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lunedì 21 febbraio 2011

Il colle di Monte Claro, la culla della civiltà di Cagliari



La storia del colle di Monte Claro
di Pierluigi Montalbano.


Relazione presentata in occasione del ciclo di incontri sui colli cagliaritani organizzati dall'associazione Italia Nostra.

Fino alla seconda metà del XIX secolo, i maniaci di tutta l'Isola venivano abbandonati a se stessi o internati a Cagliari, in due locali ricavati nei sotterranei dell'Ospedale civico "S. Antonio Abate". Nel 1859, nel nuovo ospedale civile "S. Giovanni di Dio" fu aperta, tra le altre, la clinica psichiatrica, che migliorò di molto le sorti dei malati di mente e segnò una svolta nel loro trattamento e quindi anche nella storia della psichiatria isolana.
Le testimonianze più remote del sito comparvero durante i lavori di fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, quando i ritrovamenti archeologici portarono alla luce le tracce di quella che gli studiosi hanno significativamente chiamato la Cultura di Monte Claro, e che si qualifica tra le più importanti della preistoria in area mediterranea. Il sito presenta continuità di frequentazione, con iscrizioni e frammenti di colonne riportati dal Canonico Giovanni Spano, che testimoniano l’epoca romana, sino alle testimonianze medievali quando la zona, di vocazione agricola, fu sede privilegiata per insediamenti monastici che favorirono il culto e la devozione per Santa Maria Chiara, con conseguente produzione di opere d’arte alcune delle quali tuttora conservate. Quando la Provincia di Cagliari prese in affitto il colle per costruire il nuovo ospedale psichiatrico alla fine dell’Ottocento, destinando la Villa ad alloggio del direttore, mantenne in efficienza gli orti e le vigne, così come erano nei secoli precedenti.

Il colle divenne una colonia agricola che contribuiva al sostentamento della struttura. La storia recente fissa come data fondamentale il 1978, quando la legge Basaglia impose la soppressione dei manicomi e ancora il 1998, quando gli ultimi ospiti abbandonarono la struttura ospedaliera. In questi anni l’amministrazione provinciale ha dedicato grande impegno al recupero dell’area e alla restituzione all’uso pubblico del grande parco e delle strutture che vi sono comprese. Spazi per i bambini, per iniziative ricreative e progetti culturali, a servizio della comunità.
Le vicende dell’area, fino a pochi anni fa inaccessibile per la presenza degli edifici ospedalieri, sono in evoluzione e la dolce collina di Monte Claro, mai urbanizzata nel corso dei secoli, oggi è fruibile come spazio verde. Il parco con le sue fontane, i laghetti e le numerose aree di sosta e di giochi per i più piccoli, hanno conquistato le preferenze di molte famiglie che lo frequentano per godere di un momento di quiete, lontane dal frastuono cittadino.
Questo luogo è ricco di un’importante storia millenaria che lo rende unico nel suo genere. Le notizie più antiche le fornisce Enrico Atzeni, che ha chiarito come, dal colle di Monte Claro, ubicato alla periferia orientale di Cagliari, derivi il nome di una delle più importanti culture della preistoria sarda e mediterranea, quella di Monte Claro. Evidenziata agli inizi del Novecento durante la fondazione dell’ospedale psichiatrico provinciale, e progressivamente approfondita nel corso di scavi e ricerche a partire dal secondo dopoguerra. Gli studi hanno evidenziato un contesto archeologico prenuragico dai caratteri originali e spiccatamente innovativi nelle tipologie tombali, nelle decorazioni e forme dell’artigianato ceramico, e nell’avanzata presenza della metallurgia del rame.

