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lunedì 23 luglio 2012

Sardegna: Museo archeologico di Olbia

Il Museo illustra l'intera vicenda storica della città antica e del territorio di Olbia, dalla preistoria al XIX secolo, con particolare riferimento alle fasi fenicia, greca, punica e romana dell'area urbana e portuale, le più ricche di documentazione storica e archeologica.
Elemento di particolare interesse sono i relitti romani e medievali rinvenuti nello scavo del porto antico, corrispondente al lungomare dell'attuale centro storico.
Olbia è l'unica città della Sardegna a essere stata abitata da Greci, tra il 630 e il 520 a. C. circa, e il nome da essi datole, Olbía, cioè "felice" in rapporto alle straordinarie opportunità che il sito offre all'insediamento umano, è stato adottato quale nome e logo, in caratteri greci maiuscoli, del Museo

POSIZIONE E CONTESTO URBANO E PAESAGGISTICO
Il Museo sorge sulla piccola Isola Peddona, antistante il porto odierno e già in antico costituente elemento di spicco del sistema portuale urbano. Dai terrazzi la vista abbraccia in primo piano il porto odierno e, a distanza di soli 100 metri, il luogo di provenienza dei relitti, nel più ampio contesto della porzione di area urbana moderna che cela la città antica . In secondo piano è ben apprezzabile a 360° tutto il Golfo Interno, la piana retrostante e il teatro di colline che circondano e completano questo sistema paesistico-ambientale così ottimale in ogni epoca per l'antropizzazione. Il visitatore coglie così tutti i principali e significativi rapporti di relazione tra il contenitore e le porzioni del territorio da cui provengono i reperti in esso contenuti, e più in generale le opportunità ambientali che determinarono e favorirono il felice sviluppo della vicenda umana in questi luoghi come narrata nel Museo.
Esso inoltre, per essere ubicato sul porto che accoglie il numero più cospicuo di visitatori della Sardegna e per ospitare reperti di interesse sovranazionale come i relitti e gli alberi e timoni di navi, si pone come il migliore "invito" e la migliore "vetrina" per l'intera offerta di Beni Culturali dell'Isola.

IL PROGETTO ARCHITETTONICO

Il presupposto simbolico e significante della progettazione architettonica dell'edificio, opera di G. Maciocco, è l'immagine di una nave ormeggiata in porto, in ragione sia del contesto urbano portuale nel quale l'opera si inserisce sia del ruolo storico e culturale di Olbia quale importante porto della Sardegna che il Museo illustra. Alla nave alludono alcuni aspetti formali generali e alcuni particolari come finestre circolari, passerelle sospese, ecc. Da notare la percorribilità degli spazi aperti superiori, terrazze e passaggi, agibili dall'esterno anche al pubblico non pagante, quale incentivo ad una fruibilità e acquisizione di dimestichezza con l'edificio da parte di ogni tipo di visitatore, nel senso di una "vivibilità" della struttura a prescindere dalla funzione museale, e che consentono l'allestimento di spazi di ristorazione e spettacoli di grande suggestione per lo sfondo urbano e paesistico di notevole pregio del quale possono giovarsi. L'edificio è dotato di due sale per esposizioni temporanee, sala conferenze, sala didattica per le scuole, spazi di ristorazione e bookshop, palazzina uffici (che utilizza un edificio umbertino preesistente e che il Museo armonicamente ingloba) secondo i più moderni criteri della fruizione museale

L'ALLESTIMENTO

Anche la filosofia complessiva dell'allestimento, opera di G. Maciocco, R. D'Oriano e A. Huber, è fondata sul rigore e sulla semplicità. Le grandi pareti bianche delle sale, lasciate libere, costituiscono lo sfondo neutro sul quale si stagliano le grandi vetrine completamente trasparenti, i blocchi parallelepipedi dei pannelli e di supporto dei video. Tutti questi "oggetti" sono muniti di ruote non visibili che consentono agevolmente ogni modifica di percorso. Per originalità e/o spettacolarità si segnalano invece alcuni accorgimenti didattici e/o espostivi: plastici di grande formato della città romana e del porto, ricostruzioni a grandezza reale di due sezioni di navi romane comprensive del carico e delle dotazione di bordo (a corredo dei relitti), pannelli sospesi trasparenti con immagini virtuali 3D di navi romane, proiezioni video a parete, la replica al vero di una statua di Eracle (della quale si rinvenne la sola testa ora esposta in vetrina, che è di certo uno dei reperti più rilevanti dell'intero percorso di visita). Lo strumento didattico più coinvolgente è un sistema video-audio di proiezione su parete a 180° e suono stereo (proiezione cilindrica) che rievoca l'attacco dei Vandali alla città romana

