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sabato 30 ottobre 2010

Vi racconto una storia...


Sardo,
di Pierluigi Montalbano

Era una notte d’estate e Sardo decise di avvicinarsi al mare e guardare l’orizzonte. Il buio era ovunque, la vegetazione schermava le poche luci del villaggio, il cielo era scuro e immenso, ma una grande luna, luminosa e bruna, si specchiava vicino all’isola che ogni giorno offriva i suoi frutti e proteggeva dal caldo sole la famiglia dell’uomo. La risacca batteva aritmicamente confondendosi con la brezza notturna e lontano, all’interno del villaggio, un vociare confuso non consentiva a Sardo di ascoltare il vuoto silenzio della immensità marina. Si immerse in quelle acque nere, fresche e profonde che purificavano l’anima e il corpo, e per qualche istante il mondo che lo circondava svanì. Iniziò a nuotare e il respiro si fece sempre più rapido. Intanto a Kertos, così era chiamato il villaggio di Sardo, gli ultimi fuochi erano stati spenti dai sacerdoti del tempio e tre uomini iniziavano il loro turno di sorveglianza. La ripida salita che conduceva allo strapiombo era illuminata dal bagliore della luna e da lassù un suono di corno avvisava che la notte era tranquilla. Quando i tre uomini arrivarono sulla torre che dominava sul villaggio, le sentinelle che avevano terminato il proprio turno si spogliarono dell’armatura e indossarono le bianche vesti di lino per rientrare a valle, a Kertos, consumare l’ultimo pasto della giornata e riposare con le loro mogli. Era dura la vita nel villaggio per chi doveva sorvegliare la comunità. Turni di una giornata si alternavano con un ciclo di riposo che durava altrettanto. Erano 200 le persone che vivevano a Kertos, ma solo 10, in periodo di pace, si occupavano della guardia: due al tempio e tre alla torre divisi in due turni. Sardo, intanto, era rientrato all’asciutto e a passo lento si avvicinava al villaggio percorrendo quel sentiero che fra lentischio e ginepro conduceva alla capanna delle capre, il luogo nel quale trascorreva la notte ormai da 10 lunghi anni. Era solo un bimbo quando suo padre Pireo, l’allevatore giunto dal mare, gli affidò gli animali insegnandogli a governarli. Non c’era riposo in quel lavoro, ma le bestie offrivano latte tutti i giorni e carne quando era necessario. Ogni luna nascente un capretto era sacrificato alle divinità. Il sangue era raccolto nella coppa e, con formule rituali, versato nella vasca. Gli organi interni venivano disposti sull’altare e consacrati. La testa, le zampe e la coda offerti in olocausto e la carne divisa per essere consumata dalla comunità. Altri 9 erano gli allevatori di Kertos, e quando la comunità si riuniva per il banchetto rituale le 10 bestie erano sufficienti a sfamare anche le donne, i bambini e i vecchi. Le parti migliori erano per le guardie del villaggio, per i 2 sacerdoti e per il capo, il pastore che guidava il popolo. Il conferimento degli animali per l’offerta era un giorno di gioia per Sardo. Gli era stato insegnato che la generosità e l’altruismo erano i presupposti per una vita felice. Quando sceglieva la capra sapeva bene che la più sana e bella del gregge sarebbe stata gradita al suo Dio, e prima di ucciderla tagliava una ciocca dal mantello e la metteva da parte per donarla al nipote e rinnovare un rito speciale, magico, lontano nei tempi. I padri della comunità raccontavano che un tempo, quando si viveva sotto le rocce vicine al fiume, i bambini dovevano preparare un piccolo giaciglio con la lana consacrata alla divinità, e quando riuscivano a completarlo nella larghezza di un braccio e la lunghezza di tre, erano pronti all’iniziazione. La tradizione imponeva che la promessa sposa era incaricata di confezionare un tessuto da imbottire con la lana preparata dallo sposo e quando i giovani avrebbero raggiunto l’obiettivo imposto dalla legge matrimoniale sarebbero iniziati i cerimoniali con la benedizione delle famiglie e la preparazione del materiale per costruire la casa. Tutti i giovani del villaggio, maschi e femmine, trascorrevano l’infanzia dividendo la giornata in tre fasi della stessa durata: il lavoro nei campi e con gli animali, la preparazione dei cibi e la loro consumazione, e il riposo. Solo nell’ultima fase potevano dedicarsi alla preparazione del dono nuziale. I migliori riuscivano nell’intento prima del compimento dei 10 anni, e solo allora potevano chiedere agli anziani della comunità quali sarebbero state le prove da superare nel rito di iniziazione.
Uomini e donne avrebbero preparato un terreno di 10 braccia per lato e all’interno avrebbero trasportato tutto il materiale che serviva per preparare la futura casa. Nei momenti di riposo i giovani avrebbero potuto tagliare i rami, accumulare il fango per le pareti e lavorare le pietre per la base della capanna. Le fibre vegetali per legare le fronde alla struttura sarebbero state fornite dalla comunità, già pronte in forti legacci preparati dalle donne già sposate e in attesa di figli. Il lavoro dei campi è duro per le mamme gravide e la comunità non consente che i nascituri siano a rischio di sopravvivenza nel ventre materno.

...domani la seconda parte di questo breve racconto che ho scritto oggi. Anche se non si tratta di letteratura scientifica, siete pregati di citare fonte e autore, chissà che un giorno mi decida a scrivere l'intera vita di questa comunità che vive nella mia fantasia. :)

Nell'immagine: il capotribù, tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica

Cronologia dei giganti di Monte Prama 2° e ultima parte


Un dato, purtroppo solo soggettivo, è suggerito dalla persistenza della simbologia utilizzata dai nuragici. Abbiamo già visto che la pietra, oltre il toro e la Dea Madre, è divinizzata fin dalle epoche precedenti, sia in ambito funerario che pubblico. Il passaggio all’età del Bronzo accentua questo simbolismo, e le costruzioni ciclopiche sono ancora lì, a disposizione degli archeologi per essere studiate, interpretate e, si spera, capite.
Nuraghe, tombe dei giganti e pozzi, pur senza indagare sulle rispettive funzionalità, sono un’evidente segno della volontà, da parte delle comunità nuragiche, di regalare maestosità, prestigio e magnificenza ai simboli legati alla pietra. Pur peccando di scarsa scientificità, si potrebbe avanzare l’ipotesi che le tombe dei giganti siano un concentrato di divinità: il culto degli antenati, il simbolo taurino e la rappresentazione dell’utero, espressi con la pietra. Ma anche i pozzi e i nuraghe, con la l’indubbia manifestazione di perizia tecnica messa in mostra dai nuragici, racchiudono la volontà di esprimere sacralità con la pietra.
Visto che nei frammenti di Monte Prama non vi sono pozzi o tombe miniaturizzati, è preferibile soffermarci sul simbolismo espresso dai nuraghe. Possiamo segnalare il parere di autorevoli studiosi che vedono in questi edifici la divinizzazione degli antenati, o la costruzione di strutture legate al sole, alla luna o, ancora, luoghi nei quali la comunità si identifica. Le imponenti torri nuragiche sono forti indicatori di protezione, sotto la quale le comunità che le avevano edificate si riunivano per governare, celebrare riti civili e religiosi, ringraziare gli dei e prepararsi al futuro. Non è importante decidere in questa sede se quelle comunità erano prevalentemente pacifiche o bellicose, il nostro interesse deve focalizzarsi solo sulla cronologia.