La ricerca scientifica attesta la presenza di questa cultura distribuita capillarmente nel territorio isolano in un periodo compreso fra 2700 e 2200 a.C., precedente agli assetti architettonici della civiltà nuragica dell’Età del Bronzo.
L’archeologa Donatella Salvi ha precisato che il sito riserva anche interessanti testimonianze d’età romana lungo la via denominata Is Stelladas, che univa Cagliari a Pirri. Si tratta di un’insieme di vie: Bacaredda, Ciusa, dei Valenzani, Santa Maria Chiara. Numerosi frammenti di colonne in marmo sparsi lungo il percorso oltre le colonne ancora visibili all’interno della chiesa di San Nicolò, frutto di spoglio da più antichi edifici. Dallo stesso luogo provenivano anche le colonne in granito che affiancano l’ingresso del regio Arsenale, oggi Cittadella dei Musei.
Numerose notizie arrivano sulla Via Is Stelladas che univa Cagliari e Pirri. Il percorso iniziava lungo la Via Giardini verso l’attuale Via Riva Villasanta, una delle strade che in età romana si allontanavano dalla città ed erano segnate da aree funerarie. Questo assetto si coglie già fra la Piazza Garibaldi e la Chiesa di San Domenico, dove è stato ritrovato un sarcofago durante la realizzazione della scuola Riva Villasanta, proprio alle spalle dell’abside di San Domenico. La strada diretta a Pirri percorreva Via Bacaredda dove, nel giardino di Giuseppe Millo e nei possedimenti Calvi, si sono trovati cippi a botte e capitelli con dediche funerarie. In corrispondenza del primo tratto di Via Riva Villasanta (tra via delle cicale e via dei grilli) è stato individuato il più antico insediamento umano di Cagliari, datato intorno al 3000 a.C., noto come villaggio di Terramaini e dotato di un’ampia cisterna romana che testimonia la continuità di frequentazione.

Il gruppo sociale ricordato nelle iscrizioni doveva godere di un buon livello di vita e di un certo grado di istruzione perché la realizzazione dei cippi costituiva un impegno economico, considerato che il calcare duro non è disponibile nei terreni sedimentari di Pirri e doveva essere trasportato dalle cave cagliaritane già sbozzato per la lavorazione finale. Inoltre la stesura dei testi a ricordo dei defunti suggerisce un buon grado di alfabetizzazione per leggere il ricordo scritto dei propri cari.
Altre tracce sono rappresentate da cippi e lastre con iscrizioni, risalenti ai primi secoli dopo Cristo, che denotano una committenza di buon livello e consentono di accertare l’esistenza di necropoli periferiche alla città, disposte lungo le strade di collegamento con l’entroterra. L’area di Monte Claro, ha spiegato Rossana Martorelli, presenta anche emergenze di epoca medievale risalenti ad un’epoca in cui la zona aveva una connotazione rurale caratterizzata dalla presenza di ville e piccoli insediamenti dove si svolgevano attività di tipo agro-pastorale, in grado di fornire alla città i prodotti per il fabbisogno interno e per l’esportazione attraverso il porto. A partire dal XI d.C. furono ceduti degli appezzamenti di terreno a piccole comunità religiose, spesso monastiche, dedite alla coltivazione dei campi.

