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lunedì 26 ottobre 2015

Archeologia. Scoperta in Etruria una piccola agorà che univa il mondo dei vivi con quello dei morti: il tumulo della regina

Archeologia. Scoperta in Etruria una piccola agorà  che univa il mondo dei vivi con quello dei morti: il tumulo della regina
di Marco Gasperetti




Una sala delle assemblee univa il mondo dei vivi a quello dei morti. Ci si arrivava, 2700 anni fa, da dodici scaloni scavati nella roccia calcarea. Spesso servivano anche come sedili per assistere a riunioni di decisiva importanza per la città e l'oligarchia etrusca che la guidava. Uomini vivi e potenti che si univano idealmente ai defunti sepolti nelle tre camere a est, nord e sud. La scalinata c'è ancora, oggi, ma è invisibile, sepolta dalla terra. Gli scavi dell'Università di Torino hanno portato alla luce uno spazio dell'enorme necropoli di Tarquinia, paesaggio incantato tra mare e colline, vento di maestrale che non manca mai. Fra i ritrovamenti: un altro frammento, il più grande, della Sfinge, una statua di due metri collocata sul punto più alto del tumulo, ultimo guardiano per i vivi e per i morti e addirittura un'altra tomba completamente da scavare e da
preservare dall'assalto dei saccheggiatori.

La scoperta più suggestiva resta quel misterioso piccolo cortile (appena sei metri per quattro) scavato per tre metri nel calcare con le tre camere sepolcrali che si aprono sui tre lati chiusi e con le pareti affrescate grazie a una tecnica mai vista prima in Etruria e in tutta Italia. «L'intonaco è a base di gesso alabastrino puro - spiega l'archeologa Daniela De Angelis - una composizione sconosciuta in Italia e probabilmente importata da maestranze arrivate appositamente da Cipro, dall'Egitto o dall'area siro-palestinese, le migliori di quel mondo, per costruire una tomba straordinaria e ricchissima. Ma soprattutto utile anche per i vivi, lucumoni e governanti».
Dall'intonaco stanno affiorando affreschi risalenti al VII a.C. La cosa più sorprendente e unica è che rappresentino momenti di vita quotidiana. L'interpretazione non è facile perché le immagini sono labili e lo staff le sta ricomponendo mediante un processo di spettrografia elettronica. si intravede una mano che regge un vaso, volti, unguentari, forse vasi con profumi. Ma, per ora, neppure un riferimento all'Aldilà.
A questo punto si può dire che gli affreschi dovevano forse servire per ragioni diverse, legate alla funzione di quel cortile, una piccola agorà, abbiamo detto, e dunque un luogo di collegamento tra vivi e morti. C'è un altro particolare che rende unico questo posto: era coperto da una tettoia in legno. Gli archeologi ne hanno trovato i resti accanto a quelli di una biga. «Nei momenti più difficili della città - dice il direttore degli scavi Mandolesi - ci si riunisce per cercare aiuto e conforto anche dagli antenati ormai defunti. Il piazzale serviva inoltre a onorare i morti, i più aristocratici tra gli aristocratici, con cerimonie, canti e spettacoli, insomma uno spazio teatriforme».
Gli studiosi ipotizzano che nell'area furono deposti sovrani e principi etruschi. Si hanno testimonianze leggendarie di una sepoltura di un certo Demarato di Corinto, ricco mercante greco. Si trasferì a Tarquinia intorno alla metà del VII secolo avanti Cristo, Demarato, e si sposò una nobildonna locale, la più bella della città. Nacque un figlio, lo chiamarono Tarquinio Prisco e divenne il primo sovrano di Roma.
Se storici e archeologi si interrogano (e si appassionano) sul passato, Wilma Basilissi, dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, guarda al presente dei tesori ritrovati. E custodisce, gelosamente, i frammenti delle due zampe della Sfinge etrusca appena ritrovati insieme a un'ala. «La statua, alta quasi due metri - spiega - era probabilmente collocata all'apice del tumulo. L'abbiamo trovata nella parte nord. Probabilmente è caduta e si è frantumata. Altri animali mitici la circondavano. E lo spettacolo doveva essere straordinario, 2700 anni fa».

