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giovedì 22 ottobre 2015

Archeologia in Sardegna: le origini di Cagliari

Archeologia in Sardegna: le origini di Cagliari
di Pierluigi Montalbano



I primi insediamenti nella zona sud della Sardegna risalgono al VI Millennio a.C. a Capo Sant'Elia, nella Sella del Diavolo ma restringiamo il campo al I Millennio a.C. per ottenere un quadro sintetico delle vicende più significative dello sviluppo urbano della città.
Quando parliamo di golfi con storia millenaria, dobbiamo tenere presente la percezione antica. Oggi abbiamo un occhio diverso, inoltre la linea di costa si è modificata. Ragionare con le tecniche di navigazione attuali ci porterebbe a fare macroscopici errori di valutazione.
I confini medievali del Golfo di Cagliari sono descritti nel più antico portolano conosciuto, il “compasso da navigare” del XIII secolo d.C., e vanno da Capo Carbonara a Capoterra, ma oggi giungono fino a Capo Spartivento. Tolomeo, autore di epoca romana, nella sua “Geografia” pone il Golfo dopo il promontorio di Cagliari, ossia da Capo Sant’Elia a Capo Carbonara. In ogni epoca, dunque, si ha una percezione del golfo differente.
Cagliari si affaccia sul Canale di Sardegna, una sorta di gigantesco fiume che attraversa
il Mediterraneo, un’autostrada marittima intensamente frequentata fin dall’antichità. Era un punto privilegiato in cui le navi si appoggiavano per le operazioni di carico, scarico e rifornimento, una tappa obbligata per i naviganti. Non è un caso se la città più importante della Sardegna sia proprio Cagliari. Il golfo è chiuso ai lati da due complessi sistemi montani: il Sarrabus a oriente, e il Sulcis a occidente. Convogliavano l’attenzione del navigante verso il centro (Cagliari) e verso la pianura del campidano che unisce il golfo a quello di Oristano, dove non a caso è ubicata Tharros, la seconda città più importante dell’isola. Oggi, lo stagno di Santa Gilla è differente dallo spazio geografico dell’epoca: dal punto di vista morfologico possiamo affermare che è coinvolto in un dinamismo che trasforma continuamente la linea di costa.
Cagliari è situata alla base della lunga penisola di Capo Sant’Elia, caratterizzata da un duplice allineamento di colli. Durante l’edificazione della città punica, questo allineamento ha condizionato la maglia urbana fino a fargli assumere una direzione da nord-ovest verso sud-est. La penisola di Capo Sant’Elia determina due ampi golfi che sono andati colmandosi nel tempo con la formazione di cordoni sabbiosi e spiagge: il Poetto e Quartu a oriente, e Is Arenas e Santa Gilla a occidente.
Nella laguna di Santa Gilla sfociano due fiumi importanti, uno dei quali solca quasi tutto il Campidano: il Riu Mannu, che nasce vicino a Barumini, e il Cixerri, che arriva dal Sulcis. Questi corsi d’acqua hanno determinato la conformazione del Campidano e il cambiamento della morfologia della laguna. Al termine dell’ultima glaciazione, circa 15000 anni fa, il mare si trovava circa 150 metri più in basso e la laguna era un’altopiano digradante. I due fiumi sfociavano a largo e l’alveo, profondo circa 50 metri, attraversava l’attuale laguna. Il trasporto del materiale alluvionale, quando la corrente del fiume incontrava le onde del mare, si fermava alla foce e determinava la situazione che oggi possiamo vedere nella zona di La Playa, con la formazione di dune e banconi sabbiosi.

L’impaludamento avvenne in epoca recente perché i fenici, giunti intorno all’VIII a.C., s’insediarono proprio nella laguna di Santa Gilla, nello spazio dove recentemente è stato costruito un grande supermercato. Oggi le navi non riuscirebbero ad arrivare lì, ma intorno al X a.C. il fondo marino era più profondo. In quella zona ci sono anche tracce d’insediamenti nuragici, con un canale navigabile fra il supermercato e Sa Illetta, attuale sede di Tiscali. Tra il periodo fenicio e quello romano la zona si è impaludata, e in età romana la città si è spostata proprio per la differente situazione morfologica che non consentiva più alle navi di percorrere il canale.
