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venerdì 22 aprile 2016

Archeologia e leggende. Atlantide, nobile menzogna della rivoluzionaria mitologia di Platone, di Paolo Bernardini

Archeologia e leggende. Atlantide, nobile menzogna della rivoluzionaria mitologia di Platone.
di Paolo Bernardini




Il problema della localizzazione della terra di Atlantide ha trovato la sua morte definitiva, per manifesta indegnità di accesso nel campo delle riflessioni di storia e di archeologia, nel lontano 1841 attraverso le parole, chiarissime, di Thomas-Henry Martin contenute nella sua Dissertazione sull’Atlantide, parole che oggi voglio ricordarvi: “L’Atlantide non appartiene alla storia degli eventi né alla geografia positiva… essa appartiene a un altro mondo, che non è nell’ambito dello spazio, ma in quello del pensiero”. Per l’esattezza, del pensiero platonico, poiché l’Atlantide è creazione potente del filosofo greco, mito funzionale alla sua concezione filosofica e alle sua utopia politica.
Poiché l’Atlantide è anti-storia, essa non può essere richiamata, neppure attraverso una severa confutazione delle assurdità che in sua difesa sono state scritte e ancora si scrivono, in un discorso in cui si parla di storia e di archeologia; essa non vi appartiene, non vi è mai appartenuta; potrà, se mai, essere studiata e valutata, come è stato fatto ripetutamente e con risultati egregi, nell’ambito di una
storia dei miti e delle idee che si sono formate sui miti nel corso dei secoli o nell’ambito delle ideologie politiche che spesso sui miti hanno trovato linfa e vigore.
Desidero invece parlarvi del mito di Atlantide come è stato immaginato da Platone, del suo significato e delle sue moltiplici valenze; desidero parlarvi di una nobile Atlantide, una delle tante e belle nobili menzogne che appartengono alla rivoluzionaria mitologia platonica.
Il concetto che Platone esprime sui miti è netto e categorico: il mito è un discorso falso. Eppure nella mitologia del filosofo, nell’uso che Platone fa di vari racconti fantastici, questo concetto del tutto negativo si attenua e il mito assume un carattere differente: pur restando sempre un discorso falso esso diventa anche un contenitore di elementi di verità. Ma questa verità non appartiene alla storia ma all’etica, alla morale; la verità del mito è allora una nobile menzogna.
La sua nobiltà morale risiede nella sua capacità di coinvolgere l’interesse e l’entusiasmo, di attrarre il coinvolgimento e la partecipazione della comunità dei cittadini verso l’insieme dei valori che costituiscono appunto la tradizione della città; attraverso quelle narrazioni di racconti, in cui come dice il filosofo: “poiché non sappiamo il vero circa gli eventi antichi, cerchiamo di approssimare il più possibile la menzogna alla verità, rendendola in questo modo utile”; e del resto, riflette Platone in un altro passo, “c’è pericolo che i nostri governanti debbano spesso ricorrere alla menzogna e all’inganno nell’interesse dei sudditi”.
Ma in che senso il racconto su Atlantide è una menzogna utile e nobile, una “menzogna di stato”? Attraverso le parole riportate da Crizia che riferisce il resoconto del suo avo Crizia il Vecchio che riporta altre parole, questa volta di Solone, che dai sacerdoti egizi ha appreso la storia antichissima della guerra che Atlantide muove ad Atene, il mito descrive l’Atene di un lontanissimo passato –sono trascorsi novemila anni dalle storie che vengono raccontate –che assomiglia moltissimo, nella sua organizzazione e nelle sue istituzioni, a quella città ideale che Platone disegna nella Repubblica. E’ l’ordinamento di questa bella città, scompartita in filosofi, guerrieri e produttori, che l’Egitto ammira ed imita ed è quest’ordinamento che consente ad Atene di trionfare contro le armate dei ricchi e superbi Atlantidi che vogliono conquistare il mondo.