Il simbolismo, ossia la divinizzazione della torre in pietra, è stato mantenuto per un migliaio di anni con varie modifiche interessanti. Quella che colpisce più da vicino questo studio è la miniaturizzazione, avvenuta a partire dal X a.C., e la creazione di grandi capanne con sedili, fornite di altari, vasche, nicchie e betili. Il nucleo di questa indagine è fissare, con ragionevole certezza, il periodo di costruzione delle statue giganti, e occorre perciò stabilire anzitutto quando si decise di realizzare piccole torri simboliche e trasportarle all’interno delle capanne delle riunioni.
Abbiamo visto che queste capanne furono edificate all’esterno dei nuraghe, sopra strutture più antiche, ma si volle mantenere intatto il simbolismo miniaturizzando le torri, disponendole al centro delle nuove costruzioni e inserendole in basamenti circolari, quasi a voler mantenere integro l’ombrello protettivo sotto il quale prendere le decisioni sulla sorte della comunità. Questo simbolismo è proprio ciò che è stato portato alla luce a Monte Prama. I nuragici realizzarono, oltre le statue giganti, delle piccole torri nelle quali fu racchiusa ideologicamente la divinità, idoli in pietra intorno ai quali l’assemblea si riuniva, dedicava le offerte ed eseguiva riti e cerimoniali a noi solo parzialmente conosciuti. Gli archeologi hanno, inoltre, individuato resti di volatili, piccoli canali per far defluire i liquidi, altari, vasche e residui derivanti da fuochi.

Due importanti luoghi di culto sono stati scavati a Villanovafranca e Sorradile. Gli archeologi hanno portato alla luce due altari nei quali è evidente la volontà di unire la piccola torre e la vasca, unendo il fuoco e l’acqua nel rito rappresentato sulla pietra. Sono manufatti particolari che riunivano i simboli e i cerimoniali, civili e religiosi, cari alle popolazioni nuragiche. La peculiarità di queste vasche, rispetto a quelle utilizzate in passato, è quella di essere state inserite all’interno di nuraghe. Testimoniano senza dubbio alcuno, l’utilizzo dei nuraghe come luoghi di culto. Possiamo cronologicamente inquadrare la miniaturizzazione delle torri verso la fine del X a.C. e la costruzione di queste vasche nel IX a.C.
Visto che i piccoli nuraghe restaurati a Li Punti non fanno parte integrante di vasche e non sono stati ritrovati all’interno di nuraghe, possiamo affermare con ragionevole certezza che furono scolpiti fra la seconda metà del X e la prima metà del IX a.C.

La miniaturizzazione divenne un elemento costante a partire da quel periodo, infatti proprio dalla fine del IX a.C. la bronzistica figurata ci ha regalato una miniera di informazioni sulla civiltà nuragica. Usi, costumi, tradizioni, religiosità, animali, barche e oggetti vari sono rappresentati nei minimi particolari dalle esperte mani di maestri fonditori del bronzo che utilizzarono una tecnica ancora oggi difficoltosa e costosissima: la fusione a cera persa.
Il forte simbolismo ereditato dagli antenati diviene la chiave di volta per capire il mondo nuragico. Acqua, fuoco, pietra (terra) e divinità (cielo) sono racchiusi nei manufatti nuragici che si possono oggi ammirare nei musei di tutto il mondo.
Anche le piccole barche bronzee suggeriscono questa simbologia e furono concepite proprio per unire un nuovo elemento, la marineria, a quelli già cari ai sardi. I rapporti con i popoli oltremare erano maturi e non a caso proprio nelle coste etrusche e in vari altri approdi sono state ritrovate navicelle ancora intatte, in contesti funerari del Ferro, a dimostrare che la miniaturizzazione fu l’elemento principe della nuova società.
I giganti di Monte Prama furono rappresentati da una civiltà che cambiava e fondeva la propria cultura con gli apporti dei nuovi arrivati. Mantenne l’identità precedente e si arricchì delle esperienze dei navigatori, senza con ciò voler affermare che i nuovi arrivati erano estranei al mondo sardo. Le società che si affacciano sul mare sono da sempre pronte a cogliere ogni innovazione arrivi dall’esterno, e la Sardegna, essendo un’isola con posizione strategica impareggiabile e risorse minerarie abbondanti, fu il centro di raccolta e smistamento di tutto ciò che transitava fra le sponde del Mediterraneo.
Le immagini, di Sara Montalbano, sono realizzate al centro di restauro di Li Punti

