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mercoledì 5 marzo 2014

Archeologia dei cibi in Sardegna, di Pierluigi Montalbano

Archeologia dei cibi in Sardegna
di Pierluigi Montalbano


Una indagine mirata alla conoscenza dell’alimentazione nell’antichità, comporta l’analisi attenta dei resti di cultura materiale e il coinvolgimento di specialisti di diverse discipline. Attraverso lo studio degli antichi sapori si può ricostruire anche l’evoluzione delle tecnologie impiegate nella realizzazione dei manufatti. L’uomo preistorico si nutriva di alimenti crudi disponibili in natura che si procurava con la caccia, la pesca e con la raccolta di frutta e verdura che cresceva allo stato selvatico.
Con la cottura dei cibi, soprattutto di origine animale, si diversificarono le abitudini alimentari attuando una prima rivoluzione alimentare. All’inizio del Neolitico, i cacciatori e raccoglitori nomadi, imparano a riconoscere, a selezionare e a coltivare le graminacee. La soluzione dei problemi di sostentamento fecero preferire dimore permanenti in un territorio adatto alle coltivazioni agricole. Il surplus alimentare spinse l’uomo alla ricerca di metodi di conservazione. Plasmò l’argilla e realizzò vari contenitori funzionali alla lunga conservazione delle derrate e ai diversi sistemi di cottura. Alla funzionalità dei contenitori si aggiunge progressivamente una ricerca estetica a partire dal 6000 a.C. con la decorazione cardiale, realizzata con una conchiglia, e fino al 3000 a.C. quando è documentata una esplosione delle decorazioni nella produzione di stoviglie di uso quotidiano che venivano offerte anche come corredi funerari.
La moltiplicazione dei sapori durante il periodo neolitico viene accentuata dalla capacità dell’uomo di addomesticare e allevare animali come la capra e il cinghiale; l’allevamento veniva integrato con la caccia di cervi, mufloni, prolagus, volatili e la raccolta di molluschi. L’allevamento del bestiame ha introdotto nell’ alimentazione l’uso del latte e tutti i prodotti derivati dalla sua trasformazione.
Nelle fasi finali del neolitico (3000 a.C.) nell’ambito della Cultura di San Michele di Ozieri è documentata una notevole produzione ceramica caratterizzata da un raffinato gusto estetico, con motivi geometrici e naturalistici impressi a graffito ed evidenziati dall’aggiunta di paste bianche e da pigmenti colorati. Alla conquista del gusto estetico si aggiunge la scoperta dei diversi cibi che vengono cotti in appositi contenitori studiati per essere messi sul fuoco.
Nasce in questo periodo il vaso sostenuto da tre piedi (tripode) che permette la cottura del cibo a diretto contatto con il fuoco. I contenitori possono essere aperti o chiusi e venivano tenuti in perfetto equilibrio dai piedi di forma triangolare inseriti sullo spessore delle pareti. I tripodi biconici ed emisferici erano funzionali alla cottura di zuppe, farinate e alla bollitura della carne e del latte. La lavorazione delle superfici con l’uso di stecche rendeva le superfici lisce, lucide e impermeabili, idonee a contenere e a cuocere i cibi liquidi. In Sardegna è documentata la presenza di ciottoli che non presentano segni di usura come i pestelli, i macinelli o le cote; si ritiene che i ciottoli surriscaldati nei focolari potessero essere usati per intiepidire i liquidi, soprattutto in ambienti pastorali, per accelerare i tempi della cagliata.
Nella prima età dei metalli, intorno al 2800 a.C., per motivi ancora sconosciuti, cambiano i criteri di scelta dei luoghi d’insediamento, diminuisce sensibilmente la decorazione dei contenitori e si prediligono le forme chiuse più funzionali all’economia pastorale. La caduta del decorativismo può essere spiegata con la necessità dei continui spostamenti per le transumanze con vasi di facile manutenzione. Da tombe ipogeiche di Osilo (SS) provengono dei mestoli d’impasto con lunga impugnatura che potevano essere utilizzati nella lavorazione dei latticini. Sono documentati anche vasi di piccole dimensioni chiusi con un coperchio mentre nei periodi precedenti i vasi venivano coperti con un altro vaso rovesciato che non aderiva perfettamente alla circonferenza dei contenitori. Della necropoli ipogeica di Santu Pedru provengono manufatti della cultura del vaso campaniforme, una cultura diffusa, in tutta l’Europa dell’est, in quella occidentale e nei paesi mediterranei. Ai vasi campaniformi, decorati a bande con motivi geometrici erano associati vasi da fuoco con quattro piedi (tetrapodi) che sostengono forme aperte. E’ ipotizzabile che nei continui spostamenti, le genti del vaso campaniforme imparassero e divulgassero l’uso e la cottura di cibi di zone con economia e abitudini alimentari diverse.
