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lunedì 11 ottobre 2010

La civiltà minoica 2° parte di 3

L’arrivo di queste costruzioni straordinarie ed enigmatiche circa 1000 anni dopo l’introduzione dei metalli nell’isola, fu una tappa fondamentale per lo sviluppo della cultura minoica. Finora i palazzi sono stati rinvenuti a Cnosso e a Malia, sulla costa settentrionale, a Zakros a est e poi a Festos a sud ma gli archeologi sono convinti che ne siano stati realizzati almeno altri tre. Ognuno ha le proprie caratteristiche ma tutti sono delle variazioni su un unico tema: il labirinto. Ma chi ideò il primo? Le testimonianze suggeriscono che in questo periodo lavoratori tessili della Creta minoica potessero essere attivi in Egitto e in questo caso è possibile che durante il loro soggiorno abbiano fatto dello “spionaggio architettonico”. I cretesi non inventarono i labirinti, questo primato va assegnato ai dissidenti egizi che costruirono una tomba a forma di Dedalo vicino a Krokodilopolis, la città dei coccodrilli. (conosciuta come Medyet, Arsinoe, e in tempi moderni come Medinet El-Fayoum). Il labirinto egiziano non esiste più, ma è stato descritto dallo storico greco Erodoto che lo visitò nel V a.C. e narrò di stanze, corridoi e camere senza fine che gli riesce difficile riconoscere come un’opera dell’uomo. Se questa struttura ha impressionato a tal punto una persona che aveva familiarità con la magnificenza architettonica greca, non è difficile capire che impatto doveva avere avuto all’epoca della costruzione nel 1800 a.C. circa, quando le meraviglie del mondo erano meno numerose. 1500 anni prima di Erodoto i lavoratori cretesi tornarono a casa ammaliati come lui, raccontando storie su un edificio in grado di ingannare i sensi e lasciare il visitatore sbalordito. Mentre costruivano i loro capolavori forse avevano ancora in mente quella struttura egiziana. Visto che Creta è soggetta ai terremoti sarebbe stato più saggio da parte dei minoici studiare l’ingegneria strutturale invece di affinare le loro doti per il disegno. L’isola era il rifugio preferito del Dio Toro Poseidone, i cui ruggiti e fragori sotterranei annunciavano un disastro imminente. Intorno al 1700 a.C., appena 200 anni dopo la loro costruzione, i primi palazzi furono distrutti da una serie di terremoti devastanti. Se in parte erano stati costruiti per placare le ire degli dei, questa soluzione non durò molto ma il fatto che entro 50 anni dalla calamità nuovi palazzi più belli e più grandi dei primi furono ricostruiti nello stesso posto la dice lunga sulla capacità di recupero dei cretesi. In questo periodo, accanto ai palazzi, iniziò a comparire un nuovo tipo di edificio che testimonia l’evoluzione della Creta minoica: si tratta di ville in campagna, come quelle di Alikampos, circondate oggi come allora da vigneti. Creta nel Bronzo era un luogo problematico e incostante, scosso dai disastri naturali e non immune da quelli causati dall’uomo, ma se fossimo vissuti a Alikampos nel 1600 a.C., nell’età d’oro minoica, avremmo fatto la bella vita. Gli dei erano favorevoli e l’isola prosperava, ci saremmo potuti rilassare e godere i frutti della nostra cultura. I palazzi minoici sono stati paragonati ai monasteri medievali, il che farebbe di Alikampos e delle altre case signorili i punti di riferimento per la zona circostante. L’edificio principale era a tre piani, con belle stanze esposte ad est, perfette per godere del sole mattutino. Nella corte c’era un tempio e sul retro si trovavano delle grandi officine che conferivano al luogo un carattere molto attivo. Ma il collegamento più intimo della casa era con la terra, con i campi di grano, gli olivi e le viti. L’uva di Alikampos veniva portata in stanze munite di grandi torchi per la spremitura. La tecnica per produrre il vino era semplicissima: bastava mettere dentro i grappoli, togliersi i sandali, entrare nel torchio e iniziare a pestare. Questa regione produce ancora del buon vino, quindi è probabile che a quel tempo Alikampos fosse il vanto dell’isola, ma forse l’importanza di Alikampos sta in ciò che non si vede. Nonostante la ricchezza delle ville sparse nell’isola non c’è alcun segno di fortificazione mentre nello stesso periodo nella vicina penisola greca i signori micenei che in seguito avrebbero combattuto la guerra di Troia erano barricati in fortezze arroccate sulle alture, lontani dai centri abitati a valle. Qui potevano godere di una posizione dominante e si potevano rifugiare. Nella Creta minoica prevaleva uno spirito diverso: una decina di generazioni di cretesi poterono conoscere un’isola di grandiosi palazzi, attive città, porti fiorenti e belle ville che si affacciavano sul pacifico paesaggio agricolo. Si trattava di un paese autosufficiente. Ma questo mondo sofisticato si trovava sul filo di una lama: a 30 anni dalla sua costruzione Alikampos riportò i danni di un terremoto che non sarebbe stato l’ultimo. Data l’esistenza di fenomeni simili, il mondo doveva apparire ai minoici un luogo pieno di insidie e spaventoso, governato da forze