venerdì 29 ottobre 2010

Cronologia dei giganti di Monte Prama 1° parte di 2


Il ritrovamento nel 1974 degli oltre 5000 frammenti di statue che hanno consentito la ricostruzione, che ancora oggi procede, dei “Giganti di Monte Prama” consente di aggiungere un piccolo tassello alla cronologia della storia della Sardegna (Tronchetti, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/le-rotonde-nuragiche.html). Insieme alle statue, il lavoro di restauro curato dai tecnici del centro di Li Punti ha riportato in essere alcuni nuraghe miniaturizzati a una o più torri. Pur essendo poco rilevante per questo lavoro stabilire il ruolo dei personaggi rappresentati, e la funzione simbolica dei nuraghe miniaturizzati, lo studio iconografico indica con precisione chi furono i committenti di queste sculture e chiarisce, senza alcun dubbio, che la civiltà nuragica era capace di organizzare tecnicamente e ideologicamente la rappresentazione della propria cultura. È chiaro l’intento di autocelebrarsi da parte di una o più comunità che si riconoscevano nei nuraghe e nei guerrieri rappresentati anche nei bronzetti, alcuni dei quali coevi. Considerato che nessun ricercatore registra per quel periodo dati archeologici che mostrano tracce di guerre importanti, si tratta dunque della rappresentazione di eroi di guerre del passato scolpiti in posa da parata, ma occorre segnalare che uno studioso afferma che i Guerrieri di Monte Prama erano la guardia del corpo del Sardus Pater, dio nazionale dei Nuragici, nel tempio a lui dedicato nel Sinis (Pittau, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/ancora-sulle-statue-di-monte-prama.html).
Il più importante testo scritto sardo che l’archeologia indaga ormai da oltre un secolo, è la Stele di Nora. Nella sua traduzione si sono cimentati numerosi studiosi senza arrivare, per il momento, ad una condivisione di significato. In questa stele, scritta in caratteri fenici, non si segnalano al momento incisioni la cui traduzione riporti a battaglie. Anch’essa è cronologicamente inquadrabile all’epoca delle statue di Monte Prama. (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/la-stele-di-nora-1-parte-scrittura.html)(Montalbano, vedi, inoltre, http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/la-stele-di-nora-2-parte-scrittura.html).
I segni di scrittura finora ritrovati ed esaminati su altri manufatti, ad esempio nei lingotti ox-hide in rame e in alcune ceramiche, indicano misure ponderali, timbri di botteghe metallurgiche o, secondo qualche studioso, simboli religiosi. Nulla, quindi, che mostra battaglie epiche, invasioni e trattati di pace, niente di tanto rilevante da essere scolpito nella pietra, così come accadde, invece, in Egitto all’epoca dei faraoni ramessidi. Le statue rappresentano personaggi facenti parte di un mito entrato nella tradizione dei sardi nuragici, ed essendo in pietra sono frutto della volontà, da parte dei committenti, di immortalare questo mito in maniera durevole.
È curioso registrare che i frammenti sono stati riportati alla luce in uno scavo eseguito sopra una necropoli di 33/34 tombe a pozzetto allineate, tipicamente nuragiche e cronologicamente attestate dagli studiosi intorno all’inizio dell’VIII a.C., quasi a significare che in ognuna delle sepolture riposasse il corpo di uno dei guerrieri rappresentati. Ma alcuni ricercatori ritengono che le statue furono frantumate altrove, nelle vicinanze, e trasportate sulla necropoli, attribuita ai punici e utilizzata, in seguito, come discarica. (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/05/monte-prama-i-giganti.html).
Per questa analisi mirata a stabilire la cronologia dei giganti, non è importante indagare oltre su questo punto, e analizzerò quasi esclusivamente i dati archeologici comparativi, cercando di evitare ipotesi non suffragate da dati oggettivi.

I giganti sono facilmente distinguibili in alcune categorie tipologiche, già segnalate dagli studiosi: guerrieri e piccoli nuraghe. I primi, a loro volta, si classificano in arcieri, spadaccini con scudo rotondo e soldati armati di maglio nella mano destra, mentre nella mano sinistra, tenuta sopra la testa, stringono uno scudo flessibile, rinforzato con stecche longitudinali. Gli altri manufatti, i piccoli nuraghe si possono suddividere in edifici ad una o più torri.
Per evitare di instradarmi verso una classificazione che sarebbe più soggettiva che scientifica, inserirò solo successivamente il mio pensiero sui guerrieri (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/i-corridori-di-monte-prama.html) e preferisco ora concentrare l’attenzione sulle torri, non perché i primi siano meno importanti ma solo per focalizzare al meglio la cronologia. Mi preme tuttavia sottolineare l’atipicità di voler ingigantire gli eroi e rimpicciolire gli edifici, a suggerire forse che in quel periodo ci fu un’evoluzione o un cambiamento dei rapporti sociali e delle gerarchie. Chi si era distinto in operazioni militari o aveva ricoperto incarichi prestigiosi, era posto quasi allo stesso livello delle divinità e veniva simbolicamente rappresentato nella statuaria in pietra.
I piccoli nuraghe ricomposti dai tecnici del Centro di restauro di Li Punti sono ben conosciuti in ambito sardo nuragico. Si tratta di quei caratteristici manufatti ritrovati al centro di alcune grandi capanne dotate di banconi per sedersi in circolo, denominate “capanne delle riunioni”, ubicate nei siti di maggiore interesse archeologico, e sempre cronologicamente attestate a partire dal X a.C. Possiamo già, dunque, eliminare senza indugio alcuno, per la nostra ricerca sulla cronologia delle statue giganti di Monte Prama, tutti i riferimenti cronologici anteriori a questo X secolo (Moravetti, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/le-rotonde-nuragiche.html) (Derudas, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/ancora-sulle-rotonde.html). Nei siti nuragici gli archeologi hanno, infatti, portato alla luce differenti tipologie di manufatti che indicano, per i periodi precedenti, facies culturali che si avvalgono di rappresentazioni che non corrispondono a quelle da noi analizzate.

Altro elemento da scartare con veemenza è la possibilità che i committenti siano esterni all’isola. Chi mai potrebbe amplificare la gloria di un popolo dopo averlo assoggettato militarmente, o comunque conquistato? Le statue sono sarde nuragiche, come chi le ha commissionate. Su questo punto non si possono accettare, né ci sono al momento, altre ipotesi concrete. La bottega artigianale che le ha riprodotte era locale, pur non essendo possibile provarlo scientificamente, e il materiale da costruzione proviene dalle cave di calcare oristanesi. Il luogo di ritrovamento è ubicato nel territorio di Cabras, tuttavia alcuni studiosi ipotizzano, a giudicare da qualche elemento formale delle statue, una scuola assira o, almeno, un artigiano “prestato” dal vicino oriente, opinione dello studioso Rendeli.
Non deve sorprendere che il sito di ritrovamento delle statue di Monte Prama sia in prossimità della costa, e dunque del mare, perché i sardi in quel periodo avevano forti collegamenti con l’esterno, come dimostrato dagli studi pubblicati dagli archeologi sui materiali d’importazione e sui manufatti sardi rinvenuti fuori dall’isola. Inoltre le popolazioni nuragiche erano ben coscienti di vivere in un isola, circondati dal mare, e avevano individuato nelle coste quei luoghi nei quali poter svolgere favorevoli intermediazioni con le popolazioni d’oltremare. Quale miglior luogo avrebbero potuto scegliere i nuragici per posizionare delle statue tanto imponenti e rappresentative della propria civiltà?
Ritorniamo ai piccoli nuraghe rappresentati con precisione calligrafica. I ritrovamenti significativi di questi manufatti, come già segnalato nelle note 5 e 6, sono stati fatti ad Alghero, nella capanna delle riunioni del nuraghe Palmavera, nella grande capanna circolare del nuraghe di Punta Unossi, a Su Nuraxi di Barumini nel vano 80, nella capanna 1 del Losa, nel Santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, e possiamo certamente inserire in questa tipologia, pur se di poco successivi, anche quello scolpito nell’altare-vasca scavata da Ugas all’interno del vano E del nuraghe Su Mulinu a Villanovafranca, e quello scolpito nell’altare-vasca di Su Monte di Sorradile. Tutti questi ritrovamenti sono inquadrabili in contesti che vanno dall’inizio del IX fino all’VIII a.C. Già da solo questo fatto sgombrerebbe il campo da ipotesi cronologiche differenti, ma per correttezza metodologica preferisco approfondire con altre indagini.

...domani la 2° e ultima parte

Immagini tratte da www.monteprama.it

mercoledì 27 ottobre 2010

...ancora sulle "rotonde".


