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domenica 7 agosto 2011

Viaggio al centro di restauro di Li Punti - I giganti di Monte Prama


Una mattina a Li Punti
di Pierluigi Montalbano.

C’era caldo in città, e quando ho avviato il motore dell’auto già pensavo ai 250 km di asfalto rovente che avrei dovuto affrontare prima di arrivare a destinazione. Scorrendo la rubrica per trovare un volontario che dividesse con me gioie e pene di questo viaggio non ho avuto dubbi: il mio maestro di archeologia, il prof. Giovanni Ugas. Un uomo mosso da una passione tanto forte per l’argomento “Storia della Sardegna antica” che non avrebbe battuto ciglio sui 40° che ci avrebbero accompagnato per l’intera giornata. Avevo ragione. Dopo qualche minuto era al mio fianco, e già parlavamo di tombe a pozzetto, faretrine e matriarcato.
Attraversando l’isola si aprivano squarci di vita nei campi, con buoi e mucche che incuranti del sole a picco sulla loro pelle masticavano indisturbati il pasto quotidiano, e si facevano compagnia vicino ai muretti a secco. Campi arati erano in bella mostra, è evidente un migliore sfruttamento della risorsa idrica rispetto al recente passato, quando la mancanza d’acqua e il disinteresse dell’uomo per la dura vita in campagna provocavano desolazione e incuria nel paesaggio visibile dalla 131.
Ecco il nuraghe di Mogoro, le risaie di Oristano e le prime colline che richiedono un maggiore impegno nella guida. La temperatura continua a salire, ma i discorsi del professore abbreviano la percezione del tempo trascorso all’interno dell’auto. Una foto al Santa Barbara, una alle incantevoli vallate di Macomer ed eccoci davanti al Santu Antine. Ci osserva con la magnificenza acquisita nel tempo. È bellissimo, forse ancora più di quando fu edificato. Il gusto per le antichità non mi ha mai abbandonato e questi luoghi magici sono capaci di farmi dimenticare la quotidianità.
Troppo lontane le tombe di Sant’Andrea Priu, dobbiamo arrivare al centro di restauro alle 10.30, così mi raccomandò la gentile segretaria che rispose al telefono a Li Punti e fissò l'appuntamento.
In meno di mezz’ora la grande facciata in mattoni arancioni del laboratorio, e un poster che ritrae il volto di un gigante con i suoi occhi concentrici che ci osservano, sono davanti a noi.
Il parcheggio è piccolo ma ordinato, con gli ulivi che offrono ombra e profumo di Sardegna ai visitatori.

Ci accoglie una collaboratrice della D.ssa Boninu, spiegandoci che l’archeologa è impegnata con una delegazione di politici della provincia di Oristano. Il mio primo pensiero è che siano giunti per reclamare le statue in quel di Cabras, ma quando vedo quella donna minuta addomesticare con parole ferme il gruppo dei 6 giovanotti, apparentemente grandi e grossi, ma docili come agnellini, capisco perché è lei a guidare il centro di restauro.
Un breve cenno di saluto fra i due professori, Ugas e Boninu, e iniziamo la nostra visita in attesa di fare due chiacchiere con la piccola grande donna.
Percorso uno stretto corridoio si apre davanti a noi una visione inaspettata: una parete alta oltre dieci metri, sulla nostra destra, accoglie un manifesto a tutta lunghezza che simboleggia il panorama collinare nel quale le statue dei giganti dovevano fare bella mostra di se.
I giganti sono davanti ai nostri occhi, e ci osservano con interesse. Sembrano pensare: -Chi saranno questi nuovi visitatori? Riusciranno a capire chi siamo, quando siamo nati e chi sono i nostri padri?-