IL PERCORSO ARCHEOLOGICO

Olbia romana, un infausto giorno, verso il 450 d. C…. una vela all'orizzonte … due…tre…troppe!
Navi da guerra!
Nostre? I Vandali! All'armi!
Il giorno tanto temuto è arrivato. Bruciano le navi in porto e l'intera città subisce un irreparabile colpo che la condizionerà per secoli.
Anche il cammino di questo Museo subirà così una brusca svolta.
L'originaria idea progettuale prevedeva l'esposizione al piano terra, destinando gli spazi del piano superiore a laboratori e depositi. Ma il rinvenimento di ventiquattro relitti romani e medievali nello scavo del tunnel viario sotto il porto odierno, che corrisponde all'approdo antico, ha imposto una radicale revisione del percorso, riservando le più ampie sale del piano basso a cinque dei più significativi di essi e trasferendo al meno ampio piano primo l'esposizione della storia della città e del territorio.
La narrazione si apre quindi con un flash back. Il visitatore piomba direttamente nel bel mezzo della vicenda storica di Olbia con i relitti del porto, per poi scoprire al piano superiore il lungo cammino che precede e che segue quegli avvenimenti, ricomponendone così il contesto globale dalla preistoria al XX secolo.

La struttura:


L'ampia sala circolare d’ingresso al Museo espone un sarcofago e un coperchio di un altro sarcofago in marmo d'età romana imperiale
Ingresso alla sala 1
Una breve proiezione video a parete sulla storia di Olbia consente al visitatore di comprendere che i relitti che sta per vedere nelle sale successive si collocano cronologicamente alla metà dell'intera vicenda storica di Olbia
Sala 1
Verso il 450 d. C. i Vandali, nell'ambito di una più ampia strategia bellica messa in campo contro Roma, attaccarono Olbia decretando la fine della città romana. Nell'evento bellico andarono a fuoco e affondarono undici navi onerarie nel porto; i relitti di due di queste sono esposti nella sala. Due sezioni ricostruttive a dimensioni reali di navi onerarie romane aiutano il fruitore nella comprensione dei reperti esposti.
Sono inoltre esposti tre aste da timone e due alberi di navi romane tutti conservati - fatto finora unico nella storia dell'archeologia mediterranea - per buona parte della loro lunghezza originaria (dai 7 agli 8 metri di lunghezza). Si tratta, assieme al relitto medievale della sala 3, dei primi relitti visibili di quanti scavati in Italia negli ultimi vent'anni, e in tutto il nostro Paese solo altri quattro musei espongono imbarcazioni antiche. Questi reperti fanno del Museo di Olbia quello che in tutta l' Italia espone il maggior numero di navi antiche e l'unico al mondo che mostra alberi e timoni d'età romana, e quindi principale riferimento per chi voglia approfondire la conoscenza tecnica della navigazione antica.
Sala 2
Un saletta con sedili ospita una proiezione video a parete sullo scavo del porto e i suoi relitti. Il resto dello spazio è destinato ai relitti di futuro restauro e allestimento: un altro dei relitti affondati dai Vandali e di un relitto medievale
Sala 3
Il relitto medievale qui esposto, su una sagoma che permette di comprendere la posizione dei legni nell'ambito dello scafo , è una imbarcazione di piccole dimensioni, forse destinata al traffico nel solo Golfo Interno di Olbia o lungo le coste limitrofe. Si tratta, ad oggi, dell'unico relitto medievale visibile in tutta l'Italia
Sala 4
Una suggestiva proiezione su parete a 180° che rievoca l'attacco dei Vandali alla città romana e riassunto del resto del percorso
Sala 5
Il grande plastico del porto di Olbia al massimo della monumentalizzazione nel II sec. d. C.

