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lunedì 17 agosto 2015

Archeologia. Minoici, egizi e popoli del mare

Minoici, egizi e popoli del mare
di Pierluigi Montalbano



(Tratto dal libro: "Fenici, antichi popoli del mare" - in pubblicazione)

Verso la metà del II Millennio a.C. si assiste al decadere della grande potenza marittima commerciale minoica. Grazie a una flotta costituita da centinaia di navi, da carico e militari, i minoici esercitavano da secoli un dominio commerciale, monopolizzando i traffici e stringendo alleanze con i grandi imperi che si affacciavano nel Mediterraneo. Il porto principale era sull’isola di Creta, ma il centro amministrativo, ossia la “banca” di questo popolo di navigatori, si trovava in un’isoletta al centro dell’Egeo: Thera, l’attuale Santorini. Nel 1620 a.C. una terribile esplosione cancellò la loro capitale Akrotiri, ma i forti terremoti che anticiparono questo catastrofico evento convinsero gli abitanti ad abbandonare la costa e veleggiare in tutte le direzioni verso i porti alleati. Gli scavi archeologici a Santorini, hanno portato alla luce una città ricca, con merci pregiate abbandonate precipitosamente nelle case. Nessun corpo è stato trovato sull’isola, forse riuscirono a mettersi in salvo appena in tempo, oppure la necropoli non è stata ancora individuata. I disastri causati dai flussi piroclastici e dalle onde che si abbatterono su Creta indebolirono l’economia, e l’avvelenamento dei fertili terreni costieri, a causa del sale marino depositato sul litorale, e nelle adiacenti falde acquifere, diedero il colpo finale a questo antico popolo di commercianti navali. Il processo di decadenza innescato dall’eruzione vulcanica fu parzialmente rallentato da una serie di
ambascerie di principi minoici che per decenni versarono doni e tributi nelle casse dei governanti egizi, ma all’inizio del XV a.C. il faraone Tuthmosi I, figlio illegittimo di Amenofi, che ebbe dalla moglie soltanto delle figlie, salì al trono e, pose fine ai trattati commerciali pacifici. Per rafforzare il suo potere, sposò la sua sorellastra Ahmose, la legittima erede al trono.
Il primo atto ufficiale di Tuthmosi I fu di mandare a Turi, viceré della Nubia, uno scritto per annunciargli la propria assunzione al trono e, proseguendo la politica dei suoi predecessori in Nubia, si spinse a sud fino alla quarta cataratta del Nilo. A nord est, attraverso l'Eufrate, penetrò nell'interno di Nahrin, territorio del re dei Mitanni, e collocò una stele commemorativa per annunciare la carneficina di nemici. Una serie di cruente guerre cancellò l’equilibrio politico precedente, e nel corso di quel secolo gli egizi riuscirono a conquistare il dominio sui metalli, divenendo l’impero più potente del mondo. Con una serie di trattati, vantaggiosi solo per gli egizi, si giunse al regno di Amenofi III, che successe naturalmente a suo padre. Conosciuto come il re Sole dell'Egitto, appellativo che gli deriva soprattutto dallo splendore della corte di cui si circondò e dalla grandezza dei suoi monumenti, trasferì la sua residenza a Tebe e la abbellì con splendidi palazzi reali affiancati dalle dimore sontuose dei funzionari, i visir. Ricche di raffinati oggetti d'arredo, impreziosite da fregi architettonici e ornate di verdi giardini, le regge accoglievano degnamente la coppia reale, e Tye, la sposa di origine nubiana, svolgeva un ruolo complementare rispetto al marito. Compare sempre al fianco del faraone, a porre l’accento sul profondo accordo della coppia. Il periodo del regno di Amenofi III fu improntato a grande tranquillità, con qualche tentativo di ribellione rapidamente domato. Sovrano di un Paese al suo apogeo politico ed economico, Amenofi III agì con diplomazia e rafforzò il legame con il popolo dei Mitanni, un ramo asiatico dei commercianti minoici che s’insediò in Siria amministrando alcuni importanti porti che fungevano da crocevia per i traffici fra Asia e Mare Mediterraneo. Non si rese conto che l'assenza di campagne militari indeboliva i legami di obbedienza dei potenti vicini verso l’Egitto, e non avvertì che, a causa dell'allentamento del controllo, l'influenza ittita si andava imponendo sull'Asia Minore.
