazione con lo sfruttamento delle miniere di argento e di ferro di Herrerías. Contemporaneamente, si assiste a una riorganizzazione del territorio con l’abbandono dei piccoli villaggi che costellavano la Depressione di Vera a vantaggio di grossi villaggi che si dispongono in punti strategici in prossimità delle miniere o delle fertili terre alluvionali, ad esempio Cortijo de Riquelme e Loma Blanca, che domina la confluenza della Rambla del Palmeral con il Río Aguas.
L’Andalusia non è il solo territorio interessato allo sviluppo della rete commerciale. Nella provincia di Alicante, alla foce del fiume Segura, dal 750 a.C. c’è l’insediamento di La Fonteta, e sul versante meridionale della Sierra de Crevillente c’è Peña Negra. Inoltre, negli strati dell’abitato del 850- 725 a.C. e nella necropoli di Les Moreres sono stati messi in luce una serie di reperti provenienti dal Mediterraneo centro-orientale. Le categorie di manufatti sono tante e vanno dai bracciali in avorio ai vaghi di collana in faïence e in pasta vitrea, alle fibule di bronzo del tipo con arco a gomito e a doppia molla. Il motivo della precoce presenza dei commercianti sulle coste alicantine deve essere ricercato nelle ricchezze minerarie della regione, in particolare nelle vene di galena argentifera della Sierra di Orihuela e di Callosa del Segura. Inoltre, agli inizi del I millennio a.C. aumentano notevolmente gli insediamenti posti in posizione strategica, utilizzati come terminali della rete atlantica dei metalli, ad esempio, Peña Negra, fulcro della diffusione in molte aree del Mediterraneo centrale delle nuove tecnologie di provenienza atlantica legate alla produzione di manufatti in bronzo.
Lungo il corso del Segura, i mercanti occuparono il settore inferiore del fiume e realizzarono degli avamposti strategici sui percorsi di collegamento verso l’interno. Alla foce del Segura risiedevano nella città di La Fonteta con i relativi impianti portuali, mentre a circa 2 km, già sul finire dell’VIII a.C., si insediavano nel sito fortificato del Cabezo del Estaño, che difendeva uno dei porti della colonia: Rinconada. La presenza sin negli strati più antichi di materiali misti, locali e d’importazione, in percentuali equivalenti testimonia la presenza di nuovi arrivati che si integrano alla perfezione in seno alle comunità locali. Inoltre, la messa in luce all’interno della fortificazione di uno spazio protetto da un potente muro e adibito ad attività metallurgiche suggerisce una gerarchizzazione sociale, basata sulla specializzazione del lavoro, legata al gruppo dominante. Nello stesso arco di tempo i mercanti di La Fonteta si installarono nel Castillo de Guardamar, un sito collocato in posizione strategica a controllo del territorio e della navigazione costiera dove realizzarono un tempio dedicato ad Astarte. E’ documentata anche un’intensa proiezione verso le aree più interne della regione, nel tentativo di consolidare i circuiti di approvvigionamento delle risorse metallifere. Los Saladares de Orihuela e Peña Negra, infatti, presentano una sequenza culturale in cui è possibile distinguere una prima fase con sole importazioni orientali seguita, nel 700 a.C., da una fase in cui i rapporti fra stranieri e locali investono la sfera culturale e quella produttiva, quest’ultima grazie soprattutto all’introduzione del tornio veloce e della tecnologia del ferro. Durante la fase Orientalizzante (725-575 a.C. ca.) nel sito si verificano mutamenti, con una pianificazione dell’impianto urbano, che supera in questa fase i 30 ettari di estensione, e con l’erezione di una possente cinta muraria. Inoltre, aumentano le importazioni provenienti dalla Baia di Málaga, mentre nella ceramica locale accanto alle produzioni a mano compaiono i primi esemplari lavorati al tornio. Dal VII a.C. è attestato a Peña Negra un quartiere di artigiani e commercianti provenienti dalla vicina La Fonteta, con botteghe di ceramisti, bronzisti e orafi che successivamente da vita a delle scuole locali. L’arrivo di questi specialisti è legato alle ricchezze accumulate dal centro e alla formazione di élites locali desiderose di manifestare il loro potere tramite l’ostentazione di oggetti di lusso. La presenza di forni da vasaio specializzati nella produzione di anfore da trasporto attesta l’esistenza di un surplus di prodotti alimentari, quali vino, olio e carni salate da esportare nei centri dell’interno. Ciò favorì la fusione delle diverse culture che vennero in contatto, come attestano i beni suntuari, quali avori e gioielli.
