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sabato 19 settembre 2015

...ancora su Sant'Agostino e la Carta de Logu

...ancora su Sant'Agostino e la Carta de Logu
di Rolando Berretta

Esiste la Carta de Logu, codice giuridico, contenente solo articoli di legge. Niente e nessuno ha mai vietato di indicarla come Carta d’Arborea o Carta di Eleonora o in altro modo.




(Sul sito della Regione Sardegna Cultura si può scaricare il pdf completo.)

Nel 1845 fece la sua comparsa una diversa Carta d’Arborea.  Nel 1870 una commissione scientifica dell’Accademia delle Scienze di Berlino, presieduta da Theodor Mommsen, ne decretò la totale falsità. Quindi, come si sente la parola, Carte d’Arborea, prestare la massima attenzione. In quelle false sono riportati una serie di pezzi che “dovrebbero” essere copie di antichi documenti, andati persi, provenienti, forse, da un archivio di Cagliari. Dopo il 1870 si aprirono gli occhi ma il danno era stato fatto; studiosi famosi vi avevano attinto. Occhio alle due date e ai nuovi documenti del periodo.    
Torniamo a sant’Agostino.

(Bullettino archeologico sardo n°2 - anno IV - febbraio 1858 - dal Can. Cav. Giovanni Spano - pag. 23)
(così) … coi novelli documenti.