La città ideale platonica è in questo modo collocata nello spazio di una nobile menzogna, di una realtà falsa, che ha, come mito fuori della storia, la sua utilità e la sua nobiltà; perché “se è accaduto nell’infinito tempo passato, o anche oggi accade in qualche regione barbarica a noi ignota per la sua lontananza, oppure se accadrà nel futuro che una qualche necessità induca chi eccelle nella filosofia a prendersi cura di una città, allora siamo pronti a sostenere che quando la Musa della filosofia domini lo stato, la costituzione da noi descritta è esistita o esiste o esisterà”. Se è esistita l’Atene primitiva, potrà esistere la città ideale di Platone.
I dialoghi Timeo e Crizia sono stati scritti intorno alla metà del IV sec.a.C.; è il periodo in cui Atene si accinge a superare, politicamente, l’esperienza del trionfante imperialismo marittimo che aveva governato i suoi orizzonti strategici all’indomani della conclusione delle guerre persiane e a ritornare quella città austera e moderata che caratterizza la città ideale di Platone, lontana dalle lusinghe e dai lussi dell’impero marittimo, ma fiera e fiduciosa dei suoi guerrieri di terra, dei suoi opliti.
Atene preistorica, essenziale e rigorosa, incarnazione fintamente storica della ideale Atene della Repubblica platonica, sconfigge un impero vasto e opulento, il regno di Atlantide, che vuole superare le colonne d’Ercole e conquistare il Mediterraneo e le sue genti e che assume i tratti di un impero barbarico, immerso nel fasto e nell’abbondanza di metalli preziosi, fiero della sua architettura ridondante, tracotante nel suo ruolo di potenza egemone del mare, imperialista quanto non mai, fiduciosa della forza della sua flotta.
Comprendiamo adesso a pieno cosa sia veramente Atlantide, descritta analiticamente da Platone con la forza dei numeri e delle quantità: essa è la corruzione dell’opulenta monarchia persiana –e molti suoi caratteri richiamano, anche nello stile erodoteo che Platone imita in modo superbo, i grandi paesaggi dell’Oriente evocati dallo storico di Alicarnasso –ma è anche l’Atene nata dalla politica di Pericle, l’Atene democratica e imperialista padrona dei mari; la contesa tra Atene e Atlantide, raccontata nel linguaggio degli storici –Erodoto e Tucidide –che il filosofo imita per imitare la storia nella sua nobile menzogna –è la guerra tra Atene e la Persia, ma è anche una guerra civile tra due Atene inconciliabili.
Platone, quindi, imita la storia, o meglio, il racconto della storia e i grandi storici greci che la storia raccontano; ma da essi prende forse anche gli spunti “storici” sui quali ricamare la sua Atlantide: che sia la regione del monte Atlante citata da Erodoto sulla terra d’Africa oltre le Colonne o quella isola Atalante, nella Locride Opunzia, che Tucidide ricorda distrutta da un maremoto.
Filosofo, abile manipolatore degli stili dei grandi storici della Grecia, Platone è anche uomo capace di ironia e di sottili rimandi che rivelano la falsità della storia di Atlantide, la collocazione mitica della sua invenzione; perché il racconto è narrato da Solone poeta che si colloca a fianco di Omero e di Esiodo, i più famosi narratori di miti: “Se Solone non avesse fatto della poesia un passatempo ma vi avesse applicato tutte le sue cure come gli altri, se avesse dato forma compiuta a quel racconto che aveva portato con sé dall’Egitto in Grecia, e se le sedizioni e il resto che trovò qui al suo ritorno non lo avessero costretto a trascurare la poesia, né Omero né Esiodo, né alcun altro poeta sarebbe mai stato, a mio parere, più celebre di lui”.
Sconfitta da Atene, l’Atlantide-Atene periclea e democratica soccombe sotto la furia di Poseidone; ma il suo futuro è straordinario e non dipende dal suo inventore, Platone: immagine del male e dell’assoluto negativo per il filosofo greco, essa diventerà utopia positiva, paese meraviglioso, paradiso terrestre, l’isola Bensalem della Nuova Atlantide governata dagli scienziati di Francesco Bacone, su cui ironizzerà Jonathan Swift con la sua Laputa, straordinaria isola volante, città sospesa nel cielo, governata dai saggi occupati in ricerche di altissimo rilievo, come ottenere luce dai cocomeri.