Il suo successore, Amenofi IV detto anche Akhenaton, divenne celebre con l'appellativo di re eretico perché con un gesto rivoluzionario fece sparire la religione del dio Amon, chiuse i templi e ne disperse i sacerdoti. Non contento, abbandonò Tebe e fondò una nuova capitale a Tell-el-Amarna, nel Medio Egitto. Infine, cambiò il suo nome da Amenofi in Akhenaton, facendo poi scomparire il nome del dio Amon da tutte le iscrizioni monumentali e dai cartigli dei suoi predecessori. Il dio per eccellenza divenne Aton, che corrisponde al disco solare e, novità per l'Egitto, non aveva bisogno di statue o di templi: il suo culto si svolgeva all'aria aperta, rivolgendosi direttamente al sole. I cambiamenti durarono poco, nonostante sua moglie Nefertiti favorì l'introduzione di questo nuovo culto. La condotta di questo faraone indebolì la XVIII dinastia e, alla sua morte, il clero di Amon, ripreso il potere, favorì un cambiamento alla guida del paese. Approfittando dell'agitazione interna egizia causata dalla rivoluzione religiosa, gli Ittiti conseguirono alcuni successi: il re di Qadesh riconquistò la piana siriana e il re di Amurru, altro alleato degli ittiti, s'impadronì di una serie di porti. Nefertiti tentò allora di impadronirsi del potere scrivendo una lettera al re ittita in cui comunicava la morte dello sposo e informandolo di essere disposta a prendere come marito uno dei suoi figli. Purtroppo per lei, il predestinato finì assassinato mentre tentava di valicare la frontiera egizia, causando le ire della corte ittita. Il culto di Amon recuperò i diritti e i privilegi di un tempo. Dopo un sogno durato dieci anni, l'Egitto riprese il suo corso. La successione che porta Tutankhamon sul trono è nebulosa. Regnò solo un decennio e morì entro i 20 anni, troppo poco per dare prova di doti guerriere o amministrative. Il suo governo si esercitò sotto la pesante tutela del visir Ay, futuro signore del Paese dopo la sua morte, una sorta di eminenza grigia che spesso sostituì le proprie volontà a quelle del sovrano e della sua giovane moglie, e che forse ordì trame ai danni del legittimo regnante. Tra le prime decisioni del sovrano ci fu quella di ritornare al culto di Amon, soppiantato da quello di Aton durante il regno del suo predecessore. Amenofi IV aveva frantumato il consenso della potente casta sacerdotale e il suo rivoluzionario monoteismo era stato accolto con sospetto. Tutankhaton, il suo successore, preferì ripiegare su posizioni più concilianti modificando il proprio nome in Tutankhamon, l'immagine vivente di Amon, e ritornò a Tebe, che riprese a essere il principale centro religioso d'Egitto, mentre Menfi si confermava la sua capitale amministrativa. Le circostanze della morte del sovrano fanciullo, avvenuta nel 1325 a.C., sono misteriose. Forse Tutankhamon fu ucciso con un colpo sul cranio durante una congiura di palazzo ordita dal potente Ay. Tuttavia il recente accertamento di una ferita alla testa perfettamente rimarginata sembrerebbe escludere questa ipotesi. In alcune raffigurazioni il faraone è rappresentato assistito amorevolmente dalla moglie, nell'atto di appoggiarsi a un bastone. Dopo questi sconvolgimenti sociali e politici, Seti I fu il primo sovrano a occuparsi nuovamente dell'influenza egizia nel Medio Oriente. Salì al trono a 37 anni, dopo aver ricoperto la carica di Grande sacerdote di Seth. Dalla sua titolatura è possibile notare come tutte le grandi divinità dell'Egitto del Nuovo Regno sono nuovamente citate: Ra, Ptah e Amon, oltre a Seth, e questa circostanza conferma che le cause dello scontro tra Akhenaton, il faraone eretico, e il potente clero di Amon del tempio di Karnak, ossia l'eccessivo potere politico ed economico di quest'ultimo, non erano state ancora completamente cancellate. Il ripristino dell'influenza estera dell'Egitto richiese una serie di campagne militari contro gli ittiti che governavano la Siria. Malgrado alcune vittorie, Seti non riuscì a recuperare i territori che avevano fatto parte dell'impero di Thutmose III. A occidente, dovette affrontare i Tehenu del deserto libico, e i Libu e i Meshuesh, descritti come biondi e con gli occhi chiari. A sud, in Nubia, dovette intervenire per sedare alcune rivolte.