Piano primo

Il piano primo illustra l'intera vicenda umana della città e del territorio, dalla preistoria al XIX secolo, con particolare riferimento all'area urbana, le più ricca di documentazione archeologica.
Il "racconto" che il Museo propone seleziona come fil rouge, tra i vari possibili, il ruolo di porta di accesso alla Sardegna, e di apertura dell'Isola verso il Mediterraneo intero, che Olbia ha rappresentato fin dalla preistoria grazie alla sua posizione strategica sulle rotte tirreniche e al suo ripartissimo porto naturale, ponendo l'accento quindi sulle stratificazioni culturali che vi si sono avvicendate (Fenici, Greci, Punici, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, ecc.) e sul cosmopolitismo, valorizzando il rapporto inter-culturale e la multiculturalità dei gruppi umani come risorsa primaria e insegnamento per un futuro già presente.
Sala 1
Il racconto principia con le fasi prenuragica e soprattutto nuragica del territorio (vetrina prima e seconda) con manufatti bronzei tra i quali un modellino di barca e ancore di tipologia preistorica (fuori vetrina), reperti non abbondanti, ancorché molto significativi, poiché la storia dei rinvenimenti archeologici nel territorio olbiese ha dovuto privilegiare l'area urbana antica, a scapito del territorio, per motivi di tutela, a causa della sovrapposizione dell'abitato moderno rispetto a quello antico
La nascita dell'insediamento urbano, tra i più antichi dell'intero Mediterraneo Occidentale, si deve ai Fenici di Tiro verso il 750 a. C. (vetrina terza), in funzione dei traffici della madrepatria con le ricche aristocrazie dell'opposta sponda tirrenica.
Attorno al 630 a. C. l'insediamento passa in mano dei Greci di Focea (vetrina quarta: notevoli una coppa figurata di Corinto e una testina fittile di divinità femminile), quale loro primo insediamento nel Mediterraneo Occidentale; Olbia è così, in questa fase, l'unico centro greco di tutta la Sardegna
Sala 2 o "di Cartagine"
Con la conquista della Sardegna da parte di Cartagine, tra 540 e 510 a. C., anche Olbia divenne una città punica, anche se inizialmente interessata solo da un presidio militare o poco più in relazione alle sue potenzialità strategiche sul Tirreno.
Cartagine si attesterà qui in forze solo verso il 330 a. C. con la deduzione di una vera e propria colonia, per resistere alle mire espansionistiche di Roma e per cogliere appieno le opportunità anche commerciali del sito (vetrina prima: notevoli le ceramiche ateniesi e laziali, le matrici per decorazioni, i fittili votivi). Interessanti anche i materiali dalle necropoli (vetrina seconda)
Col 238 a. C. anche Olbia cade, con l'intera Sardegna, in potere di Roma. L'evento non appare cruento, e molto rispettosa della cultura punica è la gestione dei nuovi dominatori (vetrina terza con corredi funebri e fittili votivi femminili). A questa fase risalgono la stele di granito col simbolo della dea Tanit e l'iscrizione punica (corridoio di raccordo alla sala 3)
Sala 3
Sempre alla fase di passaggio tra l'Olbia punica e l'Olbia romana sono pertinenti alcune terracotte figurate e vasi da corredi funebri (vetrina prima), e le anfore del porto (fuori vetrina)
Sala 4 o "di Ercole"
Dalla metà del I sec. a. C. la città appare del tutto romanizzata sia nel suo aspetto urbano (vetrina prima e seconda e plastico della città a parete) che funerario (vetrina terza e iscrizione e urna cineraria fuori vetrina). Si segnalano in particolare le teste di statua dell'imperatore Domiziano e di sua moglie Domizia e la matrice con scena di processione trionfale . Il reperto di gran lunga più rilevante sia di questa sezione sia dell'intero Museo, assieme ai relitti, è però la straordinaria testa di statua di Ercole, principale dio della città, della quale si propone al visitatore la ricostruzione completa a grandezza naturale e nei colori originari.