E si svilupperà nei tempi e fino ad oggi quella sindrome di Atlantide di cui ho deciso di non parlare, e che scorre dietro di me in immagini di pura fantasia, contenute ai due estremi dal richiamo di Goya al sonno della ragione che genera mostri e dalla nave dei folli di Bosch; quella paranoica ricerca di un luogo reale e realmente esistito, quell’isola che non c’è che ha fatto e fa innumerevoli vittime, nobili e meno nobili.
Lo sviluppo storico del mito atlantideo, come dicevo all’inizio, appartiene alla storia delle idee, delle utopie politiche, dei movimenti degli Stati, degli obiettivi nazionalistici e indipendentisti; ne parla egregiamente il grande Pierre Vidal-Naquet nel suo denso libro del 2005, riportando un’amplissima e seria bibliografia attraverso la quale, chi ne fosse interessato, potrà trovare ampi spazi di approfondimento e di riflessione.
Di questo itinerario voglio soltanto ricordare quello a noi più tragicamente prossimo, legato al sorgere in Germania del nazismo e della follia hitleriana, quando l’Atlantide è ingoiata in quel mostruoso calderone di occultismo, storia antidiluviana, concezioni del cosmo, saggezza magica e arianesimo che doveva produrre, nella mente distorta dei suoi seguaci, una nuova età e una nuova razza, trionfatrice sui gretti detriti e impacci culturali giudeo-cristiani. Dalle derive razziste della Thule Gesellschaft, associazione occultista e teosofica ariana che Hitler e Himmler trasformeranno in partito politico di massa, alle concezioni allucinanti della terra cava, dell’eterna lotta tra il ghiaccio e il fuoco, Atlantide e la terra di Thule si incontrano ripetutamente; la favola platonica diventerà quella mitica isola del Settentrione, sede di una civiltà perfetta e superumana, l’inevitabile precipizio in cui sprofonda periodicamente l’ideologia della destra radicale.
La pura razza degli Atlantidi, corrotta dal contatto con razze inferiori, subisce la catastrofe; pochi sopravvissuti di quel popolo daranno origine alla superiore razza “ariana”, cui spetta il compito di rinnovare i fasti atlantidei; cosa abbia portato all’Europa questa insana missione è noto a tutti e certamente amplifica di mille e mille volte l’immagine di Atlantide pensata da Platone, quella di un impero del male.
In un recente e bel lavoro titolato “Sardegna ariana” l’amico Alfonso Stiglitz ha ripercorso, con serietà e ironia, le vicende del pensiero razzista di stampo fascista che, tra il 1938 e il 1943, ha tentato di inquinare la storia e l’archeologia della Sardegna; fortunatamente, si deve concludere con l’autore, con scarsi risultati e poco spessore. Eppure, vengono da quelle esperienze alcuni spunti che, proprio perché non elaborati criticamente, ritornano in modo significativo, e direi preoccupante, nei discorsi attuali che da più parti si fanno, anche da parte di chi sicuramente non professa nessun razzismo e nessun fascismo, intorno all’identità sarda e che rimettono in causa la civiltà nuragica, Atlantide e i Sherden (che per tutti, in modo lessicalmente scorretto, sono diventati i Shardana): in questi tre termini, percepiti e letti in modo del tutto antistorico, si colgono infatti elementi fondativi di presunti valori identitari e insieme caratteri di conoscenza superiore, di superiorità intellettuale e tecnica, di supremazia morale ed etnica.
In questo panorama rientrano anche i numerosi proclami e esternazioni sulla scrittura degli antichi sardi; non voglio qui tornare su un argomento, per il quale, e dopo un mio ironico richiamo a protoscritture di invenzione, dal protougaritico al protochissachè, peraltro altrettanto di fantasia della scrittura che si pretende ora rivelata, vengo ripetutamente e metodicamente insultato in vari blog presenti sulla rete; la prossimità alla Pasqua, appena trascorsa, mi spinge ad auspicare per i miei acerrimi avversari la benedizione divina e che soprattutto il Signore restituisca loro il senno.
Ma voglio tornare in conclusione all’Atlantide di Platone e al filosofo che l’ha concepita per farmi e per fare a tutti voi un augurio che è anche una speranza. Platone ha fatto un sogno e l’ha scolpito per sempre nella sua filosofia; non facciamo di questo sogno un incubo ricorrente nutrito di razzismo, ignoranza e inciviltà.