Allorquando Trasamondo, re dei Vandali (a. 504), mandava in esilio in Sardegna i vescovi africani, che rimasti incrollabili nella fede di Cristo, aveano ricusato di piegar la fronte alle dottrine d'Ario, tra questi illustri esuli annoveravansi l' insigne vescovo di Ruspa S. Fulgenzio, ed il vescovo d'Ippona. Quest' ultimo condusse seco a Cagliari il sagro corpo di S. Agostino, che tolto avea dal suo santuario, onde salvarlo dalle vandaliche profanazioni. Non v'ha dubbio che la Sardegna essendo allora dominata dagli stessi Vandali, il vescovo d'Ippona abbia studiato il modo di tenere occulte in Cagliari quelle sagre spoglie, onde ivi non soffrissero quelle profanazioni che aveva inteso cansare, togliendole dal santuario africano. È perciò che torna naturale il credere che lo stesso sagro corpo siasi offerto alla venerazione dei pietosi cagliaritani, dopo che, colla caduta della signoria vandalica, tornò la pace alla chiesa sarda sotto quella degl'imperatori bizantini. La tradizione non mai interrotta della chiesa istessa ci chiariva infallantemente che il corpo del Santo veniva depositato nel sito stesso che poco anzi abbiamo mentovato, e che alla chiesa sovrapposta stava unito un monastero, i di cui membri tenevano in custodia quelle reliquie. Ciò trae conferma dal palinsesto (mentovato in questo stesso bullettino, anno primo, pag. 106) il quale, nei caratteri sottoposti, presenta un brano di cronaca, scritta dodici anni dopo della prima invasione di Cagliari fatta dagli Arabi nei primi lustri del secolo ottavo. Ricaviamo, infatti, dalla medesima che la chiesa ove stava il sagro deposito era prossima alla riva del mare, e che il monastero vi andava congiunto. Ad un tempo questo palinsesto ci dà altri preziosi particolari sovra i fatti che accompagnarono il riscatto del corpo del santo vescovo, operato dai legati di Liutprando, re dei Longobardi. Non sì tosto per l'orbe cristiano si sparse la memoria della profanazione delle cose sacre in Sardegna e specialmente in Cagliari, che cadde finalmente sotto la spada degli Arabi nell' anno 720 circa, il mentovato Liutprando inviò a Cagliari dei legati, acciocchè riscattassero dagli Arabi le sagre spoglie di Sant' Agostino e le conducessero in Pavia, sede del suo regno. Regnava allora in Sardegna il re Gialeto, e tanto per lui quanto pei pietosi cagliaritani ed i religiosi del monastero che custodivano le venerate ossa, fu un giorno di lutto immenso quello dell'arrivo dei legati. Gialeto, per conservare quelle reliquie sul patrio suolo, ne ordinava il rapimento: ma invano. Appena si poterono salvare le vestimenta del Santo per opera d'un Analogeo, che insieme con certi Giono, e Laderto (ai quali due ne tornò male) avevano tentato quel pio rapimento. La stessa cronaca ci narra che fra gli Arabi ed i legati intervenne questo patteggiare sul prezzo del riscatto. Non contenti gl' infedeli alla prima offerta , vi aggiunsero i legati altre due libre d'oro ed otto d' argento: e come queste non bastarono a saziare la ingordigia dei primi, i legati furono costretti di aggiungere all'offerta altre tre libre d'oro e dodici d' argento. Rogatosene l’atto di vendita, rimunerato dai legati il lavoro di chi lo scrisse, e assuntosi anche dagli Arabi venditori l'obbligo di consegnare ancora entro due mesi le vesti del Santo dottore, i legati sovra i loro omeri condussero alle navi la venerata urna, e sciolsero tosto le vele per l'Italia. Ciò avvenne fra mezzo alla straordinaria commozione dei Cagliaritani e sopratutto dei monaci che si atteggiarono a resistenza per impedire la perdita delle sante reliquie. Se non che gli Arabi colla potenza delle armi schiacciarono i tumultuanti: sette monaci perirono nel conflitto ; molti nobili cittadini furono incarcerati; gran numero d'altri Cagliaritani si salvarono colla fuga, ed andarono a ripararsi nelle spelonche dove giorno e notte durarono nel pianto sulle patrie sventure. Unico conforto ebbero nella salvezza delle rapite vesti, che con molti altri oggetti sacri furono custodite nella spelonca di San Giovenale, vescovo cagliaritano (1). Rimane ora a vedere l'epoca precisa del riscatto. Anche questo punto di storia, col conforto degli altri documenti già mentovati in questo bullettino nel luogo citato, è oramai tolto dalle antiche dubbiezze. Sappiamo che la morte del re Gialeto segui nel 722, e poco dopo che il dolore, per l'invasione degli Arabi, e sopratutto per la vendita di quelle venerande reliquie, avea dato l'estremo crollo al suo corpo sommamente affranto dalle pene e dalle fatiche per la difesa della patria. Ciò posto, bene si appose il Muratori quando, seguendo Ermanno Contratto, credette che il 722 fosse l'epoca precisa in cui si effettuava il riscatto del corpo del santo dottore della chiesa. Per maggiore dilucidazione dell' argomento è forza anche di notare che la struttura della chiesa e sacristia lascia credere che siano opere del sec. XI , o XII. E se lecito è il conghietturare nelle tenebre di quell'età, crediamo che sia probabile opinione, che dopo le distruzioni operate dagli Arabi, e specialmente quelle di Musato nelle sue invasioni ripetute più volte nella prima metà del secolo XI, essendosi proceduto, come apprendiamo da alcuni monumenti della stessa età , alla restaurazione dei sacri templi, anche allora siasi pensato a dare migliori e nuove forme a quello ove si venerava il loco che una volta aveva accolto le spoglie di San' Agostino. Ma di questo tempio, dietro ai fatti sopramentovati dei tempi di Filippo II, solo si mantenne quella parte che corrispondeva al sito consacrato un tempo alla custodia delle sante OSSA. Crediamo che l'esserci troppo diffusi in questa materia non verrà a noja di qualunque abbia tenerezza delle patrie cose, e sovra tutto ponga mente alla dilucidazione che ne nasce non solo per i fasti della sarda chiesa, ma anche per quelli che ragguardano all'intero orbe cattolico, che tanto si onora del grande vescovo di Ippona.

(1) Questa memoria viene in appoggio della tradizione che appartengano alle vestimenta del corpo di S. Agostino, alcune reliquie d'abiti pontificali, che i minori conventuali di Cagliari serbano nel muro dell' altare maggiore della loro chiesa, e tanto più hanno in venerazione, in quanto che da tempi vetustissimi furono, sempre riputate come avanzi delle vesti del Santo tolte dalla cassa, prima che i Saraceni  ne vendessero il corpo.