Alla sua morte, salì al trono il più famoso faraone d’Egitto: Ramses II che regnò dal 1279 al 1212 a.C. Grazie alla durata eccezionale del suo regno, fece costruire numerosi monumenti in tutto il paese, incidendo il suo nome su altrettante opere dei suoi predecessori. Combatté contro gli ittiti un’epica battaglia a Qadesh nel V anno del suo regno, e poco dopo fu sancita la pace fra le due grandi potenze, con la spartizione delle colonie della Siro-Palestina. Avviò un periodo di pace, suggellata da un trattato internazionale, e grazie a due matrimoni diplomatici del faraone con principesse ittite. Della battaglia si hanno notizie sia da fonte ittita sia egizia, ed è possibile notare che entrambe le parti si attribuirono la vittoria. Assicurò il predominio dell’Egitto sulla Nubia e sui giacimenti auriferi. La sua opera più grandiosa e celebre è il tempio di Abu Simbel, località dell'Egitto meridionale lungo il fiume Nilo, a sud di Assuan, dove fece scavare nella roccia due templi, uno maggiore, dedicato a sé stesso e uno minore, dedicato alla moglie Nefertari.
Il tempio maggiore si sviluppa in profondità nella roccia per circa 55 metri; la facciata è adorna di quattro colossali statue di Ramesse, alte più di 20 metri. Tra le gambe vi sono statue più piccole, raffiguranti Tuya, Nefertari e alcuni fra i suoi figli.
Il tempio minore, costruito nello stesso periodo, è dedicato, oltre che a Nefertari, anche alla dea Hator. È di dimensioni minori rispetto all'altro ma appare comunque imponente: la facciata presenta sei statue, quattro di Ramesse e due di Nefertari, alte più di nove metri. Ramesse II sopravvisse a molti dei suoi figli al punto che non nominò ufficialmente un principe ereditario. Negli ultimi anni di vita fu affiancato da Merenptah, suo tredicesimo figlio, nato dall'unione con Isinofret. Questi prese in mano il governo nell'ultimo periodo di regno del padre e gli succedette alla sua morte. Gli oltre 50 anni di pace, seguiti alla battaglia di Qadesh, causarono la “disoccupazione” delle truppe mercenarie, con una serie di conseguenti problemi interni dovuti alle richieste degli armati. Inoltre, una serie di terremoti che distrusse le città costiere greche e anatoliche, e una crisi dinastica presso gli ittiti, nonché la pressione degli Assiri a nord est e una serie di atti di pirateria nel Mediterraneo, causarono un epico spostamento di genti verso l’Egitto, con occupazione armata, da parte di queste nuove popolazioni, delle città stato cananee e di tutti i porti. Queste genti, ricordate come “Coalizione dei Popoli del Mare”, sono documentate dalle fonti scritte egizie durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, quando tentarono di acquisire il controllo dei possedimenti egizi. A Karnak, in una grande iscrizione nelle pareti del tempio, il faraone egizio Merenptah parla di popoli stranieri che giungono dal mare.
L’espressione Popoli del Mare fu coniata nel 1881 dal francese Maspero, per indicare l’insieme di genti che tentò a più riprese, e in coalizioni differenti, di invadere l’Egitto. L’identificazione più verosimile li individua come popolazioni provenienti dalle coste del Mediterraneo (Il Grande Cerchio) e dalle grandi isole occidentali nel cuore del Grande Verde, il Mare Mediterraneo. Invasero il Medio Oriente e l’Egitto, lasciando dietro di sé toponimi quali Palestina (da Peleset) e altri.
Ad esempio, le cronache egizie riportano citazioni relative a Sherden arruolati nella guardia reale del faraone Ramesse II durante lo scontro di Qadesh del 1275 a.C. Nella stele di Tanis gli Sherden sono citati come “i guerrieri dal cuore ribelle, giunti dal mare aperto con le loro navi da guerra e che nessuno ha mai potuto contrastare”. Inoltre, un altro riferimento, relativo a diverse etnie di invasori provenienti dal mare, nella parete del VII pilone del monumento funerario di Merenptah a Karnak, è raffigurata un’invasione risalente al 1208 a.C. e cita, oltre agli Sherden, i Lukka, i Libou, i Tursha, gli Akawasa e gli Shekelesh.