A partire dal XI secolo furono ceduti alcuni appezzamenti di terreno a piccole comunità religiose monastiche dedite alla coltivazione dei campi, come attesta la chiesetta di Santa Maria de Vineis, donata ai vittorini di Marsiglia. La sua ubicazione, all’ingresso di Pirri, è sconosciuta. Dopo la conquista catalano aragonese di Cagliari del 1326, l’area di Monte Claro risultò compresa nella giurisdizione del capoluogo isolano. A quei tempi risale la chiesa di Santa Maria de Monte Claro, in riferimento ad un edificio di culto che gli studiosi ritengono collegato ad un insediamento cistercense.
Nel 1348 una catastrofe demografica, legata anche alla peste, colpì Cagliari e causò lo spopolamento dei piccoli centri. Tuttavia nel 1351 la villa di Santa Maria de Claro (villa significa piccolo aggregato rurale che si occupava di attività agro pastorali) era ancora abitata, dato che era tra i feudi della famiglia catalana dei San Clemente ai quali i giurati di alcune ville dovevano pagare dei dazi. Con la dominazione aragonese, molti territori e beni ecclesiastici, già pesantemente saccheggiati dai pisani e dai genovesi, vennero alienati e assegnati in feudo a famiglie vicine al re, che gestiva militarmente l’economia locale. Nel 1358 la villa è detta fatiscente a causa della guerra fra il regno d’Arborea e i catalani. Nel 1397 il Re Martino concesse il territorio della villa all’Università di Cagliari.
Una carta del 1442 riferisce che Antonio Pol legò alla cappella di San Pietro, in San Domenico, molti censi e 25 terreni intorno alla chiesa di Santa Maria Clara per adibirli a pascolo e coltivazioni.
Il piccolo borgo legato alla chiesetta è scomparso nel XVI secolo ma si ritiene siano i ruderi inglobati in una casa colonica ancora oggi visibile sulle pendici di Monte Claro. È da questo luogo che ebbe origine il culto e la devozione per Santa Maria Chiara (forse mai esistita), la cui origine fu il XIII secolo nel momento storico che coincide con la massima presenza dell’ordine cistercense. La chiesa di Sancta Maria Clara risulta menzionata nei documenti fino al 1550.
Nel 1604 alcuni inventari ricordano il trasferimento di arredi dalla chiesa di Santa Maria de Claro nella chiesa di san Pietro, oggi parrocchiale di Pirri, perché evidentemente l’edificio originario non era più frequentato. Nel 1701 la Causa Pia relativa a San Pietro a Pirri dispose spese per il restauro della Chiesa di Santa Maria Chiara, in occasione della visita del vescovo. Si trattava di una chiesa di impianto tardo-gotico catalano con trasformazioni barocche del ‘700, la costruzione della campana conservata oggi al municipio di Pirri che reca la scritta 1775 Santa Maria de Claro, e una cripta realizzata nel 1777.
Nel 1809, con la spesa di 164 lire, 3 soldi e 6 denari, Santa Maria Clara venne smantellata e le sue pietre trasportate a San Pietro di Pirri.
Non mancano notizie sul sito di Monte Claro dal 1600 al 1900 d.C., ricordate da Adriana Gallistru, quando il territorio, coltivato a orti, vigneti e frutteti, vide la presenza dei Gesuiti, che avevano acquisito un appezzamento in quest’area alla fine del ‘500. Nei secoli successivi abbiamo l’acquisizione di vaste aree della zona da parte di don Vincenzo Otger, di Giovanni Maria Angioy, ai quali si affiancò la vigna del conte Mossa, ricordato da Giovanna Deidda come uno dei più prestigiosi vinificatori dell’Ottocento. Il conte Mossa modernizzò la viticoltura sarda attraverso l’introduzione di nuovi macchinari e sperimentò nuove tecniche di vinificazione. Nel 1860, durante la proprietà del Conte Federico Mossa, l’azienda contava 839 alberi di olive, 320 di mandorle, 9 di albicocche, 30 di pere, 6 di carrube, 50 di fichi, 66 di prugne, 5 di ciliegie24 di melograno, 35 di pistacchio e lunghe siepi di fico d’india, 434 filari con 34632 viti. I processi di vinificazione erano seguiti personalmente dal conte, attento alla qualità dei vitigni e a miscelare con equilibrio le uve al momento della vendemmia per creare vini migliori, destinati ai più esigenti mercati di Torino, Genova, Milano, Napoli, Firenze e Roma. Produceva, fra gli altri, moscato, nasco, monica e malvasia, oltre una lista di vini da pasto, da taglio e da dessert. Non mancava il cosiddetto vinetto che veniva offerto quotidianamente ai lavoranti. Con il Calamattias di Monte Claro, ottenne la medaglia d’oro nel 1878 all’esposizione di Parigi, e l’anno seguente a Milano. Si prodigò affinché tutti i prodotti sardi, e non solo il vino, fossero commercializzati fuori dall’isola e trattenne una lunga corrispondenza con Francesco Cirio, industriale conserviero insieme al quale rifornì i mercati italiani, londinesi e parigini. Morì nel 1891 ma il premiato vigneto eredi conte Federico Mossa continuò l’attività fino agli inizi del XX secolo.
Alla fine dell’Ottocento si aprì un nuovo capitolo per il colle di Monte Claro e, come riferisce Anna Castellino, la Provincia di Cagliari progettò il nuovo ospedale psichiatrico organizzandolo secondo una tipologia detta “a villaggio”, ossia a padiglioni staccati, secondo un modello diffuso nei manicomi europei. L’antica Villa Clara fu destinata a residenza del direttore e della sua famiglia, mentre i rustici furono adattati a stalle, magazzini e alloggi della colonia agricola, predisposta per consentire la terapia del lavoro ai degenti validi, ma anche per garantire il sostentamento autonomo del manicomio. La colonia comprendeva un mandorleto, un frutteto una vigna e vari campi coltivati a legumi e ortaggi che: garantivano l’alimentazione dei degenti, ed erano anche fonte di ricavi attraverso la vendita fatta a medici e dipendenti dell’ospedale, ma anche a persone all’esterno.