Le valli del Segura e del Vinalopó rappresentano la più importante area di irradiazione commerciale nel Sud-Est iberico, ma la presenza allogena risulta di notevole impatto anche a Sud-ovest del Segura, nella Murcia, il litorale costiero intorno alla futura colonia di Cartagena, come testimoniano i relitti dei navigli andalusi, a Playa de La Isla, a Mazarrón, e del Bajo de la Campana, nel Mar Menor. La regione è ricca di miniere e gli scavi condotti a El Castellar, nei pressi del moderno centro di Librilla, hanno messo in luce un esteso insediamento con ruolo di centro redistributore dei prodotti provenienti dai villaggi dell’interno verso le comunità situate lungo il litorale. Il sito si caratterizza inoltre per lo sviluppo della metallurgia del ferro. Sulla costa, poco più a sud, c’è Punta de los Gavilanes, uno scalo sulle rotte commerciali del Mediterraneo occidentale vicino al distretto minerario di Mazárron, ricco di rame, piombo e argento. I contatti con i mercanti navali furono particolarmente proficui per le comunità indigene, che adottarono ben presto nuove tecnologie come il tornio veloce e le attrezzature per produrre vino, infatti, nell’insediamento di Alt de Benimaquía, presso Dénia, gli archeologi hanno messo in luce impianti per la produzione del vino attivi a partire dalla fine del VII a.C. Proprio per potenziare i commerci in direzione del Levante e del Nord Est iberico fu fondato a Ibiza, nel corso del VII a.C., l’insediamento di Sa Caleta e nel 600 a.C. il raggio di azione del commercio si allargò sino a raggiungere il Golfo del Leone e la valle dell’Ebro che rappresentava la più importante via di penetrazione verso le regioni interne dalle quali i mercanti importavano in prevalenza metalli in cambio di consistenti quantità di vino ed olio.
Nell’attuale Portogallo, la presenza di miniere di oro, stagno, rame e argento attirò i mercanti di Cadice che sfruttarono i consolidati circuiti commerciali indigeni del Bronzo Finale che collegavano stabilmente le due principali aree di produzione e smercio di armi e di beni suntuari del settore atlantico della Penisola iberica: l’estuario del Tejo e il comprensorio di Huelva. L’irradiazione segue un percorso marittimo e uno terrestre attraverso le regioni interne dell’Estremadura spagnola e portoghese, dell’Alentejo e della Beira. La prima avviene dalle coste utilizzando il corso dei principali fiumi del paese. Lungo il Tejo, di grande interesse sono gli scavi condotti nell’insediamento indigeno dell’Alcáçova de Santarém, a circa 80 km dalla foce, in un punto strategico facilmente difendibile e con una buona visuale su lunghi tratti del fiume. Nel Primo Ferro, questo sito fu un porto nel quale venivano raccolte e redistribuite sulle rotte atlantiche e mediterranee le risorse minerarie delle regioni più interne del paese, in particolare lo stagno e l’oro della Beira. I mercanti della Baia di Cadice si inserirono presto in questo circuito, come risulta dalle importazioni ceramiche che costituiscono al momento le più antiche attestazioni dei traffici commerciali del Portogallo centrale. La stabile presenza di artigiani e commercianti stranieri all’interno della comunità indigena è testimoniata dalla compresenza di ceramica fabbricata a mano e quantità sempre più consistenti tipologie di vasi al tornio. Insieme