Personalmente non ho mai creduto alla versione longobarda ma, con le “nuove fonti”, si entra nei particolari del riscatto del corpo del Santo.  E’ vero che i saraceni provarono ripetutamente a conquistare l’isola della Sardegna. Anche Cagliari fu saccheggiata nel 711 ma la flotta degli arabi affondò tutta.  Ci sono tante testimonianze incerte per quel periodo, anche quella del Venerabile Beda.
Le varie incursioni sembra che riguardino, secondo me, Sant’Antioco. L’isola della Sardegna fu abbandonata dalla flotta bizantina. Fu difesa sotto i Giudicati. Poi la popolazione si mise al sicuro. Sicuramente fu ostruito ogni accesso all’acqua potabile. I Sardi si dovettero difendere da soli per diversi secoli.  Nel 1615, con la caccia alle reliquie, voluta dall’arcivescovo di Cagliari Francisco d’Esquivel, si ritrovarono le catacombe e le reliquie del Santo. Il processo di ripopolamento avvenne in epoca sabauda. Idem per Carlofoforte. 
Questa era l’Isola ai tempi del Fara ("Chorographia Sardiniae"):
Plumbea, seu Molybodes insula a Ptolomaeo, Enosin a Plinio, et  Sancti Antiochi vulgo  dicta…
…Iacet nunc deserta, solis piratis, qui eam frequenter adeunt, praebens stationem. (1580 circa). (aggiungo io: erano PIRATI  di tutte le razze). Adesso un paio di considerazioni generali.
Gli Arabi, solo DOPO aver conquistato, imponevano una tassa agli infedeli. Per imporla ai Sardi…fa venire il primo dubbio: quando mai l’hanno conquistata?  Non avranno sbagliato Isola?

Anche il “riscatto” prevederebbe tutta una serie di circostanze completamente diverse dal raid descritto.  C’è una piccola pista che riguarda le reliquie di Sant’Agostino:

L’ulna, del braccio destro del Santo, fu mandata al Vescovo di Tunisi...(c’è tutto il carteggio relativo). Questa volta la commissione medica è stata più attenta. Ci sono le misure e lo stato d’usura.  Era il 12 ottobre del 1842 Mercoledì.
Le misure sono riportate con il Piede di Parigi che dovrebbe equivalere a 344 millimetri.
(Il piede va suddiviso in 12 parti e ogni parte va suddivisa in ulteriori 12 parti; sono 144 parti).
Cosa direbbe un Antropologo? nell'attesa che: Santo Sepolcro … vulgo dicto… sveli i suoi segreti.


4 commenti:

  1. Credo che all'inizio ci sia un'equivoco: la Carta de Logu, questo è il suo nome, redatta da Mariano e proclamata dalla figlia Eleonora, è un codice giuridico rimasto in vigore per secoli e non ha niente a che vedere con una inesistente "Carta d'Arborea". In realtà le cd "Carte d'Arborea" (non Carta d'Arborea) sono tutt'altra cosa, non sono codici giuridici, ma una realizzazione ottocentensca, un'accozzaglia di testi letteralmente inventati da alcuni personaggi. Non è possibile confondere le due cose.
    Il testo dello Spano, che cita l'inesistente re Gialeto, deriva proprio da queste false Carte d'Arborea.
    Cordialmente
    Alfonso Stiglitz

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  2. Il risveglio culturale dell’Islam si ebbe nella seconda metà del sec. VIII. In quell’epoca vennero fatti venire a Bagdad molti scienziati e filosofi dalla Siria, dall’Iran e dalla Mesopotamia fra i quali v’erano parecchi ebrei e cristiani nestoriani. Ben presto, sotto il mecenatismo di illuminati Califfi, Bagdad diventò una nuova Alessandria. (Piano piano!) I novelli storiografi, per illustrarci le conoscenze geografiche delle prime invasioni, ci propinano la Sardegna di Piri Reis e la carta (tolemaica) di Al Idrisi (Tabula Rogeriana del 1154). Al massimo potevano disporre della charta dell’Anonimo Ravennate o della tavola Peutengeriana.

    Il pagamento della Giz’yah era prerogativa, solo, di un Califfo. Poi si doveva censire la popolazione e questo presuppone la libera circolazione sul territorio dei funzionari addetti.

    Inoltre: con il termine CHARTA, vocabolario Latino alla mano, posso indicare … tante cose: dalle singole pergamene fino alle lamine metalliche; papiri compresi.
    Se lo storiografo moderno cita la cd Pergamena di Arborea io posso citare la Charta di Arborea; non è un equivoco.
    Exstat in multis una Charta barbaro sermone de donatione Ecclesiae Sancti Nicolai in Regno Sardiniae …
    Riguardo l’Ulna…. sarebbe utile avere la circonferenza dell'osso che non è stata presa.

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