Sala 5
Tutte le navi portano a Olbia. L'Olbia romana intrattiene, direttamente e indirettamente, relazioni con l'intero Mediterraneo e oltre, immersa nel grande flusso commerciale e culturale del primo mondo che possiamo dire "globale", cioè l'Impero Romano. Assieme alle numerose merci di importazione da tutto il mondo antico (vetrina prima e seconda e capitello e anfora fuori vetrina) molti sono i dati che mostrano una compagine umana con numerosi tratti di cosmopolitismo. Gli oggetti più "esotici" sono un bruciaprofumi a figura di ananas o pigna da Cnido , un askòs a forma di cammello dalla Siria, coppe a rilievo da Corinto, un minuscolo zaffiro da Ceylon.
Con il IV sec. d. C. principiano i segnali di crisi economica, a seguito del mutamento delle dinamiche economiche del Mediterraneo Occidentale che iniziano a marginalizzare il ruolo di porto tirrenico di Olbia.
Verso il 450 d. C. la città subisce il durissimo colpo infertole dai Vandali (vetrina quarta). I nuovi dominatori non sono interessati a ripristinarne la piena funzionalità portuale e urbana, poiché i loro interessi commerciali si giocano non sul Tirreno ma tra Sardegna, nord Africa e Spagna, a fronte anche della drammatica contemporanea decadenza che la Penisola Italiana attraversa col crollo dell'Impero d'Occidente.
Sala 6
Anche i secoli della riconquista bizantina non sono favorevoli per Phausiana (è questo il nome assunto ora dal piccolo borgo ristretto al cuore di quella che era stata l'Olbia romana) sia perché i contatti tra l'Impero di Costantinopoli e la Sardegna non passano principalmente dalla costa nord.orientale dell'Isola sia per il perdurare della crisi della Penisola. Anche il pericolo arabo, concretizzatosi probabilmente in un attacco, pur se non esiziale, nel VII sec., è fattore di incertezza, e tuttavia non si interrompe del tutto l'afflusso di beni anche di lusso (vetrina prima con croce aurea, collana di pasta di vetro, vaso a smalto verde dal Lazio).
Con la costituzione dei Giudicati, cioè i quattro regni nei quali la Sardegna è suddivisa tra il X e il XIV sec., Civita (Olbia) è capitale del meno prospero e potente, quello di Gallura. Tuttavia grazie all'alleanza con Pisa decolla nuovamente, dopo sette secoli di stenti, il traffico marittimo d'ampio respiro con il ripristino della funzionalità del porto urbano (vetrina seconda: ceramiche decorate a smalti multicolori).
La conquista della Sardegna da parte della Corona d'Aragona nel corso del XIV sec. torna a marginalizzare Terranova (nuovo nome di Olbia), anche perché i nuovi dominatori sono fatalmente interessati più alle rotte che connettono l'Isola alla loro madrepatria che a quelle tirreniche. I secoli XV-XVIII rappresentano il picco negativo della città, confinata, rispetto al passato, in perimetrici asfittici e quasi di irrilevanza sul piano extra cittadino, e tuttavia anche nel momento più buio prosegue l'afflusso di importazioni d'oltremare (vetrina seconda: ceramiche liguri e toscane a smalti policromi tra le quali spicca un piatto "degli sposi" di Faenza).
La situazione non è molto più florida con l'avvento nel controllo della Sardegna da parte della dinastia sabauda nel XVIII sec., la quale privilegia i contatti dell'Isola nella direzione dei porti liguri.
Solo con la fine del XIX-inizi XX sec., cioè anche con la necessità di contatti tra la Sardegna e la nuova capitale dell'Italia unitaria, l'area urbana, dopo 15 secoli, riacquista e inizia a valicare il perimetro della città romana. Volàno di decollo saranno il ripristino della funzionalità del golfo con opere portuali e di dragaggio del suo accesso interrito da detriti fluviali e poi, dagli anni '60, l'esplosione del fenomeno del turismo marino-balneare, prima di élite e ben presto di massa.