La Cagliari fenicia si colloca nell’attuale zona di Sant’Avendrace, alle pendici occidentali del sistema collinare di Tuvixeddu-Tuvumannu, con il porto vicino alla centrale elettrica e al supermercato Auchan. La zona è ricca di acqua dolce, e vicino alla nuova mediateca di Via Pola c’era il pozzo più importante della città dal quale, ancora nell’Ottocento, sgorgava l’acqua. Un territorio ideale per il posizionamento della città. Tutto il riempimento di Campo Scipione, nella zona della ferrovia, è moderno, risale a qualche secolo. Precedentemente era una laguna e, ancora prima, c’era il mare. L’ansa del porto fenicio, e precedentemente quello nuragico, si trovava sulle sue rive, al di là delle ferrovie, al bordo di Via Sant’Avendrace. In Viale Trieste c’è ancora la chiesa dei pescatori denominata “sulla sponda del mare”.
Davanti alla ferrovia, nella curva per Viale La Playa, c’era un promontorio denominato “Punta Sa Perdixedda”, dove in epoca medievale si svolgevano le esecuzioni capitali. Nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, fino agli anni Trenta, precisamente fra Campo Scipione e Punta Sa Perdixedda, si trovavano ancora le saline, oggi visibili nelle foto aeree dell’epoca. Dove oggi ci sono i portici di Via Roma, fino all’Ottocento si trovava una spiaggia sassosa. Nell’incrocio fra Via Roma, Via XX Settembre, Via Sonnino e l’inizio di Viale Bonaria, c’era un promontorio con il mare che circondava tutta la piazza. La sede del Banco di Sardegna poggia i piloni delle fondamenta sul mare e, dove si trovava la vecchia stazione delle ferrovie complementari, c’era un’area marina che entrava fino al colle di Bonaria. Furono i romani a proiettare una banchina portuale verso l’esterno. I lavori di bonifica nella zona di Bonaria diedero vita all’attuale porticciolo di Su Siccu. Il mare occupava anche la zona dove oggi troviamo lo stadio di Sant’Elia, e a bordo mare si trovava anche lo Stadio Ampsicora, confine geografico delle saline.
A Cagliari c’erano tre promontori che delimitavano la penetrazione del mare: Monte Mixi (dove oggi sorge il palazzetto dello sport), la salita che porta alla chiesa di Bonaria e il lazzaretto (nel quartiere di Sant’Elia, interamente costruito sul riempimento del mare). Questa situazione è cambiata solo all’inizio del Novecento, con le bonifiche e l’urbanizzazione della città.
Cagliari è un approdo con caratteristiche ottimali: presenta riparo al vento, è al centro del golfo e dell’autostrada marittima che attraversa il Mediterraneo, ha le saline naturali, una ricca piana cerealicola, una laguna pescosa ed è vicina a risorse minerarie (rame, argento, ferro e piombo).
Uno degli indicatori a nostra disposizione per ricostruire la storia del porto di Cagliari sono i toponimi. Il più antico si trova nella Stele di Nora, databile alla fine del IX a.C. e recante nella terza riga un complemento di luogo “b Srdn”, ossia “in Sardegna”. Non sappiamo se indicasse l’isola o solo il Golfo di Cagliari. Nel Santuario di Antas abbiamo tre antiche iscrizioni che portano un altro toponimo: Krls. I suffeti della città di Cagliari (i governatori) fecero delle dediche alle divinità ma i fenici, come gli altri semiti, non scrivevano le vocali, quindi ci sfugge la pronuncia esatta dei termini. Secondo alcuni linguisti, la radice mediterranea Krl dovrebbe indicare la parola pietra, o roccia, che noi traduciamo come “promontorio”. Si tratta, dunque, di indicazioni topografiche. Abbiamo anche attestazioni romane, una delle quali è di Tolomeo e riporta un “litus ventosum” (spiaggia ventosa) e si riferisce alla zona fra Capoterra e Capo Sant’Elia.
Un secondo indicatore importante per capire la storia di un porto è certamente il commercio perché da ovunque arrivino, le merci giungono in un approdo.
I più antichi reperti micenei scavati in Sardegna sono stati trovati nella vicina Nora, ma le importazioni avvengono a partire almeno dalla seconda metà del II Millennio a.C., e continuano durante tutto il I Millennio a.C. Fino a qualche decennio fa avevamo una visione dei fenici come un popolo che arrivava in una terra sconosciuta, come avvenne con Cristoforo Colombo in America. In realtà le navigazioni nei due mediterranei (orientale e occidentale) costituiscono solo una delle frequenti rotte marine che da millenni sono percorse per i commerci. Le frequentazioni hanno il loro centro in una civiltà ben conosciuta, ricca e articolata, quella nuragica. I porti nuragici sono i terminali privilegiati di questi contatti con l’esterno.