6 commenti:

  1. "Il problema della localizzazione della terra di Atlantide ha trovato la sua morte definitiva, per manifesta indegnità di accesso nel campo delle riflessioni di storia e di archeologia, nel lontano 1841 attraverso le parole, chiarissime, di Thomas-Henry Martin contenute nella sua Dissertazione sull’Atlantide, parole che oggi voglio ricordarvi: “L’Atlantide non appartiene alla storia degli eventi né alla geografia positiva… essa appartiene a un altro mondo, che non è nell’ambito dello spazio, ma in quello del pensiero”. Per l’esattezza, del pensiero platonico, poiché l’Atlantide è creazione..."
    AlThomas Harry Martin e a lei dr Bernardini lo ha detto Platone che atlantide è una sua invenzione? Nessuno ha dimostrato e nessuno dimostrerà che atlantide è una invenzione di platone.
    Si dice sherdene e non shardana? e chi lo dice se le vocaki non esistevano e tantomeno i registratori per sentire come veniva pronunciato; può essere letto anche shirdini, shordono, shurdunu, sherdana, sherdena, shardene e così via. un pò più di umiltà non guasta
    ntnll !!??

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  2. E la miseria... Rileggo il finale del post e aggiungo: perdinci! Avevo proprio letto bene, si parla di "acerrimi avversari". E ora come si fa a commentare in maniera pacificamente, normalmente critica? E poi il richiamo alla Pasqua appena trascorsa. Ohibò. Pace. Pace.
    Immagini apocalittiche: stanotte avrò gli incubi e mi sognerò Gigi Sanna con i baffetti da Hitler. Con Stiglitz che fa il tedesco buono, quello meticcio.
    La Bietti Sestieri evocava scenari balcanici. Angioni ci aggiornerà sulle similitudini tra kmer rossi e fan di Leonardo Melis? Per cosa poi? Per Atlantide! E poi dicono che non esiste! Esiste, esiste. Soprattutto nella vostra mente visto che vi porta a discorsi di questo tipo. A buttarla in politica. Che tradotto in buona sostanza, significa far caciara.
    Si potrà pur dire che sono assai più interessanti i semini di Perra rispetto a tutta questa diatriba su Atlantide? O magari più utile impegnarsi perché le statue, a tutt'oggi più antiche d'Europa, statue nuragiche, avessero ricevuto la giusta valorizzazione, che per decenni non hanno avuto, piuttosto che impelagarsi in sterili polemiche con chi pretende di far credere che il bastone di un capo tribu nuragico potesse essere in realtà un fucile laser ricevuto dagli alieni? O di chi vuole leggere la scrittura nuragica su una scultura di un artista vivente? O anche di chi immagina che del fango del XIII secolo a.C. possa ricoprire dei resti romani? Perché di questo si tratta. Non di altro.
    E' a questo punto che mi sorge spontanea un'ulteriore domanda: ma davvero davvero si crede che abbiamo ancora l'anello al naso? Davvero dovremmo credere che è più importante accanirsi contro i vari indipendenti piuttosto che dannarsi l'anima per tutelare e far conoscere il patrimonio storico, archeologico, artistico del territorio dove si opera? O è questa la maniera? Dico solo che a me piacerebbe di più un bel dibattito con tanti archeologi, antropologi, diabetologi che discettano su come valorizzare la magnificenza di Sa Pala Larga piuttosto che gettare fango sulla povera Atlantide.
    Quanto ad Atlantide... cito Bernardini, anzi "il filosofo": "poiché non sappiamo il vero circa gli eventi antichi, cerchiamo di approssimare il più possibile la menzogna alla verità, rendendola in questo modo utile”. Verità in quel racconto è l'esistenza di Solone. Che Solone abbia davvero visitato l'Egitto. (Vi si recò anche lo stesso Platone). Che davvero l'Egitto aveva conservato la Storia di età più remote. Che davvero è esistita un'Atene più antica, quella micenea. Che davvero su una grande isola a occidente si era sviluppata diversi secoli prima un'importante e progredita civiltà, tanto da lasciare segni certi e tangibili, indiscutibili, non solo sull'isola stessa, ma anche a Lipari, Creta, Cipro. Una potenza marittima si direbbe. Anzi, si è detto. E non da indipendenti.
    Verità e menzogna, dove è il confine nel racconto di Platone? Cosa lo è e cosa non lo è? Chi lo decide? L'autorità di Thomas-Henry Martin? (Il cognome qual'é?). Di Vidal Nonsoque, che taglia la testa al toro? Quella della Sandars, intangibile? Perché certo... le false carte d'Arborea... E come no? Vergogna, vituperio per i sardi fino alla settima generazione. E già, perché la portata storica della falsa Donazione di Costantino, il santo assassino, impallidisce al loro confronto.
    Atlantide, Atlandide, con tutto che, chissà, magari sei davvero solo una circostanziata fantasia di Stanley Platone. O magari no. Chissà. Chi può dirlo?
    Chi può dirlo esprime un'opinione. Doxa. Non episteme.
    E magari sarebbe più utile si occupasse anche d'altro, possibilmente al meglio. C'è da far scialo di veemenza per cose più concrete dalle nostre parti.