Su www.canino.info si legge: 
A poca distanza dalla necropoli di Monterozzi procedendo verso il mare, in località Doganaccia, si ergono i due più grandi tumuli di cui sia rimasta traccia a Tarquinia. Sono chiamati volgarmente "del Re" e "della Regina" e risalgono al periodo Orientalizzante (ca. VII secolo a.C.). Dovevano trovarsi probabilmente in prossimità dell'antica strada che da Gravisca conduceva alla necropoli di Monterozzi e infine alla Civita. Finora è stato studiato in maniera sistematica solo il tumulo del Re, quello disposto ad Oriente. Gli scavi avvennero nel 1928 e hanno messo in luce la camera sepolcrale parzialmente scavata nella roccia e completata nella parte superiore con filari di blocchi squadrati. Le pareti laterali aggettano progressivamente verso l'interno e divergono di nuovo alla sommità determinando un profilo "a carena". Il soffitto è solcato da una ampia fenditura longitudinale sigillata da pesanti lastroni di nenfro.  La camera è preceduta da un largo dromos a cielo aperto, una vera e propria anticamera quadrangolare con le pareti inferiormente ricavate nel banco di roccia e costruite nella parte superiore. Il tumulo, con i suoi 36 metri di diametro, è delimitato da un tamburo sagomato nella roccia e rivestito da uno o più filari di blocchi squadrati. Sotto il tumulo corre un lungo cunicolo sotterraneo in forte pendenza (forse per il drenaggio delle acque superficiali) il cui ingresso si apre sulla sinistra dell’accesso al vestibolo. La tomba fu trovata già saccheggiata e del corredo originario furono recuperati solo alcuni frammenti ceramici, su uno dei quali era dipinto il nome di Rutile Hipucrates, probabilmente un greco etruschizzato il cui gentilizio è la trascrizione in etrusco del greco Ippocrate e che ha adottato un prenome di derivazione latina (Rutilus = "il Rosso"). L'iscrizione potrebbe essere relativa al nome del proprietario della tomba o di colui che ha donato al defunto il vaso con l'iscrizione. Da qualche anno sono in corso delle campagne di scavi, a cura dell'Università di Torino, che hanno lo scopo di studiare anche l'altro tumulo, quello della Regina, mai indagato in maniera scientifica. Le ricerche hanno permesso di rimettere in luce una imponente struttura architettonica del diametro di circa 40 metri, pertinente a un personaggio di spicco all’interno della comunità tarquiniese, di rango aristocratico molto elevato. E' stato liberato un tratto del podio perimetrale del tumulo, in parte scavato nella roccia e originariamente rivestito di grandi blocchi di calcare, per un diametro attorno ai 40 metri. Questo sepolcro si è rivelato come la più grande struttura a tumulo di Tarquinia finora nota. Nella nuova campagna di scavo si sono potute precisare alcune caratteristiche della costruzione, mettendone in risalto i limiti e gli apprestamenti destinati alle azioni di culto; la tomba infatti conserva nella parte anteriore un "piazzaletto" sacro a cielo aperto utilizzato per le celebrazioni in memoria del nobile defunto. Nei pressi del tumulo della Regina è stata scoperta una tomba di tipo "gemino" (con due camere simili affiancate) destinata probabilmente alla deposizione di  una doppia coppia di parenti del più blasonato principe sepolto nel tumulo. La tomba risulta fortemente danneggiata dalle pesanti arature e dalle profanazioni di varie epoche. Le due camere hanno una pianta rettangolare irregolare con probabile coperture a falsa-ogiva e sono munite ciascuna di due banchine per la deposizione. L'epoca di costruzione risale al VII secolo a.C. e rappresenta uno dei casi più antichi conosciuti di sepolcro gemino etrusco.

Fonte: Archeorivista

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