I nuraghi che vanno da Capoterra a Sinnai e fino alla riva del mare, come il Diana a Is Mortorius, testimoniano la presenza capillare dei nuragici lungo tutta la costa. La più antica presenza di questo rapporto con l’oriente, che culminerà con l’arrivo dei fenici, non è sulla costa ma nel profondo interno della laguna di Santa Gilla. Da un ambito votivo scavato fra Decimoputzu e Uta (Mitza Purdia) proviene la testa di una statua micenea, con un elmo che riproduce le zanne di un cinghiale, un prodotto di lusso di ambito orientale acquisito da un personaggio nuragico. Vicino alla strada statale 131, all’altezza del doppio ponte che collega Cagliari a Monastir, in una tomba collettiva di San Sperate (Su Fraigu) contenente centinaia di deposizioni, è stato trovato un sigillo cilindrico che arriva da Cipro.
Davanti al nuraghe Antigori di Sarroch c'era un grande approdo e gli scavi hanno restituito materiale miceneo proveniente da Creta, dal Peloponneso e da zone limitrofe. Attraverso il Rio Mannu, troviamo una serie di insediamenti, da Monastir a Barumini, che diffusero i materiali verso l’interno dell’isola.
Uno dei prodotti che testimoniano gli scambi con l’oriente è il rame, in forme a “pelle di bue” (lingotti ox-hide), proveniente dalle miniere e facilmente trasportabile in lingotti da 33 a 66 kg provvisti di manici. Le analisi del metallo forniscono una provenienza cipriota, ma la fabbrica poteva essere in Siria perché l’unica fabbrica fino ad oggi scoperta per queste tipologie di manufatti si trova nel porto di Ugarit. Gli ox-hide erano la moneta dell’epoca, e i sardi integravano gli scambi con un altro metallo pregiato presente in ricchi gicimenti dell’isola: l’argento. I lingotti costituivano il compenso per intermediazioni e incarichi oltremare (mercenari o tecnici). Una discreta quantità di questi manufatti è presente proprio nell’entroterra del Golfo di Cagliari. A largo di Capo Malfatano è stato individuato un relitto contenente questi lingotti. La via commerciale è segnata da approdi che da oriente vanno verso occidente, fino al relitto di Formentera, nelle isole Baleari. È una rotta che partendo da Cipro porta i naviganti micenei fino alla penisola iberica, poco oltre le Colonne d’Ercole a Gibilterra, ed è testimoniata anche dalle ceramiche presenti nei siti di approdo.
Non avendo una carta con porti e approdi dell’epoca, dobbiamo ricorrere a un terzo indicatore: i santuari costieri. Nell’antichità la navigazione è sempre legata a una divinità e ancora oggi, in ambito cristiano, la Madonna è considerata la protettrice dei marinai. I santuari sono anche luogo di commercio, e la divinità fa da garante alla correttezza degli scambi. Vicino alle spiagge e agli approdi si nota spesso la presenza di santuari nuragici, con pozzi, fonti e altre tipologie di templi. Nel Golfo di Cagliari le tracce sono scarse ma qualche indizio c’è, come la fonte “Mitza Coperta” di Solanas, vicino a un torrente che sfocia in un’area che Bartoloni indica come un approdo.
Anche Cuccuru Nuraxi, a Settimo San Pietro, dopo gli scavi di Atzeni negli anni Cinquanta, ha mostrato un importante pozzo sacro visibile dal Golfo. Le imbarcazioni di passaggio potevano facilmente individuarlo, infatti il sito presenta materiali di importazione.
A Cagliari, in un sito in fase di scavo, abbiamo un’iscrizione che attesta un tempio di Astarte su Capo Sant’Elia. L’iscrizione riporta anche una seconda parola con delle lettere che legano il santuario a Erice, dove si trova un santuario di “Astarte Ericina” legato alla prostituzione sacra, tuttavia l’iscrizione potrebbe essere anche una dedica ad “Astarte Madre”. Nell’area si trovano delle grandi cisterne, simili a quella, più piccola, che si trova vicino al tempio monumentale di Tharros, con una raccolta d’acqua utilizzabile per i riti e per l’approvvigionamento della comunità. Vicino alla chiesa di Sant’Elia, recentemente sono stati portati alla luce frammenti di mosaici, iscrizioni antiche, pavimenti e intonaci ma lo scavo è superficiale e bisognerà attendere qualche tempo per avere risultati soddisfacenti.