L'ultimo pannello, nella sala sesta, trae quello che pare l'insegnamento più stimolante di questo ricco e complesso percorso storico e umano che il Museo racconta, e pare perciò opportuno riportarne qui integralmente il testo

Mater Olbia

Negli ultimi cinquanta anni Olbia ha attraversato una fase di espansione economica, urbana e demografica esplosiva, finalmente dopo diciassette secoli eguagliando e poi superando i fasti della città punica e romana. Il consistente inurbamento di genti da un altrove prima sardo e via via sempre più remoto fino, negli ultimi anni, agli estremi confini del mondo fa dire agli olbiesi di più antico radicamento "Olbia non è più la stessa". Infatti, o al contrario, solo cosi e solo ora Olbia è di nuovo "sé stessa". La sua storia antica è una storia di avvicendamento e stratificazione di genti neolitiche, nuragiche, fenicie, greche, puniche, romane, vandale, bizantine, pisane, aragonesi, ecc. , delle quali tutte siamo eredi e figli noi uomini del Mediterraneo.
E' una storia di apertura a contatti del più ampio raggio, di multi etnicità e multiculturalità, di incontro e scambio fecondo di uomini e idee.
Essa insegna che questa città portuale tanto strategica trova proprio nell'apertura, nell'accoglienza e nell'integrazione dell'"altro" la sua vera identità e le sue vere fortune, quando realizza la sua tri-millenaria vocazione a guardare verso i più ampi orizzonti geografici e umani, valorizzando ora come nel passato ciò che accomuna, al di là delle lingue, dei colori e delle fedi, per il reciproco benessere e progresso.
Spesso si ritiene che lo studio del passato sia necessario perché la storia si ripete e possiamo così volgerci indietro alla ricerca di soluzioni per il presente. No, la storia non si ripete mai. Essa è però fonte di conoscenze sull'uomo, sulla specie umana, insomma su noi stessi.
La vicenda di Olbia antica e odierna sottolinea il valore del rapporto inter-culturale come risorsa primaria, prezioso insegnamento per questo presente e per un futuro già incombente.


Fonte: Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro (testi: R. D'Oriano, immagini : E. Grixoni).

6 commenti:

  1. Caro Pierluigi,
    alla lettura della seguente definizione:
    "Olbia è l'unica città della Sardegna a essere stata abitata da Greci, tra il 630 e il 520 a. C.", sono scoppiato a ridere!
    Infatti, devi sapere che l'autore, per arrivare a tale improvvida conclusione, si è avvalso di una ipotesi partorita pur con qualche dubbio dal Pugliese Carratelli (perché la sua espressione: "non sembra infondata l'ipotesi" mi sembra esprimere più dubbi che certezze) che ha preteso individuare (anche tradendo la fonte!) nei certamente storici Serdaioi della lamina bronzea di Olimpia, quei mitici Eraclidi Tespiadai (che ognuno dovrebbe sapere essere solo frutto di una diffusa creazione fantastica, nella cui arte furono maestri gli antichi Greci), fuggiti dalla Sardegna (secondo quanto riportato dal certamente manomesso libro V paragrafo 15 della Biblioteca Storica) per riparare in quel di Cuma e provenienti, peraltro, dalle splendide pianure Iolee che paiono ragionevolmente posizionate nell'unica davvero ubertosa regione che tutto il mondo antico ben conosceva, cioè il Campidano.
    Grazie, mikkelj tzoroddu.

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  2. Ciao Mikkelj, e grazie per l'osservazione. Recentemente ho inserito in questo quotidiano un articolo nel quale segnalavo altri due gravi errori (oltre quello che giustamente hai rilevato) nell'interpretazione di quell'autore, ossia D'Oriano. La prima contrasta con gli scavi archeologici degli ultimi anni, in quanto la presenza greca è forte anche nel resto dell'isola. Inoltre nel 520 a.C. Olbia presentava una popolazione che almeno da una generazione era composta da genti non greche, a seguito della batosta che fu loro inflitta nel 540 a.C. dalle marinerie sarde ed etrusche che mal sopportavano l'ingombrante presenza dei mercanti focesi. Qualche testo parla di cartaginesi...ma sappiamo bene che non aveva senso per i nord africani barcamenarsi in un'avventura militare in acque controllate dagli alleati.