Il complesso archeologico di Punta Unossi
di Derudas, 2006

Florinas è raggiungibile dalla SS 131, ove al Km. 193,300 si imbocca la strada provinciale che conduce al centro urbano; percorrendo via Roma si prosegue dritti per circa 500 metri e, seguendo la segnaletica turistica, si svolta a destra immettendosi nella strada comunale di Santa Maria ‘e Sea. Il percorso, solo in parte asfaltato, è percorribile con mezzi ordinari: si prosegue per circa 1.200 Km e si lascia l’auto 100 metri prima di un abbeveratoio che sorge in uno spiazzo. Si prosegue a piedi lungo un antico tratturo, ora ripristinato, che giunge sino al sito.
Il complesso archeologico di Punta Unossi si inquadra tra i cosiddetti villaggi-santuario di epoca nuragica caratterizzati comunemente, oltre che da capanne d’uso civile e pubblico, dalla presenza di edifici funzionali al culto delle acque che, come è noto, costituisce uno degli aspetti principali della religiosità paleosarda.
Nel 2004 (nelle more dell’edizione del volume 43-45 del Bollettino d’Archeologia del 1997), è stato pubblicato uno studio a cura di Lo Schiavo con un titolo emblematico Le “Rotonde”: un nuovo tipo di tempio nuragico. Si tratta di una rassegna complessiva su questa tipologia di monumenti nell’ambito della quale sono state oggetto di disamina le “Rotonde” di Punta Unossi e di Giorrè.
Buona parte delle “Rotonde” sono ubicate nella Sardegna nord occidentale: due sono state messe in luce in ambedue i villaggi-santuario di Florinas (Punta Unossi e Giorrè), una nell’area sacra di Serra Niedda-Sorso e in quella di Cuccuru Mudeju-Nughedu San Nicolò. Altri tre complessi nuragici con edifici inquadrabili in questa tipologia sono stati identificati nel nuorese: Sa Carcaredda-Villagrande Strisaili, Gremanu-Fonni, Corona Arrubia-Genoni. A queste si aggiunge la Rotonda di Su Monte (Sorradile-OR). Si ritiene comunemente che i villaggi-santuario costituissero un punto di riferimento per una vasta area territoriale, aspetto che appare confermato nel caso in esame in quanto sulla base dell’indagine di superficie non si riscontrano tracce di edifici di valenza cultuale per un amplissimo raggio, benché la densità di altre tipologie di monumenti nuragici (nuraghi, tombe di giganti, tombe a prospetto architettonico) in questa porzione del territorio sia veramente notevole.


Il villaggio di Giorrè

La valenza cultuale di questo monumento è avvalorata dal rinvenimento di un betilo in calcare riproducente una torre nuragica, lacunoso nella parte inferiore e sbrecciato in quella superiore. Il corpo di forma cilindrica e sovrastato dal terrazzo aggettante: per lo stato di conservazione non sono leggibili chiaramente i mensoloni sovente rappresentati in questa tipologia di betili. A questo si aggiungono altri cinque frammenti litici frammentari (bugne o frammenti di altri betili- torre) e tre elementi troncopiramidali in calcare di fattura raffinata con decorazione di tipo geometrico. La frequentazione del sito è attestata sino all’età del Ferro.
La “capanna delle riunioni” di Punta Unossi
Percorrendo il tratturo che conduce al sito di Punta Unossi, a circa 300 metri si può deviare verso nord per raggiungere il nuraghe Punta Unossi dal quale si gode di una veduta d’insieme del villaggio.
Proseguendo nel tratturo si raggiunge l’area, recintata con muro a secco, al cui ingresso si localizza un pannello esplicativo e un pannello con la planimetria generale del sito. A tal punto si consiglia di visitare il settore ove si localizza la “capanna delle riunioni” per poi raggiungere il vasto settore ove si erge la “Rotonda”.

A circa 50 m. dall’ingresso all’area archeologica, in direzione O/NO si individua un vano circolare di dimensioni rilevanti rispetto alle altre strutture (diametro esterno m. 11; interno m. 7,50) e che restituisce una serie di elementi che inducono a inquadrarla fra le cosiddette “Capanne delle riunioni” rinvenute in vari complessi di età nuragica (Palmavera-Alghero; Santa Vittoria-Serri; Santa Cristina-Paulatino, Sant’Anastasia-Sardara). Si tratta di vani ai quali si riconosce una funzione “pubblica” (ciò che giustifica le ampie dimensioni), caratterizzati dalla presenza di un bancone-sedile che si sviluppa lungo il perimetro interno: si ritiene comunemente che in queste grandi capanne si riunisse una sorta di “Consiglio degli anziani” per dibattere i problemi della comunità.

La presenza di modellini di nuraghe in pietra (betili-torre), poggianti su basamenti circolari di accurata fattura posti al centro di questi vani, si collega al diffuso culto delle pietre che ha caratterizzato l’età nuragica. Secondo l’opinione corrente il betilo-torre sarebbe da interpretarsi come un dio-torre, dio-nuraghe ovvero una divinità non antropomorfica che presiede alla difesa della comunità. Sostanzialmente dovrebbe trattarsi della “essenza” divina che si cala nella pietra che riproduce la dimora-fortezza della comunità e che diviene tramite il piastrino torre, la “casa del Dio”, difesa e tutelata, dalla sua presenza”. All’interno del vano, come è usuale, lungo tutta la circonferenza si sviluppa un bancone-sedile costituito da blocchi di calcare di forma parallelepipeda che ingloba, nel lato est, un manufatto cilindrico (seggio-tronetto o betile-torre?) piuttosto eroso. Si interpreta invece
con certezza come modellino di nuraghe, in quanto raffigura anche i mensoloni del terrazzo di un monotorre, un altro manufatto rinvenuto nel lato orientale appoggiato al bancone-sedile, rincalzato alla base da lastrine di calcare per assicurarne la stabilità. Si suppone che quest’ultimo originariamente poggiasse al centro, su un piedistallo circolare (diametro esterno m. 1.70; altezza max. 0,40) costruito con conci di basalto “a T”, quattro dei quali ben conservati altri erosi e in qualche caso frammentati. Si esclude infatti che questo manufatto fosse stato utilizzato come focolare (ipotesi avanzata in qualche altro sito) in quanto non sembra presentare alcuna traccia d’uso.

Immagini e testo dal libro della Derudas.