alle produzioni in Red-Slip e alle ceramiche decorate a bande dipinte è attestata anche la ceramica grigia orientalizzante, che tanta fortuna ha avuto fra le comunità indigene della Spagna. Si nota anche l’attività legata alla lavorazione dell’argento, la produzione di pasta vitrea per la realizzazione di oggetti di ornamento personale, l’introduzione di nuove tecniche costruttive per le abitazioni, che da circolari diventano rettangolari. Fra gli insediamenti indigeni disposti alla foce del fiume, i più importanti sono Lisbona e Almaraz, posti l’uno di fronte all’altro sulle opposte sponde del Tejo. Lisbona, con i suoi 15 ettari di estensione, era il centro principale della regione, con un’organizzazione territoriale gerarchizzata in grado di amministrare il territorio con le sue risorse e di controllare il commercio regionale e quello a lunga distanza. Intorno a Lisbona, nei due grandi insediamenti di Santa Eufémia e di Almaraz, risiedevano personaggi di status sociale elevato, che mantenevano con il capoluogo strette relazioni pur essendo subordinati politicamente e amministrativamente. Altri insediamenti rurali, ad esempio Outorela, Moinohs de Atalaia e Freiria, sopperivano alle necessità alimentari degli abitanti dei centri maggiori, dediti ad attività di tipo artigianale e commerciale. A Lisbona la ricchezza dei materiali rinvenuti e l’introduzione di innovazioni nelle produzioni ceramiche locali, quali l’uso del tornio veloce, delle argille depurate e delle superfici ingubbiate, suggerisce la presenza di botteghe straniere in seno alla comunità indigena. Santarém non può essere incluso nel sistema territoriale alla foce del Tejo poiché gestiva autonomamente il flusso di metalli che arrivavano dalla Beira. L’interessamento dei mercanti di Cadice per il corso terminale del Tejo deve essere ricondotto non solo ai metalli, ma anche all’acquisizione di prodotti alimentari, con massicci disboscamenti per utilizzare aree sempre più vaste di territorio per fini agricoli. Le analisi polliniche condotte a Paul do Patudos (Alpiarça), vicino a Santarém, e quelle carpologiche realizzate ad Almaraz hanno confermato l’introduzione a partire dal VII a.C. della coltivazione della vite e dell’olivo. Infine, la grande quantità di resti ittici e di molluschi rinvenuta ad Almaraz indica nella pesca e nelle attività di lavorazione del pesce altre fonti di ricchezza. In questo insediamento si produceva garum, come confermato dall’individuazione di saline, la cui presenza è legata a tale tipo di attività. A poche decine di chilometri a sud del Tejo sfocia nell’Oceano il Sado, un’area ricca di villaggi. Le più antiche attestazioni provengono dagli scavi condotti sulla collina di Santa Maria, nel centro storico di Setúbal, e si riferiscono al 700 a.C. Abbiamo ceramica modellata a mano vicina a un consistente nucleo di ceramica di importazione lavorata al tornio. Una situazione analoga si può riscontrare ad Alcácer do Sal, il più importante insediamento indigeno del Basso Sado, che controllava gli scambi fra la costa e le regioni più interne del paese, dove, nel distretto di Ourique, ci sono miniere di rame. Dal 650 a.C., gruppi di mercanti e artigiani stranieri aprono bottega nei villaggi della valle del Sado dando vita, attraverso matrimoni misti, a comunità multietniche.