I fenici avevano una divinità principale per la navigazione, il dio Melkart. Insegnò la navigazione e guidò i marinai in tutte le colonizzazioni. Vari templi di Melkart caratterizzano le tappe degli approdi fenici, e le colonie commerciali pagheranno per vari secoli una decima al tempio di Melkart di Tiro. Da Cadice al Marocco e alle altre colonie, i templi presentano sempre due colonne negli ingressi, le Colonne d’Eracle. Anche a Cagliari, nell’area del porto, c’era un tempio di Melkart. Oltre agli elementi architettonici che riportano a un’area templare, abbiamo un’iscrizione con dedica al dio e una grande statua in pietra del demone egiziano Bes, una divinità benefica che riporta incisa l’iscrizione di Melkart. La fondazione di Cagliari da parte di queste genti orientali vede dunque attestate due divinità: Melkart nel punto di approdo e Astarte in prossimità del promontorio di Capo Sant’Elia, forse con funzione di faro. Ancora oggi alla base di questo ampio promontorio c’è il santuario dei marinai: Nostra Signora di Bonaria.
Dopo gli indizi arriviamo alle strutture più consistenti, iniziando dal tessuto urbano dotato di un porto importante. La città è legata all’arrivo dei fenici intorno al IX a.C., ma questi commercianti trovano l’area densamente popolata da comunità nuragiche residenti da vari secoli. Non si costruivano più nuraghi dal X a.C., e nei villaggi del Golfo di Cagliari si è iniziato a trovare un consistente numero di materiali di importazione, così come avviene in tutti i principali siti della costa, da Sant’Imbenia a Tharros e giù fino a Villasimius. Venne a crearsi un mondo che faceva proprie le due culture, orientale e indigena. Questa integrazione è alla base della cultura sarda.
A Settimo San Pietro c’è una capanna dell’VIII a.C. che mostra l’incontro di queste genti, con i fenici che vanno a integrarsi in un mondo già evoluto. Anche a Monastir e San Sperate si notano forti segni d’intreccio culturale, con vasi nuragici decorati alla maniera greca.
Alla fine del VII a.C. a Cagliari si nota un processo costruttivo urbanistico con edifici differenti rispetto al passato. Furono portati alla luce da Tronchetti in Via Brenta quando furono posti i piloni per il cavalcavia all’uscita di Cagliari, in occasione dei lavori per i mondiali di Italia ’90. Dal VI a.C., la città diviene la principale della Sardegna. Nei futuri scavi in quella zona, quando sarà ristrutturato l’ex-mattatoio, certamente si ritroveranno le strutture fenicie e bisognerà porre la massima attenzione nelle operazioni con gli escavatori. In sostanza nel VI a.C. abbiamo un tempio, lo scalo portuale, varie cisterne per l’approvvigionamento idrico, l’abitato nella zona di Sant’Avendrace, la grande necropoli di Tuvixeddu-Tuvumannu che fa da confine occidentale alla città, il tofet nella zona della ferrovia e un tempio nella zona dell’Annunziata, a confine esterno della città.
Tuvixeddu è la più grande necropoli punica visibile al mondo: il colle copre circa 70 ettari, il parco urbano archeologico è di 20 ettari. Viale Merello e Via Is Maglias erano già utilizzate come strade nell’antichità, e costituivano una valle naturale tra la cima di Tuvumannu e la cima di Tuvixeddu. Probabilmente si trattava di una via funeraria perché vi si aprivano delle tombe a camera puniche, qualcuna ancora visibile vicino alla facoltà di ingegneria. La necropoli si estendeva dalla salita di Buoncammino, proseguiva in Via Is Maglias, girava in Via Montello e in Via San Donà, sotto la casa delle “ancelle della Sacra Famiglia” dove, nel costone roccioso, si notano alcune tombe puniche a camera. Tutto il fronte di Tuvixeddu, da Via Bainsizza verso Viale Sant’Avendrace, è utilizzato intensamente con le tombe a fossa, pozzo e camera. Sono sepolcri caratteristici che scendono fino a 8 metri di profondità. A Cartagine sono simili, ma arrivano fino a 30 metri. I pozzi sono spesso decorati con false porte, simboli religiosi, pitture geometriche con strisce parallele o che s’intersecano, divinità e simboli di Tanìt. Alla base del pozzo si aprivano le camere, da una a tre, e ciò suggerisce che fossero grandi tombe familiari. Una caratteristica che ritroviamo anche nelle tombe di Sant’Antioco e di Monte Luna di Senorbì, è la grande quantità di pitture, generalmente rosse, direttamente sulla roccia, anche se in qualche caso è presente l’intonaco.