potenti e talvolta vendicative, che non potevano essere comprese ma solo placate. Questo era lo spirito che prevaleva nella Creta dell’età dell’oro e venne rappresentato sottoforma di una ragazza formosa: la Dea dei Serpenti. Fu scoperta insieme al suo sottoposto, denominato “il sacerdote”, da Artur Evans a Cnosso. Nel suo diario c’è la descrizione del seno abbondante e il pezzo viene presentato come la migliore porcellana micenea. La dea e il suo sacerdote sono una bella coppia, con i loro abiti ricercati, il trucco e i gioielli, ma l’eleganza contrasta con il tocco di primordiale e di selvaggio che emanano. Lo sguardo feroce dei grandi occhi della dea fa da contraltare alla concentrazione statica del suo sacerdote, e il serpente gigantesco, lungo quasi tre metri, la stringe in un abbraccio protettivo che va dalla vita sottile fino alla sommità del copricapo. Nonostante il suo fascino e la forza sessuale, questa dea ispira rispetto e timore piuttosto che amore. Non abbiano notizie precise sulle credenze e sui rituali minoici ma ce ne sono interessanti nelle pietre e negli anelli-sigillo che nella Creta minoica venivano ampiamente usati come demarcatori di proprietà e di identità, e perfino come una specie di carta di credito del Bronzo. Un esame accurato di questi manufatti finemente intagliati, rivela un mondo rituale fatto di salmi e canti, danze rituali e del famoso salto del toro. In tutto questo avevano un ruolo determinante le sacerdotesse: la presenza di queste donne dominanti sarebbe la prova che nella Creta minoica si venerava la Dea Madre. Si pensa che il culto di questa suprema divinità femminile affondi le proprie radici nell’Età della Pietra e che abbia preceduto di decine di migliaia di anni il panteon di divinità maschili a cui siamo più abituati. La Dea Madre aveva potere su tutto ciò che contava veramente: dalla fertilità del suolo e degli animali al moto dei pianeti. Governava sulla vita e sulla morte, dal ventre alla tomba. L’esistenza di una divinità femminile suprema oggi è ampiamente dibattuta, più verosimilmente l’isola era affollata di divinità maggiori e minori, ciascuna con la propria sfera di influenza, come portare la pioggia, far maturare i raccolti, tenere sotto controllo i terribili terremoti. Le sacerdotesse ne erano le rappresentanti terrene e forse esercitavano anche una forma di controllo economico sullo sfruttamento e sulla distribuzione dei loro favori, quindi erano molto potenti. Ma non bisogna dimenticare che nel Bronzo, la relazione uomo-natura andava ben oltre la negoziazione e lo sfruttamento: erano sufficienti due cattivi raccolti per azzerare le scorte alimentari, quindi sarebbe stato da sciocchi dare per scontata la generosità della terra. Guidati dalle eleganti sacerdotesse i minoici impiegavano molto tempo e molte energie a corteggiare e placare queste forze della natura. Da molto tempo si riconosce che i palazzi avevano un ruolo centrale nei riti religiosi della Creta minoica, ma c’erano anche altri tipi di offerte ed esperienze religiose, forse meno raffinate ma non meno intense. Sulle vette delle montagne, in templi segreti, scavati nelle profondità delle caverne sacre, i narcotici avevano un ruolo importante nel definire i rapporti dei minoici con i loro dei. Li avvicinavano alle forze sfuggenti che controllavano le loro vite. Un effige della “dea con occhi vuoti” reca nel diadema semi di papavero, pronti per estrarne l’oppio. Le grotte hanno del soprannaturale e del terreno: mentre si ascoltano “crescere” le stalattiti, visi e corpi saltano fuori dalla roccia. Non è difficile immaginare le visioni scaturite dal volto della dea che annebbia la mente. Le esperienze in grotta erano primordiali e intense: la fede si avvicinava al fanatismo, i seguaci diventavano “veri” credenti. Ma che cosa accadeva a questi veri credenti quando c’era qualche problema? Quando le divinità in cui investivano tanto…apparivano indifferenti? I minoici lo avrebbero scoperto presto. Dopo poco più di 1500 anni di progresso, nella Creta minoica accadde qualcosa di disastroso: intorno al 1450 a.C. le città, i porti, le case di campagna e i palazzi vennero divorati dalle fiamme. Tutto eccetto il palazzo principale a Cnosso. Negli scavi di Haghia Triada si possono vedere ancora i segni dell’incendio che infuriò 3500 anni fa. Il magazzino del palazzo era pieno di giare grandissime, ciascuna delle quali poteva contenere 150 litri di olio d’oliva altamente infiammabile. L’incendio che vi si sviluppò è paragonabile a quello in una raffineria: il calore era così intenso che il pavimento in pietra si è fuso diventando vetro. Il punto è che questo incendio non fu accidentale. A Zakros, un piccolo centro nella parte più occidentale dell’isola, qualcuno ha perfino tolto il coperchio dai recipienti, in modo che l’olio bruciasse più facilmente.
Ma chi provocò questi attentati piromani contro queste strutture, e che cosa c’è dietro alla catastrofe che coinvolse tutta l’isola?

...domani la 3° e ultima parte

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