La legge Basaglia del 1978 impose la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma Villa Clara continuò a funzionare per chi si trovava già ricoverato. Il grande cancello si chiuse il 18 Marzo 1998, con gli ultimi ospiti che, smarriti e increduli, si allontanarono per sempre dal loro antico ricovero.
Monte Claro nella preistoria cagliaritana
Tra il VI e il I Millennio a.C., le fonti articolano, lungo la fascia costiera sarda, antiche fasi neolitiche, con levigazione della pietra e le prime società agricole, ed eneolitiche, con la lavorazione dei primi metalli, per giungere alle fasi del Bronzo e del Ferro, che vedono la fioritura architettonica nuragica.
I primi nuclei cagliaritani sono dediti alla pesca e ad attività marinare, con proliferazione di villaggi di capanne nell’hinterland campidanesi. Intorno agli anni ’50, a seguito di ritrovamenti nei quartieri di La Vega e Sa Duchessa, si inquadra nell’area metropolitana l’importante cultura preistorica di Monte Claro, oggi diffusa in tutta la Sardegna con varianti territoriali. Questo periodo si pone a monte della civiltà nuragica, con forti concentrazioni nel meridione, specie nella Marmilla e nei territori campidanesi. Si documentano villaggi capannicoli, luoghi funerari con tombe di svariata tipologia, santuari a menhir, strutture con vani stretti e allungati edificati su zoccoli in pietra absidati e, verso il periodo finale, ciclopiche architetture megalitiche che paiono anticipare le successive strategie territoriali nuragiche. La realizzazione di grandi muragli poste a difesa di abitati o edificate su luoghi elevati sono un chiaro indizio di mutamenti nella società.
La muraglia più nota è quella di Monte Baranta di Olmedo, dove l’area dell’insediamento si colloca sul margine scosceso dell’altura, mentre la fortificazione è stata realizzata a sbarramento del lato più debole e aperto. Nel meridione dell’isola sono documentate sepolture in piccole fosse foderate da lastre o da piccole pietre come a San Gemiliano di Sestu e a sa Cruxi ‘e Murmuri di Sarroch. Nel Sulcis-Iglesiente le grotte naturali accolgono un numero consistente di defunti, tanto da diventare delle caverne-ossario.
Si tratta di una cultura che mostra un fiorente artigianato ceramico con elementi di riflesso mediterraneo conosciuto lungo le rotte legate all’espansione della metallurgia. Si notano nuovi stili decorativi in vasi di grande e piccolo formato, giare, olle, fiasche, boccali, piatti, scodelle, ciotole, tripodi e altri reperti con orli a tesa esterna e larghe anse a nastro.
Ornamenti geometrici a stralucido, con l’azione della stecca passata sulla superficie del vaso prima della cottura, o marcate scanalature orizzontali e verticali arricchiscono la produzione fittile. A volte si notano motivi a file di punti impressi o a piccoli triangoli intagliati.
Tra i prodotti dell’industria metallurgica, significativa la presenza di pugnali in rame a forma di foglia e con lungo e stretto codolo a verga ribattuta. È inoltre documentata per la prima volta l’utilizzazione del piombo per la realizzazione di grappe di restauro per i vasi. In pratica quando si rompeva un vaso venivano praticati dei fori nei frammenti combacianti e delle piccole strisce in piombo tenevano uniti i pezzi.
Nei rioni La Vega e Duchessa si notano tracce di affioramenti abitativi e una vasta area cimiteriale compresa tra la Casa dello Studente, Via Basilicata e Via Trentino, documentata da raggruppamenti sparsi di sepolcri a tombe ipogeiche mono e pluricellulari, con profondi pozzi d’accesso e camerette di sepoltura a forno. Il rituale funerario era l’inumazione primaria, con i defunti rannicchiati su un fianco. Alcune tombe multiple mostrano banconi perimetrali e battuti pavimentali con un denso strato di argilla rossa.

Il corredo funebre è ricco di ceramiche e presenta oggetti d’ornamento ed elementi metallici.
Nella fase finale della cultura Monte Claro, intorno al 2200 a.C., la Sardegna viene interessata dalla corrente culturale detta del Vaso Campaniforme, che ebbe ampia diffusione nell’Europa centro-occidentale. Questo nuovo periodo è caratterizzato da bicchieri a campana e dalla presenza di 3/4 piedi sui vasi, così da poter essere meglio posti sul fuoco. Sono denominati tripodi.
Al termine di questo periodo si assiste ad una cesura culturale caratterizzata dall’introduzione di grandi spade, scomparsa di decorazioni nelle ceramiche, scomparsa dei vasi tripodi ed edificazione dei primi protonuraghe.
I pazienti dell’ospedale e i loro assistenti furono le ultime genti di monte Claro, e l’archivio storico dell’antico nosocomio, con i suoi 16.000 fascicoli, costituisce ancora una voce propria.

Nelle immagini:
Alcune ceramiche rappresentative fotografate al museo di Cagliari
Disegni di una tomba multipla a pozzetto, con bancone perimetrale.
Veduta dall'alto della Cittadella della Salute

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