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martedì 5 ottobre 2010

I Monaci Vittorini 3° e ultima parte


Chiese romaniche dei monaci vittorini nel Meridione sardo di Roberto Coroneo
Uno degli elementi romanici è la volta a botte, copertura in pietra che ha la forma di un semicilindro poggiato su un ambiente sottostante. Anche la volta a crociera è tipicamente romanica ed è costituita dall’intersezione di due volte a botte. Un’altra caratteristica del romanico è l’utilizzo dei materiali di spoglio, cioè elementi architettonici in marmo o altri materiali che non vengono lavorati appositamente per l’edificio ma provengono da altri monumenti di età precedente, che per vari motivi crollano o vengono abbandonati: terme, templi, strade porticate. Vicino a San Saturnino esisteva in età romana un tempio del sole e certamente molti materiali arrivano da lì. Si notano i pezzi di colonna riutilizzati nel nuovo edificio.
Una logica analoga porta ad interpretare anche la chiesa di Sant’Antioco che, come quella cagliaritana, sorge su un’area cimiteriale (di età punica), viene dedicata a un martire locale (di età adrianea), alla metà del VI viene ricostruita in forma di croce con cupola centrale e nel 1089 viene donata ai monaci vittorini. Oggi la chiesa è stata restaurata ma la facciata non rispecchia i colori originali: giallino, rosa antico e azzurro spento, caratteristici degli intonaci del momento della costruzione, coerenti con quelli del Carmine di Oristano datata al XVIII secolo. Purtroppo il colore mattone assegnato dalla Soprintendenza crea uno stacco troppo forte fra gli elementi strutturali e il risultato non è piacevole. Dall’interno della chiesa si può accedere a una rete di cunicoli che mettono in relazione le tombe a camera di età fenicio punica con le catacombe cristiane. Anche in questa chiesa si possono distinguere due fasi fondamentali: la chiesa a croce cupolata originale e le strutture di ampliamento e ricostruzione che probabilmente sono frutto del restauro compiuto dai monaci vittorini. Fino al 1966, quando iniziarono i lavori di sistemazione voluti dal parroco Don Armeni, la chiesa si presentava completamente intonacata con un pavimento a quadrelli ottocentesco che oggi è sparito, così come gli intonaci che sono stati totalmente rimossi, riportando la chiesa ad una muratura a vista grazie alla quale si può osservare la tecnica costruttiva della cupola, realizzata con pietre di dimensioni omogenee. Non essendosi verificato alcun crollo, la cupola di Sant’Antioco permette di dedurre come si presentava quella di San Saturnino. Questa chiesa consentiva di mantenere vivo il culto per Sant’Antioco, uno dei santi più venerati nel meridione della Sardegna da allora fino ad oggi, in quanto Sant’Antioco è il patrono dell’intera Sardegna. L’interno della chiesa mostra le strutture bizantine originali alle quali si addossano le murature dell’ampliamento.

I monaci vittorini ebbero anche chiese più piccole, come ad esempio quella di Santa Caterina di Semelìa che si trova nel territorio comunale di Elmas ed è citata dalle fonti nel 1095. Non ha conservato molto della sua fase medievale ma si può intuire una semplice aula mononavata, con abside semicircolare a est. Una chiesa piccola che serviva certamente a una comunità di pochi monaci. Nel 1090 i Vittorini ottennero anche la chiesa di San Giorgio di Decimoputzu, trasformata nei secoli ma con facciata di tipiche forme romaniche. Il recente restauro ha visto la demolizione del bel portichetto che, pur non essendo attribuibile alla prima costruzione, le conferiva l’aspetto di una chiesa campestre, molto più elegante dell’odierna che mostra delle antiestetiche tamponature in cemento. Il portico a tettoia esisteva in molte chiese campestri ma oggi viene impietosamente demolito e sacrificato in nome di un presunto ritorno al “primitivo splendore”, laddove non è possibile ripristinare lo stato originario di un monumento trasformato nel tempo.
San Giorgio poteva essere una chiesa a tre navate, tipiche dell’età romanica, ricostruita con archi gotici in tempi successivi quando fu anche demolita l’abside dell’edificio romanico. Una sua ricostruzione porta a una verifica delle stesse dimensioni proporzionali della chiesa di Sant’Efisio di Nora. A Nora il portico costruito nel Settecento ha cancellato completamente la facciata originaria. Possiamo quindi utilizzare San Giorgio di Decimoputzu per capire come era la facciata di Sant’Efisio di Nora e, viceversa, utilizzare l’abside di Sant’Efisio per capire come era quello di San Giorgio. Queste due chiese sono contraddistinte da un’estrema sobrietà delle murature, senza archetti, senza semipilastri parietali (lesene), senza decorazioni, un modo di concepire l’architettura che si basa sulla maestosità e grandiosità delle strutture murarie, tipico dell’XI secolo.
Sant’Efisio di Nora nel 1089 viene donata ai monaci vittorini. Non conserva tracce evidenti di una chiesa più antica perché i monaci la ricostruiscono integralmente. Della prima chiesa non conosciamo la cronologia, ma fu costruita sulla tomba del martire Efisio che, secondo la tradizione, fu condotto a Nora per essere decapitato ai piedi della rupe di Coltellazzo e poi sepolto fuori le mura della città, nel punto dove oggi sorge la chiesa, poiché la legge romana proibiva le sepolture dentro le mura. Gli scavi hanno recuperato il tracciato di un’antica chiesa dentro la città, vicino alle terme a mare. È parzialmente sommersa e si presenta a tre navate. Fuori dalla città sorse il santuario di Efisio dal quale nel 1088 i pisani sottrassero le reliquie del santo per portarle a Pisa dove si sviluppò un culto. Nel camposanto toscano esiste traccia degli affreschi di Pinello Aretino che raffigurano Sant’Efisio e i compagni del martirio. Visto che la chiesa dentro le mura non era recuperabile, i Vittorini decisero di demolirla ed edificarne una di forme romaniche.
I blocchi utilizzati per le pareti sono grandi, lisci, ben squadrati e forse provengono dalle mura in rovina della città. La cripta dove si trovavano le reliquie del santo è ancora oggi accessibile. L’aula è divisa in tre navate da robusti pilastri e termina a est con la muratura semicircolare dell’abside. La copertura è in pietra con volte a botte su vani a pianta rettangolare. In due navate le volte sono divise da sottarchi, un elemento tipico della prima età romanica. La chiesa conserva traccia del passato punico della città: nella muratura romanica del fianco si nota inserita una piccola stele, un blocco parallelepipedo con una figura umana mummiforme, quindi egittizzante, che forse arriva dal tofet, cimitero infantile di Nora riportato alla luce a ridosso della chiesa da una mareggiata avvenuta una notte del 1888.

Fonte: atti del convegno di Nora nell'ambito della rassegna "Viaggi e Letture" a cura di Pierluigi Montalbano

Nelle foto di Sara Montalbano il paesaggio di Nora

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