La parete che accoglie le strutture ricomposte offre ai visitatori la possibilità di visionare nei minimi dettagli le sculture. Incisioni, bruciature, treccine, occhi disegnati dal compasso, corpetti e dettagli delle armature sono a portata di polpastrelli. Un lungo brivido mi percorre la spina dorsale: gli incursori-pugilatori sono imponenti, sono molto più muscolosi degli arcieri. È evidente che si tratta di personaggi addestrati per il corpo a corpo. Gli arcieri, invece, sono modellati secondo i canoni delle tendenze attuali: taglia da sfilata di moda. Le gambe sono ben proporzionate, il corpo è dritto e l’eleganza che contraddistingue questa tipologia sembra scolpita da una bottega specializzata in silouette. Gli incursori sono massicci, mettono paura. Immagino che quando i tecnici riusciranno a ideare delle strutture in grado di reggere gli scudi inseriti sopra la testa la visione sarà maestosa. Sono i “veri” giganti di Monte Prama, i temibili guerrieri che proteggevano il territorio. Provate a pensare cosa poteva suscitare la visione di questi personaggi a chi si avvicinava alla zona nella quale erano posizionati. Se la loro funzione era quella di deterrente verso i malintenzionati…funzionavano a meraviglia. I committenti erano evidentemente ben consci di ciò che un combattente doveva cagionare: terrore e rispetto. Molto più lineari sono gli arcieri. Figure apparentemente esili a confronto con i mastodontici compagni d’avventura, e facevano dell’arco la loro micidiale arma da combattimento. I vestiti sono eleganti, ricordano le figure impresse nelle decorazioni del palazzo di Cnosso a Creta e in quello di Avaris, capitale degli Hyksos, nonché le raffigurazioni ammirabili nelle decorazioni delle ceramiche greche. I mitici minoici che hanno ispirato gli autori facendo gettare fiumi di inchiostro sui manoscritti antichi e moderni, e gli eroici micenei della guerra di Troia. Sarebbe sufficiente mostrare solo uno di questi magnifici personaggi per attirare una folla di visitatori, ma a Li Punti sono una trentina le ricostruzioni, oltre gli spettacolari nuraghe in miniatura, e ogni scultura è straordinariamente incastonabile nella storia della Sardegna antica. I mitici guerrieri immortalati nei bronzetti sono il completamento della rappresentazione di un popolo che occupò certamente un ruolo di primo piano nelle vicende del Mediterraneo del Bronzo finale e del I Ferro.

L’orgoglio di essere sardo e di avere avuto la fortuna di nascere in questa isola misteriosa e paradisiaca mi fa dimenticare che al termine della visita dovrò sopportare almeno un paio d’ore di canicola estiva al rientro in città. Dopo le foto di rito, e i complimenti ai gestori di questa meraviglia architettonica che accoglie le statue, vengo rapito da alcune stanze adiacenti la grande sala dell’esposizione: i laboratori di restauro. Mi affaccio timidamente ad una delle porte e capisco in un istante il paziente e immenso lavoro che c’è dietro le quinte. Migliaia di frammenti piccoli come uova sono posati ordinatamente su banconi e minuziosamente contrassegnati con foglietti bianchi. Mani, piedi, pezzi di torcieri, scudi frammentati, braccia, piccole porzioni di colonne e altri particolari che solo l’infinita passione di chi lavora in questo centro potrà, forse, un giorno restituire ai proprietari, in paziente attesa di essere ammirati nella completezza, dopo 3000 anni di polveroso riposo, sballottati dagli aratri degli agricoltori e dimenticati su una necropoli utilizzata come discarica. Alcuni scudi sono a Roma per essere studiati, altri giacciono su forme arcuate, quasi completi ma privi degli attacchi per essere riposizionati sulle teste dei giganti. Non sfugge agli occhi attenti di appassionato una particolarità: 4 di questi scudi frammentati sono rotondi e piatti, ben differenti da quelli lunghi, arcuati e costolati dei corridori. Chiedo lumi alle esperte del centro di restauro e mi rassicurano.

Appartengono a 4 guerrieri che ancora non sono stati ricomposti, probabilmente spadaccini, identici a quelli rappresentati nei bronzetti e simili ai personaggi raffigurati nei rilievi di Medinet Habu in Egitto, la guardia reale del faraone. Inizio a sognare a occhi aperti, i mitici Sherden, appartenenti alla coalizione dei popoli del mare che sconvolsero le coste del Vicino Oriente nel 1200 a.C.
I tecnici continuano a parlare ma non li ascolto più, volo con l’immaginazione in quei campi di battaglia orientali dove i carri si affrontavano in polverosi e fragorosi duelli, decretando la vittoria di uno dei contendenti e assegnandogli il dominio sui metalli e sulle vie di comunicazione. Ugarit, Qadesh, il delta del Nilo e tutti quei luoghi che hanno segnato le imprese dei misteriosi Sherden. È tardi, la mente rientra a Li Punti, e mentre il professor Ugas si trattiene a colloquio con la Boninu, ritorno nella sala espositiva per una veloce panoramica finale sulle statue e per immortalare qualche dettaglio da mostrare ai lettori di questo quotidiano on line. Dovrò riorganizzare gli appunti perché le sensazioni, le ipotesi di funzionalità, i percorsi mentali fatti fino ad oggi, necessitano di qualche aggiustamento. Ringrazio per l’attenzione chi ha letto fino a questa riga e consiglio a tutti una visita al centro di restauro di Li Punti, merita un applauso per l’organizzazione, la cura espositiva, la competenza dimostrata e la disponibilità.

Le immagini mostrano l’interno della grande sala che accoglie le statue ricomposte.

2 commenti:

  1. Grandissima capacità nel trasferire le tue emozioni al riguardo, è sempre un piacere leggerti Pierluigi, grazie.

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