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  3. Cari Pierluigi e Mikkelj,
    a quel che so, e lo so, l'ipotesi di D'Oriano sulla colonia greca di Olbia non si fonda sulla lettura delle fonti quanto piuttosto sui rinvenimenti archeologici: fra 630 e 520 a.C. a Olbia si trovano solamente materiali di importazione greci, non sono pochi, non sono concentrati in un solo punto ma si ritrovano in diversi punti della città, in alcuni contesti anche in giacitura primaria. Questo è un dato archeologico, punto.
    Se poi guarda caso ci dovessero essere delle fonti che possono essere messe in parallelo con i dati archeologici di questa parte della Sardegna non vedo che cosa ci sia di male a elaborare ipotesi, che tali restano anche negli articoli di D'Oriano.. Ma perchè non ce la si prende con tutti gli altri che dicono castronerie sulle fonti, senza un minimo di esegesi e le considerano, a seconda del loro pro, vuoi straordinarie, vuoi fantasiose?
    Un caro saluto a entrambi
    marco rendeli

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  4. Hai ragione Marco, ma devo una spiegazione ragionevole alla mia puntualizzazione. Ogni archeologo basa i suoi scritti su ciò che trova negli scavi, e d'Oriano, da buon studioso, segue questo percorso. Ma, a differenza degli scritti di quei personaggi che scrivono castronerie, gode della stima del mondo accademico. Questo dettaglio è di fondamentale importanza per il passaggio che segue. Se devo sostenere un esame all'Università, ossia formarmi come archeologo, prendo in considerazione esclusivamente la bibliografia "ufficiale", nella quale sono compresi TUTTI gli scritti di D'Oriano.
    Pertanto, scrivere: "Olbia è l'unica città della Sardegna a essere stata abitata da Greci, tra il 630 e il 520 a. C." significa affermare che nell'isola, le genti "altre" (ossia i locali), consentirono ai greci di controllare, amministrandolo economicamente, un porto strategico che chiude il triangolo tirrenico compreso fra Sicilia, Sardegna e Toscana. Ciò è logicamente inammissibile, in quanto i rapporti dei sardi con l'etruria sono solidi, mentre quelli degli etruschi con i greci non sono idilliaci. Le ceramiche "greche" trovate a Olbia dimostrano semplicemente che i locali accolsero i greci e la "moda" di quelle ceramiche (bellissime e, quindi, pregiate). Così come è documentato nelle altre città dell'isola, i locali copiarono le mode e realizzarono (al loro interno) un mercato che collocava le belle ceramiche di tipologia greca in testa alle classifiche di gradimento. Inoltre, e ciò è ancora più importante, la ceramica greca è presente anche nelle altre città sarde. Ciò lo dicono tutti gli archeologi che scavano lungo le coste sud occidentali della Sardegna. I greci frequentarono commercialmente tutte le città sarde, e forse Olbia era il loro porto naturale vista la vicinanza di Corsica, Golfo del Leone e Liguria, zone che all'epoca erano frequentate da quei mercanti greci cacciati via (dagli Assiri) dalle coste Turche. Quando gli storici e gli archeologi sardi prenderanno in considerazione gli avvenimenti che spinsero gli Assiri a chiedere tributi insostenibili alle città stato costiere...e le conseguenze di tali richieste...si capirà realmente il motivo per il quale troviamo i levantini in occidente. Arrivarono con la coda fra le gambe, terrorizzati dalle armi assire! Altro che colonizzazione greca o fenicia!

