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domenica 3 ottobre 2010

I Monaci Vittorini 1° parte di 3


Chiese romaniche dei monaci vittorini nel Meridione sardo
di Roberto Coroneo


Prima di analizzare il contributo che l’ordine dei monaci benedettini provenienti dall’abbazia di San Vittore di Marsiglia diede alla costituzione del patrimonio architettonico sardo, è opportuna una sintesi degli avvenimenti storici che precedono l’avvento della civiltà monastica in Sardegna.
Nel VI secolo l’imperatore Giustiniano, che governò l’impero romano dopo il trasferimento della sua capitale da Roma a Costantinopoli (oggi Istanbul in Turchia), concepisce il progetto ambizioso di riunificate l’impero romano riportando sotto il controllo della corte quei territori occidentali che, posti all’estremità occidentale dell’Europa, erano caduti in mano ai cosiddetti barbari. Si tratta di quei regni romano barbarici che si erano formati a seguito della crisi della parte occidentale dell’impero romano. Il progetto prevede la riconquista dell’Africa, occupata dai Vandali che avevano stabilito un regno che aveva come centro Cartagine; dell’Italia, caduta sotto il controllo del regno ostrogotico di Teodorico; della Spagna, che era andata incontro a un destino storico che l’aveva portata sotto il regno dei Visigoti. Essendo un progetto impegnativo e costoso, Giustiniano riesce a realizzarlo solo in parte.
Nell’ambito di questo progetto, la riconquista dell’Africa nel 533-534 viene realizzata nel corso di una guerra lampo e porta al controllo da parte dell’impero bizantino anche della Sardegna. Si determina così una prima importante particolarità della storia della Sardegna. Mentre il resto d’Italia cade prima sotto il controllo dei Longobardi, poi sotto Carlo Magno entrando nell’orbita dell’impero carolingio, poi segue l’impero germanico con gli Ottoni, la Sardegna resta tagliata fuori da tutti questi avvenimenti perché dal 534 resterà sotto la totale dipendenza dall’impero romano di Costantinopoli per i successivi cinque secoli, fino al 1000 circa. Ciò non significa che la Sardegna restò isolata, poiché esistevano rapporti diplomatici con la corte dell’impero carolingio, con i ducati bizantini di Gaeta, Amalfi e Napoli che garantivano il collegamento con Costantinopoli e con l’estremità orientale dell’impero.
Fra il 950 e il 1050 il processo di graduale emancipazione politica porta all’allontanamento dell’isola da Bisanzio e alla creazione di quattro regni autonomi. Attorno al 1060 vediamo configurata una Sardegna non più unitaria, ma divisa in giudicati. Non dipende più dall’arconte di Sardegna che, a sua volta, era emanazione della corte di Costantinopoli, ma viene divisa in quattro regni, definiti giudicati. Essi avevano propri confini, erano divisi in curatorie, erano autonomi e ogni personaggio posto al comando, il re o giudice, era un’autorità suprema. Erano quindi dei regni, nel senso medievale del termine. All’inizio del 1000 la Sardegna incontra delle difficoltà dovute alle incursioni di genti islamiche, comandate da Mugahid, che non sono scorrerie, ma vere e proprie invasioni durate alcuni anni. Tutto ciò stimolò i ceti aristocratici locali a combattere e a rinsaldare il proprio potere e, forse, è proprio questo il momento di costituzione effettiva dei giudicati, il termine di un processo che ha radici nei secoli precedenti.

Un altro fattore importante della cosiddetta “rivoluzione dell’anno Mille” che anche nel resto d’Europa ha comportato innovazioni in campo agricolo e trasformazioni nella società del tempo, è costituito dallo “scisma d’Oriente”. È il momento in cui la Chiesa si divide dando luogo al patriarcato di Costantinopoli e al papato di Roma: due distinte autorità a capo di due distinte Chiese che da quel momento avranno una vita autonoma l’una dall’altra, fino ad oggi.
Lo scisma d’Oriente pose ai giudici e all’aristocrazia sarda il problema della direzione verso cui andare. Si potevano rinsaldare i rapporti con il patriarcato di Costantinopoli oppure riconoscersi nell’Occidente e consolidare i rapporti col papato romano. Fra le due alternative è facile capire che la scelta vincente fosse quella di Roma, perché Costantinopoli era lontana e il potere imperiale veniva percepito come distante. Il papato romano poteva legittimare il potere giudicale e, infatti, nel corso della loro storia, i giudici cercheranno sempre un riconoscimento della loro autonomia da parte della Chiesa di Roma.
In questo quadro si può collocare l’esigenza, da parte dei giudici, di riqualificare il contesto isolano dal punto di vista della devozione, rilanciando il culto dei martiri e chiedendo al papa l’invio di monaci benedettini che venissero in Sardegna per insegnare, per istruire la popolazione e alfabetizzarla, almeno nei ceti più alti. Tutto ciò si tradusse in una crescita anche economica perché le comunità dei monaci benedettini che arrivarono furono in grado di impiantare un sistema fatto di unità organizzate, di piccole cellule nate come aziende agricole autosufficienti, in grado di far progredire economicamente il tessuto locale. Si assiste dunque alle richieste da parte dei giudici di monaci che si trasferissero in Sardegna, che creassero dei monasteri, che lavorassero, che edificassero per il bene della popolazione, sia come cura delle anime sia come crescita economica del territorio. Questi luoghi controllavano capillarmente le risorse agro-pastorali, versando le decime per la Chiesa ma disseminando il territorio di risultati positivi.

Nel 1063 il giudice di Torres chiede a Montecassino l’invio di una comunità di monaci cassinesi ma durante il viaggio la nave viene assalita da pirati tirrenici, forse pisani, e la spedizione non va a buon fine. Dopo due anni l’invio riesce e nel 1065, nella zona di Ardara a sud di Sassari, nel Logudoro, si insediano due comunità cassinesi che fondano due chiese: Santa Maria di Mesumundu e Sant’Elia di Montesanto. Seguiranno altri arrivi di monaci cassinesi, camaldolesi, vallombrosani e, qualche decina di anni dopo, arriveranno anche i cistercensi. Questi apporti dall’esterno rivitalizzano il tessuto locale, sia in termini economici sia culturali.
Da Marsiglia, in Provenza, arrivano i monaci vittorini dall’abbazia di San Vittore. Questa chiesa costituisce un importante archivio di documenti che consentono di ricostruire la storia dell’ordine vittorino in Sardegna. Questi monaci sono chiamati dai giudici di Gallura e da quelli di Cagliari. La Gallura non ha conservato tracce consistenti della presenza di questi monaci, ma il giudicato di Cagliari mostra evidenti segni dell’attività dei Vittorini. Svolsero un ruolo di primo piano nella gestione della politica culturale ed economica. A Cagliari ebbero il controllo delle saline e dei porti per l’imbarco del sale, un centro nevralgico del tessuto produttivo cagliaritano.

Fonte: atti del convegno di Nora nell'ambito della rassegna "Viaggi e Letture" a cura di Pierluigi Montalbano

Le mmagini delle chiese di San Giorgio di Decimoputzu, Santa Caterina di Semelia e Sant'Efisio di Nora sono di www.amigosdelromanico.org, www.flickr.com (by Roberto Serra), e flickr.com

2 commenti:

  1. sono finita qui "per caso" ma il caso non esiste! Esiste lo splendore della Verità! Grazie per questo blog meraviglioso. Gabriella

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