...ancora sulle statue di Monte Prama

Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama (I Telamoni)
di Massimo Pittau, 2008

I Guerrieri di Monte Prama erano la guardia del corpo del Sardus Pater, dio nazionale dei Nuragici, nel tempio a lui dedicato nel Sinis, citato dal geografo greco Claudio Tolomeo. Diverse statue dei Giganti erano sistemate all'interno del tempio per reggere le travi della copertura. Lo dimostra l'altezza di due metri e mezzo delle statue. Molte svolgevano la funzione di telamoni (o atlanti), con una mano sulla testa, cioè in posizione di sostegno. Delle venticinque statue recuperate a Monte Prama, sedici rappresentano i guerrieri telamoni, altre otto degli arcieri più quella del Sardus Pater. Il tempio di Monte Prama era stato costruito dai capi delle tribù che vivevano nei trentacinque nuraghi esistenti nella penisola del Sinis. Appare quindi non casuale il ritrovamento, nell’area in prossimità dell’edificio, di ben 33 tombe, appartenute forse ai capi di altrettanti nuraghi. Il tempio era stato costruito dai Nuragici poco dopo il 539-534 a.C., per celebrare la grande vittoria da loro conseguita contro l’esercito cartaginese guidato da Malco, in occasione del primo tentativo, fatto da Cartagine, di impadronirsi della Sardegna. In quell’epoca i Sardi Nuragici, entrati in stretto contatto con il mondo greco, avevano stipulato il trattato di perpetua amicizia con Sibari, che era la più grande colonia della Magna Grecia. Questo trattato inaugurò un periodo di politica filo-ellenica dei Sardi Nuragici dimostrato anche dalle monete nuragiche con la scritta “Sardoi” in lingua greca. Significativa, inoltre, la fondazione, da parte dei Greci, degli scali di Olbia, nella Sardegna nord-orientale e di Neapolis nel Golfo di Oristano. Lo storico Pausania riferisce che i Sardi dell’occidente mandarono, probabilmente sempre in occasione di quella vittoria, una statua del Sardus Pater al famoso tempio greco di Delfi. Nella stessa epoca furono coniate monete nuragiche, alcune in oro, che portano sul retro il toro nuragico e, sul fronte, il profilo del Sardus Pater. Il famoso geografo Tolomeo, intorno al 150 d.C., parla del tempio del Sardus Pater come ancora funzionante in quel periodo. A Monte Prama è stata trovata anche una moneta romana di epoca post-costantiniana, risalente a circa il 350 d.C. e frammenti di ceramiche di età romana di vario periodo. Le statue dei Giganti di Monte Prama furono spezzate e distrutte volutamente e sistematicamente dai Cristiani dopo che, con Teodosio il Grande, l’impero da pagano era diventato cristiano. Teodosio emanò anche una legge con la quale si ordinava la distruzione dei templi pagani”.

Le "rotonde" nuragiche


La Capanna delle Riunioni di Palmavera
di Alberto Moravetti , 2006

Lo scavo del nuraghe Palmavera ad opera del Taramelli costituisce di fatto la prima esplorazione di un nuraghe condotta con criteri scientifici, ovviamente riportati agli inizi del secolo. Infatti, non solo lo scavatore procede con metodo stratigrafico, distinguendo la successione dei livelli culturali (certamente doveva essere più articolato lo “strato primitivo” nuragico) lascia testimoni di controllo, descrive con accuratezza sia le architetture che i materiali rinvenuti, è attento alle associazioni, ma si preoccupa di acquisire dai materiali tutte le informazioni che altre scienze gli possono offrire. Fa analizzare, infatti, il metallo dal prof. Francesconi dell’Università di Cagliari e i resti di pasto raccolti dal prof. E. Giglio di Tos, professore di zoologia nella stessa università. I risultati riveleranno che fra i metalli vi era del rame puro e che i resti ossei e malacologici, raccolti con cura e in grande abbondanza, erano di cervo, di bue, di pecora, di capra, di cinghiale, di piccoli roditori (lepri e conigli).
Questa capanna, costruita a Sud-Ovest del bastione ed inclusa successivamente nel tracciato dell’antemurale, per le sue eccezionali dimensioni di pianta risulta l’ambiente di gran lunga più vasto dell’intero complesso, non solo quindi delle capanne ma anche delle camere a tholos del bastione.
Il diametro esterno misura m 11,75/11,50, mentre quello interno risulta di m 8,55/8,87. Lo spessore delle murature varia da m 1,20 a m 1,37, mentre l’altezza residua è di m 1,40/2,10, all’esterno, e m 1,50/2,10 nelle pareti interne.
Gli scavi del 1976 hanno restituito numerosi e significativi elementi culturali che confermano, fra l’altro, la sua destinazione pubblica, intuibile fino ad allora solo sulla base delle maggiori dimensioni di pianta: una nicchia ogivale, rialzata di m 0,45; un bancone-sedile che segue parzialmente il profilo circolare della capanna; una vasca o spazio quadrangolare delimitato da lastre ortostatiche; una base circolare con accanto una pietra tronco conica; un betilo-torre; un “incensiere”; un seggio-tronetto in arenaria. Si può ipotizzare che il Consiglio degli anziani al completo fosse in numero pari ai sedili e quindi di 43 persone. II seggio-tronetto era addossato alla parete del vano, all’altezza della nicchia, fra i sedili a parete e la “vasca” alla quale era unito da una piccola lastra che delimitava in questo modo uno spazio triangolare.

Una pietra in arenaria, ben lavorata, fungeva poi da zeppa, mentre anche il piano su cui poggiava era stato normalizzato “a corona” con piccole pietre. Il modellino di nuraghe fu scoperto nel livello inferiore dello strato di crollo, a contatto con il pavimento, in prossimità del presunto focolare e vicino alla pietra betilica. Giaceva, spaccato sotto il capitello ma in naturale posizione di caduta, con il fusto rovesciato sul piano di calpestio ed il tamburo terminale rialzato di m 0,15 perché poggiava su una frammentaria pietra di arenaria, risultata poi parte di un “incensiere”. Il pilastrino appariva più gravemente lesionato nella superficie investita dal crollo (alt. m 0,66; alt. fusto m 0,37; alt. Capitello m 0,21; diam. base m 0,51). Questo betilo-torre si inquadra nel diffuso “culto delle pietre” di età nuragica che sembra continuare una tradizione profondamente radicata nel pensiero religioso prenuragico. Nei betili-torre, invece, l’“essenza” divina si cala nella pietra che riproduce la dimora-fortezza della comunità che diviene, tramite il pilastrino-torre, anche la “casa del Dio”, difesa e tutelata, quindi, dalla sua presenza.
Un elemento di forma circolare, in arenaria e ben rifinito, con lieve cavità lenticolare al centro della faccia superiore, annerita dal fuoco, da interpretare, forse, come “incensiere” o braciere rituale e da mettere in relazione con il carattere civile e religioso dell’edificio, risultava spaccato in due parti.
Nel 1977, con il completo scavo della capanna e lo svuotamento del presunto focolare, si rinvenne “in situ”, perfettamente al centro del medesimo, calcinato dal fuoco e sotto uno spesso strato di cenere, fittili e resti di pasto, un troncone di pilastrino a sezione circolare e di forma troncoconica (alt. m 0,36; diam. 0,52/0,33), ma con il diametro maggiore in alto, a corrispondere quasi esattamente con quello di base (m 0,51) del betilo-torre rinvenuto l’anno precedente. Nessun dubbio, quindi, sulla pertinenza di questo pezzo al modellino di nuraghe già ritrovato, il quale viene così ad avere una altezza complessiva di circa 1 metro – la maggiore fra quelle note di sculture consimili – ed una forma troncoconica che nel terzo inferiore va rastremandosi proprio per essere inserito al centro del “focolare”, che di conseguenza, almeno in origine, altro non era che la base del pilastrino-torre.
Lo scavo ha infine accertato che quando venne costruita la Capanna delle Riunioni si dovettero demolire strutture abitative preesistenti che insistevano sull’area interessata dal nuovo e più importante edificio. Si normalizzò il terreno con piccole pietre e terra di riporto – fra questa vi erano anche vari frammenti fittili decorati “a pettine” – e quindi si procedette
a realizzare il piano pavimentale della “Curia” con un sottile strato di malta bianca ottenuta con il disfacimento della pietra calcarea.