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  5. Considerato che proporre ipotesi è consentito, vorrei esprimere il mio pensiero sugli avvenimenti. Gli Assiri, dopo aver costretto le città indipendenti libanesi (Tiro in testa) ad abbandonare i territori costieri, si spingono verso la Turchia per il controllo dello stretto dei Dardanelli, passaggio obbligato per le merci che viaggiano nel Mar Nero, crocevia fra Europa, Asia e attuale Russia. Gli sfortunati focesi, greci che controllano un porto turco, preferiscono abbandonare quei lidi e, caricando le navi con ciò che possono, si disperdono verso occidente. I più intraprendenti arrivano a Ischia, dove trovano le condizioni ideali per mercanteggiare. I locali, in quel periodo controllati dagli etruschi, accettano di buon grado le belle ceramiche greche e accolgono i focesi ampliando il mercato. In pochi decenni la ricchezza accumulata trova nuovi sbocchi: lungo la striscia marittima che conduce verso il Golfo del Leone (fra Barcellona e Marsiglia) i focesi creano una rete di approdi commerciali che passa per Olbia e la Corsica. Questi mercanti, ovviamente, scendono a patti con i locali, ossia pagano i tributi e iniziano ad integrarsi. Intorno al 550 a.C. accade il patatrac (scusate il termine ma questo è un blog...quindi è concesso): le nuove generazioni decidono di amministrare direttamente i porti e cercano di insediarsi nelle amministrazioni locali. In quel momento le aristocrazie nuragiche ed etrusche si vedono costrette ad alzare la guardia e si rifiutano di accettare la supremazia mercantile greca. Due galli in un pollaio (il Tirreno) sono molti...ma tre sono troppi! La guerra navale si conclude con la cacciata dei greci, ma la coalizione sardo-punica-etrusca subisce gravi perdite. Da quel momento a Olbia sparisce l'elemento greco, infatti, come dice d'Oriano, alla fine del IV a.C. è l'elemento punico a controllare la città. Non dimentichiamo che Roma, a quei tempi, è ancora un piccolo villaggio.

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  6. Egregio Rendeli,
    vedo che ti esprimi nel seguente modo:
    «a quel che so, e lo so, l'ipotesi di D'Oriano sulla colonia greca di Olbia non si fonda sulla lettura delle fonti quanto piuttosto sui rinvenimenti archeologici: fra 630 e 520 a.C. a Olbia si trovano solamente materiali di importazione greci, non sono pochi, non sono concentrati in un solo punto ma si ritrovano in diversi punti della città, in alcuni contesti anche in giacitura primaria. Questo è un dato archeologico, punto».
    Ti posso dire cosa apprezzo di tutto il tuo eloquio docenziale? L’ultimo vocabolo, il : punto. In esso, effettivamente, vedo la manifestazione patente di tua intima, personale idea. Tutto il resto non è farina del tuo sacco! Tu lo hai acquisito ed immagazzinato solo perché impostoti, da tutti quei docenti (come una volta mi dicesti) che tu ancora pretendi di osannare a “scatola chiusa” (perdona la povertà espressiva). E, senza renderti conto di cantilenare concetti altrui, anche qui hai voluto esprimerti di cotal guisa! Ma, benedetto Rendeli, parliamo seriamente impipandocene di amenità altrui: secondo te, il fatto (opinabile) che «fra 630 e 520 a.C. a Olbia si trovano solamente materiali (ceramici, bada bene, ndr) di importazione greci», è condizione bastante perché uno scienziato affermi che quell’Olbia fosse città greca? Sei tu, almeno, cosciente del fatto che, se trasmettessi la tua filosofia, dal tono tristemente uniforme, fino ai prossimi mille anni, saresti incolpato dai futuri ricercatori che ne venissero contaminati, d’aver fatto loro credere che, l’aver trovato nel sottosuolo di Roma e nelle sue discariche «solamente materiali (elettronici, ndr) d’importazione giapponese, (che, ndr) non sono pochi, non sono concentrati in un solo punto ma si ritrovano in diversi punti della città, in alcuni contesti anche in giacitura primaria. Questo è un dato archeologico, punto.», sia motivo scientificamente sufficiente perché essi affermino che Roma, nella seconda metà del XX secolo d.C. sia stata una colonia giapponese? E, non venirmi a dire che la similitudine, nella sua denudante banalità, non faccia il perfetto paio con la tua (e d’altri) Olbia.
    Grazie, mikkelj.

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