La testimonianza più significativa del tentativo di invasione, sferrato dai Popoli del Mare all’Impero egizio (1174 a.C.), si trova raffigurata nel tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu.
La figura del faraone Ramesse III si staglia a tutta parete mentre scaglia le frecce contro le imbarcazioni dei popoli del mare che, con le loro navi a chiglia profonda adatte alla navigazione d’altura, si arenarono nelle basse acque alla foce del Nilo. Gli invasori sono armati di lance, scudi rotondi e spade costolate, e combattono su vascelli privi di remi. Altre raffigurazioni mostrano i prigionieri catturati, legati per i polsi e inginocchiati. I geroglifici raccontano la nazionalità: Sherden, Denyen, Pheleset, Tjekker e Akawasa. Nei decenni successivi, altre testimonianze descrivono la vita pubblica e privata di Sherden e Libu all’interno dell’Impero Egizio, descrivendoli come giunti alle più alte cariche amministrative e militari a partire dalla XXII dinastia. Tra i popoli del mare sono menzionati anche i Tursha, gli Shekelesh e i Denyen, per i quali è stata proposta la sede di stanziamento nel Mediterraneo occidentale identificandoli rispettivamente come Etruschi in Toscana e Umbria, Siculi in Sicilia e Puglia, e Danai in Basilicata e Calabria, dove statue colossali, i bronzi di Riace, ricordano le figure rappresentate in Egitto. E’ certo che i Pheleset (i filistei) assegnarono il nome alla terra in cui si stanziarono, la Palestina. Forse provenivano dall’antica Creta, da alcuni studiosi identificata col termine Kaphtor. Grazie alle fonti egizie, ittite e semitiche possiamo identificare gli Akawasa o Ahhiyawa come gli Achei provenienti dall’Attica. Tra queste etnie troviamo anche i Meshwesh, identificati anche come Libu, provenienti dal Nord Africa, grazie alle citazioni nelle testimonianze egizie relative alle invasioni, e per la cultura materiale che hanno lasciato. Questi, insieme agli Sherden stanziatisi nel Delta del Nilo, diedero inizio alla XXII dinastia di Faraoni regnante sull’Egitto a partire dal X a.C.

In conclusione, l’omogeneità culturale dell’area, e una sostanziale indipendenza delle città, prosegue senza grandi sconvolgimenti durante il II Millennio, fino a quando i faraoni ramessidi devono fronteggiare prima gli Ittiti a Qadesh e poi la coalizione dei Popoli del Mare. Questi ultimi, dopo aver travolto tutte le città costiere dall’Anatolia alle coste libanesi, sono bloccati da Ramesse III nel 1174 a.C., quando, dopo una cruenta battaglia navale nel Delta del Nilo, stipula un accordo e concede l’utilizzo di vaste province in cambio della pace. Lentamente, i gruppi etnici penetrano nei nuovi territori con le loro famiglie, e questa migrazione contribuisce al crollo di quel sistema di città Stato che durava da millenni. Con lo sfaldamento degli imperi e la migrazione dei popoli seminomadi, si creano vuoti nelle terre di confine, e il sistema politico, amministrativo e culturale cambia completamente. Alcuni fra i popoli del mare riescono ad avere un insediamento fisso, ad esempio i filistei che occupano la Palestina meridionale costruendo cinque città (pentapoli filistea) nell’attuale parte costiera della striscia di Gaza. Nelle terre di Israele si stabiliscono, invece, le famose 12 tribù nomadi, non più controllate dal potere centrale. Questi clan hanno stesse usanze, religione, lingua e caratteristiche, e si riconoscono in una nazione. I primi Re sono David e suo figlio Salomone. A Est e a Nord abbiamo gli aramei, organizzati diversamente. Più settentrionali sono i nuovi stati siriani. Le città stato cananee subiscono una forte crisi economica e un rinnovamento dei gruppi etnici: cambiano religione, cultura ed economia, e questa situazione si mantiene fino alla conquista persiana.

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