Gli scavi hanno restituito copiosi materiali fittili, talora decorati a cerchielli, vaghi di ambra e di bronzo, tre bracciali in bronzo finemente incisi a spina-pesce, una lucerna del tipo “a cucchiaio” ed un’altra buccheroide “a barchetta” ornata a cerchielli. Analisi di idratazione dell’ossidiana effettuate dal prof. Joseph Michels della Pennsylvania State University, su un nucleo di ossidiana rinvenuto nella capanna, fra un sedile e la parete, ha fornito la seguente datazione: 898±123 a.C., una cronologia, questa, del tutto accettabile e coerente con i dati emersi nel corso dell’indagine. Infatti, al IX secolo a.C. sembrano indirizzare i materiali fittili con decorazione geometrica. Lo stretto legame formale fra il seggio di Palmavera e un modellino di sgabello bronzeo, di fattura nuragica, proveniente dalla nota tomba villanoviana di Cavalupo, – il corredo, conteneva fra l’altro ancora due bronzi sardi, è riferito alla seconda metà del IX a.C., – costituisce una prova importante per datare l’impianto dell’edificio. Infatti, dal momento che si deve presumere che la Capanna sia stata concepita con l’arredo legato alle sue funzioni pubbliche, la cronologia del seggio può essere indicativa dei tempi della sua costruzione.
Lo scavo, almeno negli strati di crollo indagati nel 1976-77, non ha restituito materiali di età storica o comunque più recenti della fine dell’VIII a.C. La vicenda storica di questa capanna sembra concludersi, quindi, verso la fine dell’VIlI a.C. a causa di un violento incendio che la distrusse e di cui restano vistose tracce di ceneri.

Immagini e testo tratti da: Il complesso nuragico di Palmavera, Moravetti, 2006

martedì 26 ottobre 2010

Navigazione antica (fluviale e marittima)


Il Trasporto Fluviale
da:Centro Studi Ricerche Ligabue

In Mesopotamia la rete di navigazione interna era molto sviluppata: il Tigri e l'Eufrate, i loro affluenti ed effluenti ed i canali di irrigazione più importanti permettevano di trasportare le merci in modo più agevole, sicuro e meno costoso che via terra.
Scendendo il Tigri arrivavano "via acqua" in Sumer l'ossidiana del lago Van, il legno di cedro dai monti Amano, il bitume dal Medio Eufrate, il marmo dai monti Taurus e il rame, probabilmente dalle coste meridionali del Mar Nero.
Imbarcazione di giunchi intrecciati raffigurata su di un sigillo mesopotamico di epoca accadica (III millennio a.C.)
Le barche fluviali utilizzate per il trasporto delle merci erano di due tipi: la quffa (da cui deriva il moderno termine marinaresco "coffa"), che era una curiosa barca circolare simile a un catino con un'armatura di legno coperta di pelli e impermeabilizzata con bitume; una "barca" talmente fuori dell'ordinario che perfino Erodoto la descrive nelle sue cronache. L'altra "barca" era in realtà una grande zattera, sempre di legno, il cui galleggiamento era rinforzato da sacche di pelle attaccate alla periferia.
Il peso delle merci trasportate per via fluviale raggiungeva indici notevoli. Le grandi zattere trasportavano fino a 90 tonnellate; una barca di 36 tonnellate necessitava solo di 6 o 7 uomini di equipaggio per una manovra contro-corrente (alaggio). Il carico normalmente trasportato si aggirava sulle 6 tonnellate ed equivaleva al carico trasportato da 66 asini. I kelek, ossia le zattere attrezzate con otri che funzionavano da galleggianti, potevano portare da 5 a 30 tonnellate (le più grandi) (CHIERICI: 1980).
L'Eufrate era navigabile, durante il periodo di morbida, in primavera, da Karkemish fino al golfo Persico. Da agosto a novembre, periodo di magra, la navigazione era resa più difficoltosa per l'affioramento di secche e di rocce. Con la piena, comunque, la corrente si faceva spesso violenta e impediva la risalita del fiume, tanto che si dovevano attendere anche dei mesi per riprendere la navigazione. Per questo molte zattere venivano smontate all'arrivo e il legname venduto sul posto.
Tra Mari e Sippar, l'Eufrate sembra essere stato sfruttato solo durante il periodo paleo-babilonese in quanto la via di comunicazione più importante tra Babilonia e il Levante continuò ad essere quella terrestre che passava per la pedemontana degli Zagros e l'alto bacino dell'Habur.
In epoca paleo-babilonese, quando funzionava la via fluviale, questa era costellata da punti di controllo che riscuotevano i diritti di pedaggio. Per questa via si trasportavano cereali, vino, legname; soprattutto merci pesanti.
Alle vie fluviali si devono sommare i canali, molti dei quali erano navigabili. In bassa Mesopotamia, tra i corsi del Tigri e dell'Eufrate, i loro affluenti e i grandi canali, le principali città erano tutte servite da una via d'acqua.
I mercanti potevano o farsi costruire una zattera o noleggiarne una. Sembra che i cantieri più importanti si trovassero a Tutull-du-Balih. La città di Emâr doveva possedere una flotta notevole dal momento che il re di Aleppo, Yarim-Lim, poté mettere in mare circa 500 imbarcazioni, la maggior parte emariote; altre provenivano da Karkemis o da Mari. È certo che a Emâr esisteva una corporazione di battellieri e di piloti che offriva i propri servigi ai mercanti. Cosa che non sembra sia esistita in altre città mesopotamiche (MARTIN S.: 2001).