Altra direttrice commerciale verso l’interno del paese è quella più settentrionale, che segna il limite della diffusione della cultura orientalizzante in Portogallo. Si riferisce al corso del Mondego, alla cui foce si colloca l’insediamento di Santa Olaia. Il sito, che nell’antichità si trovava su un piccolo isolotto al centro dell’estuario del fiume, fu occupato all’inizio dell’età del Ferro. Sin dalle prime fasi di vita appare evidente il forte impatto con nuovi arrivati, riscontrabile sia nel tipo di abitazioni, a pianta rettangolare e con le pareti in mattoni di argilla cotti al sole costruite su uno zoccolo in pietra, sia nella produzione vascolare, dal momento che abbondano le ceramiche in Red-Slip, quelle decorate a bande di pittura rossa e nera e le ceramiche grigie orientalizzanti. Questi materiali, che si datano fra il 700 e il 600 a.C., erano associati a ceramiche modellate a mano del Bronzo finale locale, a testimonianza di una comunità mista. Scavi recenti hanno inoltre messo in luce un’estesa area industriale, dove sono stati identificati alcuni forni metallurgici e ingenti quantità di scorie di minerale. Non sono stati trovati crogioli da fonderia o stampi e questo sembra indicare che a Santa Olaia si procedeva alla fusione e alla trasformazione del metallo in lingotti ma non c’erano ateliers per la produzione di utensili e beni suntuari. Sembra probabile che le élites che risiedevano a Conímbriga abbiano svolto un ruolo fondamentale nella nascita di Santa Olaia per due motivi: il diretto controllo della fascia costiera e la gestione del flusso dell’oro e dello stagno proveniente dai distretti metalliferi della Beira Alta.
All’estremo sud del Portogallo, in Algarve, gli insediamenti sono due: Castro Marim e Tavira. Sono simili, ambedue in prossimità della foce di un fiume e fortificati. Sono centri legati alla strategia di acquisizione dell’argento operata dai mercanti di Cadice. A questa funzione bisogna aggiungere quella di scalo sulla rotta verso il Portogallo centro-settentrionale e le isole Cassiteriti. Ruolo analogo ha Rocha Branca, alla foce del rio Arade. Una seconda via seguita dai mercanti di Cadice è terrestre, attraverso l’Estremadura, dove alcuni insediamenti posti strategicamente a controllo del flusso dei metalli consentirono l’arricchimento delle elite locali. È questo il caso di La Aliseda, dove gli archeologi hanno messo in luce nella tomba di un principe locale un tesoro con numerosi oggetti di alta oreficeria. Anche Medellín, sull’alto corso del Guadiana, ha restituito innumerevoli beni suntuari nella necropoli. Cancho Roano (Zalamea de la Serena, Badajoz), è importante per la posizione strategica sulla via dello stagno e per lo sfruttamento agricolo delle fertili terre dell’hinterland. Gli scavi hanno messo in luce un palazzo-santuario del VI a.C. dotato di magazzini con anfore per il vino da consumare nell’ambito di cerimonie pubbliche religiose e diplomatiche, per rafforzare le alleanze con le comunità limitrofe, come suggerito dalla dispersione regionale dei contenitori.