In età nuragica, verso la metà del II millennio a.C., dopo un periodo di assenza di abbellimenti, si assiste a una ripresa del decorativismo nei vasi a tesa interna con motivi metopali impressi a crudo. La tesa interna introduce la bollitura, con una soluzione tecnica che impedisce il traboccamento dei liquidi e il conseguente spegnimento del fuoco. La tesa interna, inoltre, favorisce l’ossigenazione impedendo la formazione dello strato superficiale di sostanze delle carni o dei legumi che provocano la fuoriuscita dei medesimi.
Compare un nuovo tipo di fornello d’impasto a forma di ferro di cavallo con tre appendici sopraelevate disposte nella parte curva centrale e nelle estremità. Le appendici sono tagliate obliquamente per mantenere in equilibrio i contenitori, soprattutto olle e ciotole emisferiche e carenate, che hanno il fondo indistinto. I fornelli hanno prese applicate nella parete centrale per facilitare la presa e lo spostamento.
Nel Bronzo Recente si produce un nuovo tipo di vaso per la bollitura che privilegia forme più chiuse globulari, con listelli sulla parte interna dell’orlo per impedire la formazione della panna. Il listello interno serviva anche da sostegno per il coperchio dotato di fori passanti per l’areazione. Diversi fori passanti praticati sul listello aumentavano l’aerazione dei liquidi in cottura. Lo stesso sistema viene ancora applicato nei moderni bollitori in acciaio o in ceramica. Nello stesso periodo si producevano anche tegami funzionali alla cottura del pane e focacce. Le pareti interne erano decorate a crudo con uno strumento a pettine per ottenere composizioni geometriche nella parte centrale del fondo. I pani venivano decorati anche con pintadere che lasciavano un’impronta geometrica. Le teglie di cottura venivano realizzate con uno spessore maggiore dell’impasto in corrispondenza della parte centrale del contenitore dove si concentrava l’assorbimento del calore e facilitava la lievitazione e la cottura dei pani. Alcuni grandi tegami hanno il fondo concavo e venivano usati come coperchio per semplici fornetti che miglioravano la cottura dei cibi.
Nel Bronzo Finale si producono bacili e calderoni di bronzo che integrano i contenitori d’impasto più diffusi. Anche i contenitori in lamina bronzea sono utili per le cronologie, esaminando la forma dei manici che richiamano forme dell’area egea orientale e tirrenica. Con la diffusione della metallurgia vengono prodotti spiedi in bronzo sostenuti da alari lignei, bronzei e d’impasto. La produzione dei vasi per la cottura si arricchisce di altre forme che consentivano una cottura lenta a bassa temperatura e vasi traforati portafuoco per mantenere calde le vivande. Nel Primo Ferro migliorano le tecniche di lavorazione degli impasti, le superfici dei contenitori vengono lucidate a imitazione di quelli di bronzo e coperte da uno strato di argilla depurata e fluida (engobbio) che impermeabilizzava le pareti riducendo il trasudamento dei liquidi. Nella tarda età del ferro la produzione locale dei contenitori si miscela con i prodotti orientalizzanti che rispondono ad una forte richiesta di mercato. Questa nuova realtà economica testimonia la volontà dei nuragici di acquisire maestri dall’esterno e aprire vere e proprie botteghe-scuola nelle quali i sardi migliorano le tecniche di preparazione e decorazione delle ceramiche e iniziano una produzione industriale che si diffonderà presto in tutto il Mediterraneo, soprattutto per il trasporto di vino.

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