Trasporto Marittimo
Le rive del golfo, trovandosi più a nord rispetto alla linea di costa odierna, offrivano sbocchi sul mare a diversi siti meridionali del paese di Sumer quali Ur ed Eridu, allo sbocco dell'Eufrate e Nigin, allo sbocco del Tigri.
Fin dall'epoca di Uruk, ci si procurava il rame delle miniere dell'Oman. I documenti a nostra disposizione si fanno più numerosi nel Dinastico arcaico, durante il periodo di Lagash e in quello di Akkad. I testi raccontano dell'arrivo in Mesopotamia di vascelli provenienti da Dilmun (Bahrein), Magan (Oman) e Meluhha, sulla costa pakistana del Baluchistan; ma probabilmente anche da alcuni porti della Valle dell'Indo come Lothal.
La Mesopotamia importava rame, pietre semi preziose (cornaline, lapislazzuli), vasi e piatti di clorite, legni rari. Le esportazioni sono ancora tema di dibattito: probabilmente ceramiche, granaglie, stoffe e tappeti di lana, datteri, olio.
Le barche fluviali sumere potevano scendere i fiumi con il favore della corrente e potevano tutt'al più svolgere qualche servizio di piccolo cabotaggio nell'ultima parte del percorso, vicino alla foce dell'Eufrate, ma non erano certo adatte alla navigazione marittima. Nella documentazione sumera non si trova alcun accenno a barche in grado di affrontare la navigazione in mare aperto fino all'India o all'Africa. Al massimo, con le loro zattere a vela, potevano seguire la costa della penisola arabica fino a Bahrein e forse anche più a sud. Bisogna inoltre tener presente che i Sumeri non possedevano una vocazione marinara: nei loro miti e nei loro racconti si parla spesso di avventurosi viaggi tra le montagne, ma mai di viaggi per mare.
Talvolta le navi straniere risalivano l'Eufrate e i canali navigabili collegati con il fiume per raggiungere i porti interni: la città di Ur, ad esempio, possedeva addirittura due porti ed era un centro di traffici molto importante.
Gli studiosi sono oramai concordi nel ritenere che di norma le merci provenienti da paesi lontani arrivassero con navi straniere "d'alto mare" che trasbordavano il carico su navi fluviali sumere a Bahrein o in porti vicini.
Questo spiegherebbe tra l'altro perché i Sumeri non conoscessero bene dov'erano situate Magan e Meluhha: ne avevano sentito parlare solo dagli equipaggi "stranieri" che incontravano nei porti di transito. Prova ne è che nelle cronache sumere si fa spesso accenno al paese di Magan, l'attuale Oman, e a un altro paese, Meluhha, da dove provenivano l'avorio e l'ebano, che si identificherebbe o con le coste dell'Africa Orientale o, con maggiore probabilità, con la valle dell'Indo (CHIERICI: 1980).

A partire dall'epoca pre-sargonica assume sempre maggior importanza il commercio marittimo che vede come centro principale Dilmun, scalo favorito dai mercanti dove approdavano le materie prime indispensabili per la Mesopotamia, soprattutto il rame che veniva scambiato con grandi quantitativi di cereali e di filati di lana.
Dilmun, che s'identifica con il moderno Bahrein (3), era quindi un porto di transito e di smistamento delle merci provenienti da località diverse che fungeva da ponte con l'India: vi sono molte prove di rapporti commerciali di Sumer con l'India, Fra l'altro sono stati rinvenuti sigilli di mercanti indiani stabilitisi ad Ur e sigilli sumeri nelle città dell'Indo.
Ciò che emerge in modo indiscutibile è che la costa arabica, con i suoi vari insediamenti (inclusa Bahrein) non era affatto un paese deserto e selvaggio nel III millennio ma che funzionava da ponte tra la Mesopotamia e l'India e che, come risulta da diversi reperti, intratteneva stretti contatti anche con l'Egitto faraonico.
Dopo la III dinastia di Ur questo traffico cessò: l'arretramento del mare aveva reso impossibile questa navigazione (ricordiamo che, dal tempo dei sumeri ad oggi, il mare si è arretrato di oltre 100 chilometri); Al proposito l'analisi della diminuzione della stazza è molto indicativa: in media 300 gur (ca 90 tonnellate) alla fine del III millennio, che si abbassano a 40 gur (ca 12 tonnellate) agli inizi del II.
Per spiegare questa riduzione che influenzò negativamente gli scambi commerciali, si ritiene che l'armamento delle navi in epoca neo-sumera corrispondesse ad una impresa dello stato, dipendendo direttamente dall'ensì, dal momento che la costruzione di navi da 90 tonnellate rappresentava un investimento importante che i privati non potevano permettersi. All'epoca paleo-babilonese, le navi più piccole (che non potevano spingersi troppo lontano) erano noleggiate da gruppi di mercanti mentre il potere centrale si era oramai ritirato dall'impresa. Il commercio marittimo tra la Mesopotamia e la Valle dell'Indo crollò a partire dal XVIII secolo con la scomparsa della civiltà dell'Indo. È l'epoca in cui Babilonia perde ogni sbocco sul mare con la capitolazione delle città più meridionali (Ur, Larsa, Uruk, Kutalla, Lagash, ecc.). Bahrein fu a sua volta occupata dai Cassiti (1450 e 1250 BC) e bisognerà attendere l'epoca ellenistica per vedere rifiorire il commercio sul golfo Persico (MARTIN S.: 2001).

Tratto da www.museo-on.com/go/museoon/home/db...ge_id_501.xhtml

Nelle immagini:
Quffa in navigazione sull'Eufrate. Da un bassorilievo del palazzo di Balaawat

Imbarcazioni di giunchi intrecciati simili a quelle che solcavano l'Eufrate, sono ancor oggi in uso in Ecuador

lunedì 25 ottobre 2010

"Viaggio nella Storia" , Castello di Sanluri


Si è svolto ieri, nell'incantevole scenario del Castello Eleonora d'Arborea, a Sanluri, il secondo appuntamento della rassegna culturale "Viaggio nella Storia", organizzato da Pierluigi Montalbano, giunto alla 3° edizione.
Una splendida giornata, caratterizzata dal tipico bagliore del sole autunnale, ha consentito di svolgere nel migliore dei modi tutta l'attività prevista in locandina.
Accompagnati dall'ultimo fra i discendenti della famiglia proprietaria del castello, i Villa Santa, il folto gruppo di appassionati di storia della Sardegna ha ammirato, nel mattino, le sale museali allestite all'interno del castello. Due conservano cimeli e documenti delle due guerre mondiali, delle campagne d'Africa e del fascismo; nella terza è esposta la spettacolare collezione delle ceroplastiche, una delle più ricche in tutta Italia; la quarta si identifica nel quartiere feudale ed è dotato di mobili, arredi, dipinti e sculture che spaziano dal Rinascimento al Risorgimento.