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  3. Un altro sapiente che ha la verità in pugno. Beato lui!
    Dunque non posso pensare che Platone abbia inventato un mito sulla base di una realtà storica veramente esistita? Parlare di cose serie riguardo l'archeologia sarda?
    Invece, ancora, dopo 16 anni, a fare convegni contro idee e supposizioni di Frau.
    Io non credo allo tsunami, ma ringrazio Frau perchè grazie a lui ho scoperto la civiltà nuragica (anche se non fosse Atlantide!)

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  4. @Anonimo n.2. Per quel poco che ne so, penso che Bernardini possa davvero essere un sapiente nel suo mestiere, un buon archeologo. Senza ironia o sarcasmo. Avendo qualche soldo in tasca potrei comprare un suo libro, mentre difficilmente acquistere libri degli "indipendenti". Però tendo a farmeli regalare quando è possibile, e ne ho una piccola collezione. A volte si ride: il bastone del capo tribu nuragico che diventa fucile laser degli alieni personalmente mi fa scompisciare. (Solo un genio può avere un'intuizione di questo tipo). Però nelle opere degli "indipendenti" ogni tanto si trova pure qualche perlina che magari sfugge agli occhi degli studiosi.
    Faccio un esempio. Tempo fa mi sono fatto regalare un libro scritto da una tizia spagnola, incentrato su un'ipotesi affascinante: Cristoforo Colombo era sardo? Già, messa così, la cosa può far sganasciare pensando a tutte le varie ipotesi formulate sulle origine dello "scopritore" delle Americhe. In questo senso se la gioca alla grande con Atlantide.
    Quando poi il libro lo leggi, tutto come io diligentemente ho fatto, hai a che fare con un enorme cumulo di inesattezze e sciocchezze sulla storia sarda, ma scopri anche che forse un piccolissimo motivo c'è per porsi almeno quella fatidica domanda, per drizzare il naso e incuriosirsi della faccenda. Perché diamine Colombo, o chi per lui, fonda una città in Giamaica per farne una capitale e la chiama... Oristano? Fregiandosi bellamente, per di più, del titolo di marchese. Marchese di Oristano, come no. E il re tutto contento, magari. L'esecrato titolo di marchese di Oristano? Che tra l'altro era pure indisponibile, visto che i sovrani iberici l'avevano avocato esclusivamente per se stessi (ora credo sia pertinenza di Emanuele Filiberto, l'amico di Fabio Fazio). Ma siamo matti? Come a dire che se a scoprire l'America fossero stati i romani, Giulio Cesare avrebbe permesso che la capitale del nuovo mondo venisse chiamata Cartagine. Non è un pochino strano? Per lo meno è curioso. Ma io sarei anche curioso di attingire le mani alle fonti della tizia spagnola, ché se lei è incolta, non è detto lo siano le sue fonti.
    Certo che poi se davvero si venisse a scoprire che l'Ammiraglio era uno dei nostri... Allora sì: rivoluzione e indipendenza! Pulizia etnica! Solo pura razza sarda! Facciamo come Mariano e Ugone. Narami chi sese? E se poco poco la dizione sarda non è esatta... zac... lo si passa a fil di spada! Fuori tutti quelli che hanno il cognome che termina in -glitz e in -ini, tedeschi e maremmani! Confiniamo all'Asinara tutti i Cossu ("corso") e i Pisano/u di Sardegna, tanto al Cagliari c'è un nuovo ciclo. Montalbano, lei, con quel cognome, la rimanderemo a Vigata!

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  5. Sono spacciato o una nonna Manca e dei prozii Fikigheddu ma danno qualche speranza?��
    Donato PulacchINI

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  6. @Anonimo PulacchINI. Manca la nonna e prozii Fikigheddu? Sei spacciato comunque.

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