Al margine della città c’era un tempio la cui struttura è ancora visibile sotto l’agenzia viaggi Orofino, in Viale Trento. L’iscrizione trovata agli inizi del Novecento vicino alla chiesa dell’Annunziata descrive la costruzione di un tempio fatto con grandi pietre. È stata trovata anche la mano di una statua con un’invocazione a Eshmun, la divinità fenicia che i greci chiameranno Asclepio, e i romani Esculapio. Si tratta, quindi, di un tempio in collina ai margini dell’abitato, dedicato alla salute e alla medicina.
Dal 400 a.C. si forma in città un quartiere periferico abitativo con un altro tempio contrassegnato da un’iscrizione a Baal Shamen, il massimo dio fenicio che sovrintendeva agli agenti atmosferici. La dedica è di un certo Bomilcare, figlio di Annone, verso Baal Shamen di Inosim, ossia Carloforte o l’isola di San Pietro. Per i greci l’isola era "Hieracon Nesos" e per i romani "Accipitrum Insula" (Isola degli sparvieri, o dei falchi). Si tratta dunque di una dedica per una divinità che aveva un tempio anche a Carloforte, probabilmente dove oggi si trova l’osservatorio meteorologico. Forse l’iscrizione proviene dall’area della chiesa di Sant’Eulalia perché lì si trova un luogo sacro che ha restituito tracce riferite al III a.C. Siamo alla sommità del promontorio che scende fino all’insenatura che arriva fino al Banco di Sardegna. Questo altro abitato è attestato da una grande necropoli che inizia all’incrocio con Via XX Settembre e arriva fino alla “scala di ferro” in Viale Regina Margherita. Forse si tratta della necropoli dei marinai della flotta. L’abitato era in prossimità del porto, nella zona di Vico III Lanusei perché negli scavi sono stati trovati un edificio romano e una grossa discarica di materiali fenici databile dal VI a.C. in poi. Il porto resterà in attività fino a epoca romana, con un braccio che arrivava fino alla Via Campidano. Questo molo era costruito con blocchi in pietra che poggiano direttamente sulla posidonia, quindi è stato edificato riempiendo un tratto di mare.
Un terzo nucleo abitativo, attestato da una terza necropoli, quella di Bonaria, è stato portato alla luce dagli archeologi durante i lavori per la realizzazione della scalinata della chiesa. Sono state trovate delle tombe puniche identiche a quelle di Tuvixeddu. Forse si trattava di un abitato connesso allo sfruttamento delle saline di San Bartolomeo. In sintesi avevamo una situazione con tre nuclei abitativi, tre necropoli e due porti.
Intorno al IV a.C. si sentì la necessità di creare un altro porto satellite perché il primo porto, quello di Santa Gilla, iniziava a presentare problemi di navigazione, soprattutto con l’ingrandirsi delle navi e con l’aumento del pescaggio della chiglia. È un fenomeno che andò ampliandosi, tant’è che in età romana repubblicana, intorno al II secolo a.C. scompare tutta l’area abitativa nella zona di Via Brenta e Sant’Avendrace, e il colle si trasforma in area funeraria. Contemporaneamente in Via Malta, nella zona di Piazza del Carmine che diventerà foro in età romana imperiale, compare un tempio di tipo italico dietro le attuali poste centrali. Era il tempio della nuova comunità cagliaritana romana che vede l’arrivo di molti italici. Il tempio è il fulcro del nuovo centro e possiamo dunque affermare con sicurezza che la città si era spostata. In questo tempio sono stati trovati cocci con delle iscrizioni puniche e latine, a dimostrazione che i punici di Cagliari e la nuova comunità romana, si integrarono perfettamente e condivisero la costruzione di questo nuovo tempio. La struttura è riprodotta in una moneta che ha sul retro il tempio di Via Malta e sulla parte principale presenta due volti, quelli dei suffeti, ossia i magistrati punici. In pieno potere politico romano, la comunità punica partecipa attivamente al governo della città.
Il mondo dell’epoca era complesso, con luoghi dove i locali e nuovi arrivati si scontravano, e altri dove le comunità diverse si alleavano e collaboravano. D’altro canto la capitale punica d’Occidente, Cadice, si alleò proprio con i romani contro Cartagine. A Nora e a Tharros il centro romano si trova sopra quello punico, e nessuna altra città sarda si è spostata, pertanto, d’accordo con Stiglitz, possiamo affermare che l’unico motivo dello spostamento fu l’impaludamento del canale navigabile e dell’antico porto di Santa Gilla.

Nelle immagini, dall'alto verso il basso:
Il tempio di Astarte a Cala Mosca, la grotta della vipera e la necropoli punica di Tuvixeddu



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