Il VII a.C. rappresenta il periodo di massima fioritura dei commerci ma già nel VI a.C. si notano i segni di una crisi a causa della pressione esercitata da Cartagine. In passato si attribuiva questa crisi alla conquista di Tiro da parte di Nabucodonosor (573 a.C.) e all’ascesa del commercio greco nella regione, ma la crisi di Tiro è precedente, dovuta alla politica espansionistica dei sovrani assiri nella prima metà del VII a.C. Le principali città della Penisola iberica si erano affrancate politicamente ed economicamente da Tiro, creando proprie classi dirigenti e dinamici circuiti commerciali nel Mediterraneo centro-occidentale e nell’Atlantico. Il commercio greco portò benefici alle comunità indigene, come testimonia la favorevole accoglienza riservata da Argantonio ai Focei (Erodoto, I, 163). Le cause della crisi vanno ricercate in fattori di natura sociale ed economica. Il collasso dei commerci è contemporaneo al fiorire di centri produttivi periferici, per esempio nella regione dell’Alto Guadalquivir, che vedrà nascere proprio in questo periodo i primi insediamenti urbani dell’interno. Si nota una contrazione delle attività metallurgiche ma la crisi mineraria non può essere la sola causa della crisi dal momento che il problema investe anche i ricchi centri agricoli della valle del Guadalquivir, che vengono in parte abbandonati e in parte distrutti. Le campagne non erano più in grado di soddisfare le esigenze di una popolazione in continua crescita, e la perdita di potere e di prestigio delle élites dei mercanti di Cadice causò una recessione che investì le attività legate alla produzione di beni di prestigio. La crisi interessò soprattutto le colonie della Baia di Cadice che avevano monopolizzato i rapporti con Huelva e con i centri del Basso Guadalquivir, determinando il collasso dell’intera rete commerciale di Cadice intorno al 550 a.C. Il VI a.C. rappresenta una fase di profonde trasformazioni anche per l’Andalusia orientale. In questo periodo, infatti, alcuni insediamenti vengono abbandonati, mentre altri subiscono una forte contrazione. Contemporaneamente si assiste alla concentrazione della popolazione in pochi centri portuali di grandi dimensioni, come Málaga, Sexi e Villaricos. Le indagini condotte al Cerro del Villar hanno dimostrato che la crisi e il successivo abbandono dell’insediamento furono determinati da mutamenti paleoambientali causati da uno sfruttamento intensivo del suolo e da una massiccia deforestazione. Il repentino sviluppo di Málaga è in relazione alla politica di Cartagine rivolta a consolidare i propri interessi nella regione potenziando solo alcuni insediamenti, che dovevano presentare precise caratteristiche topografiche favorevoli allo sviluppo di grandi porti. Seguendo nuove strategie economiche questi centri orientarono i loro commerci essenzialmente verso il Mediterraneo e Cartagine, tuttavia, gli insediamenti andalusi non possono essere valutati solo per la loro funzione di scali commerciali o luoghi di mercato. Infatti, la presenza di officine specializzate e di magazzini indica il precoce sviluppo di attività industriali legate al territorio, e il commercio si basava su beni prodotti localmente: dalle ceramiche ai prodotti alimentari, dagli utensili ai beni suntuari. Le importazioni risultano minime anche nelle fasi più antiche di VIII secolo. Le ceramiche si limitano a pochi esemplari di coppe e piatti in Phoenician Fine Ware, mentre le anfore levantine contenenti vino e olio rinvenute nell’estremo Occidente mediterraneo sono in percentuali bassissime rispetto alle anfore locali. Questo induce a ritenere che in breve tempo furono realizzati in loco forni specializzati nella fabbricazione di contenitori da trasporto tramite i quali si vendevano presso le comunità indigene vino e olio prodotti localmente. Discorso analogo deve essere fatto per gli utensili di ferro: forni per la lavorazione del ferro sono stati rinvenuti in molti villaggi, da Morro de Mezquitilla a Toscanos a La Fonteta. Queste riflessioni possono essere estese a molte altre classi artigianali. L’insieme di questi dati permette di affermare che tutte le forze produttive presenti lungo le coste mediterranee (tecnici, artigiani e manovali) si imbarcarono in cerca di fortuna alla stessa stregua delle masse contadine provenienti dalle campagne. Il contatto fra genti di varia etnia investe tutti i principali settori produttivi, anche se assume caratteristiche diverse secondo le varie realtà trovate localmente. Il fatto che nel comprensorio di Huelva o lungo la valle del Segura siano state potenziate le attività metallurgiche, mentre sul Guadalquivir e sul Guadalhorche si siano intensificate le attività agropastorali dipende dalle risorse disponibili sul territorio e dal tipo di organizzazione delle comunità locali. Introdotti dai commercianti navali, questi nuclei di stranieri permisero la formazione di comunità miste, e un ruolo significativo fu svolto dai santuari nel promuovere alleanze e transazioni commerciali.




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