Edificato dai Giudici d'Arborea intorno al 1195, il castello fu abitazione di Eleonora, regina e legislatrice. Fu al centro delle lotte tra la Corona d'Aragona e il Giudicato d' Arborea, che ebbero luogo nei secoli XIV e XV. Per oltre 50 anni, le lotte fra Arborensi e Aragonesi videro protagonisti Mariano IV, Ugone III, Eleonora con il marito Brancaleone Doria e, da ultimo, Guglielmo III di Narbona. Questi si scontrarono con l'Infante Alfonso, Pietro IV d'Aragona e Martino il Giovane, Re di Sicilia. La sanguinosa battaglia di Sanluri chiuse le ostilità il 30 Giugno 1409, quando Martino il Giovane, sbarcato a Cagliari col suo esercito, annientò quello del Giudice Guglielmo di Narbona, composto da francesi, sardi, genovesi e lombardi. Da allora Sanluri divenne feudo aragonese e il castello, dal 1436, sede del visconte e della sua famiglia. Nel 1839 il feudo venne riscattato da Carlo Alberto, Re di Sardegna.
Nel 1925 passò dagli Aymerich al Generale Conte Nino Villa Santa che lo restaurò. Alcuni dei cimeli sono d'importanza nazionale e fra questi spiccano la bandiera tricolore della vittoria che consacrò Trieste all'Italia il 3 Novembre 1918 e l'originale del bollettino della vittoria, sottoscritto da Armando Diaz.
La visita si è conclusa con il tour delle terrazze, che consente di spingere la visto fino alla città di Cagliari, e con la consueta foto ricordo del gruppo.
I partecipanti sono stai accolti per il pranzo all'agriturismo Su Stai, Podere Valbella, in uno scenario da fiaba con prati verdi e profumi mediterranei. Il ricco menù preparato dalle abili mani dei cuochi della fattoria ha deliziato gli ospiti che nel pomeriggio hanno avuto modo di passeggiare nel podere e ammirare flora e fauna locali.

In serata il gruppo si è spostato al centro di Sanluri per la visita al borgo medievale. Valentina Lisci e Simone Congia, le guide turistiche, hanno raccontato le tradizioni e gli usi degli abitanti, in una lunga passeggiata sui ciottoli in pietra che caratterizzano le stradine interne. Chiese, numerosi pozzi ben conservati, case campidanesi ristrutturate con cura, antichi portali e altre strutture in pietra locale sono stati esplorati fino al tramonto.
Un particolare ringraziamento va agli sponsor che hanno consentito la realizzazione di una manifestazione così ricca.

Prossimo appuntamento il 7 Novembre a Barumini dove, nel bellissimo centro Lilliu inaugurato nel 2009, saranno relatori Giovanni Ugas, docente di Preistoria e Protostoria all'Università di Cagliari, Paola Mancini che presenta in anteprima il suo ultimo libro “Gallura Orientale. Preistoria e Protostoria”, e Claudia Pau, che giungerà appositamente dalla Spagna per presentare un lavoro sulla cultura di El Argar e le relazioni con la Sardegna nuragica. Visita del territorio, del nuraghe Su Nuraxi, di Casa Zapata e il tradizionale pranzo in agriturismo completeranno la giornata.

domenica 24 ottobre 2010

Giganti di Monte Prama


I guardiani di pietra,
di Carlo Tronchetti, 2008

Sulla grande statuaria nuragica in pietra di Monte Prama si è scritto molto, ma in occasione del restauro dei frammenti di statue che ci sono rimasti non sarà inutile ripercorrere velocemente la vicenda e presentare l’interpretazione da dare a questo straordinario episodio della protostoria sarda. Tutto nasce dal ritrovamento causale di alcuni frammenti, fra cui una testa, nel 1974, cui seguì un primo intervento esplorativo di scavo condotto da Giovanni Lilliu con alcuni docenti e laureati dell’Università cagliaritana, che portò al recupero di un torso. Nel 1977 ancora un ritrovamento fortuito durante l’aratura dette il motivo per uno scavo più prolungato, condotto da Maria Luisa Ferrarese Ceruti e da me nel dicembre del 1977. I risultati furono tali che nel 1979, ottenuti i necessari finanziamenti, fu effettuato lo scavo integrale dell’accumulo delle statue e della necropoli che queste ricoprivano, che ebbi la fortuna (e l’onere) di realizzare in prima persona. I pezzi più significativi, assieme a parte dei più vecchi ritrovamenti, furono restaurati ed esposti dal 1980. E qui ci troviamo dinanzi ad uno dei "misteri" di Monte Prama, quello, divulgato su tanta stampa e televisione, che concerne l’"occultamento" delle statue. In realtà una parte, sia pure piccola, dei resti è sempre stata esposta nella sale del Museo cagliaritano, non solo, ma ha anche circolato in Italia ed Europa in diverse Mostre, tra cui piace ricordare "Sardegna Archeologica. I nuraghi a Milano" del 1985, realizzata dal Comune di Milano con la sponsorizzazione della Regione Sardegna e l’edizione di un bel catalogo in cui era presentata per la prima volta la ricostruzione grafica di due statue.
Questo eccezionale ritrovamento non è stato, quindi, mai nascosto, e del resto non si capisce il motivo per cui un archeologo che compie una scoperta così sensazionale debba poi occultarla. Il primo "mistero" di Monte Prama così scompare nel nulla. L’altro "giallo", quello del suo significato, è un mistero come tutti quelli che avvolgono le scoperte archeologiche un po’ fuori da normale. Bisogna lavorarci sopra, studiare, confrontarsi ed infine proporre ipotesi interpretative logiche e coerenti, anche basandoci su quello che conosciamo in altre zone del Mediterraneo. Ma quale potrebbe essere il significato della statuaria di Monte Prama e della necropoli su cui giacevano le statue al momento del ritrovamento? Argomenti su cui da tempo gli studiosi si confrontano con diverse ipotesi. Ecco la mia interpretazione alla luce di molti anni di ricerche e confronti.

La necropoli si trova situata alla base del pendio di un colle, lungo una depressione regolarizzata, ed è composta da uno spazio ben delimitato che comprende 30 tombe cui ne sono state aggiunte tre spostate dall’allineamento perché adiacente a Nord si trovava un’altra necropoli più antica. I frammenti sono stati trovati accumulati nella discarica e si riferiscono a statue di diverse dimensioni e tipologie: arcieri in atteggiamento di orante, figure di armati con scudo, pugilatori che si coprono la testa con lo scudo; poi modelli di nuraghi semplici e complessi, e betili. Le tombe erano senza corredo; solo nel caso della tomba 25 si può pensare ad un oggetto di corredo, essendosi ritrovato un sigillo scaraboide databile nei decenni finali dell’VIII a.C. Le tombe sono a pozzetto coperte da una lastra in arenaria gessosa chiara, e con lo stesso materiale sono realizzate le statue. Queste e le tombe sono sicuramente connesse. Oltre ad essere della stessa pietra, i frammenti di statuaria (oltre 5.000) sono stati trovati accatastati esattamente sopra le tombe. La mia interpretazione è che siamo di fronte a un particolare tipo di necropoli in cui viene glorificato un clan familiare, un gruppo aristocratico che si qualifica con i segni del valore militare (arcieri), della religione (pugilatori), del legame religioso con il centro ideologico del potere (modelli di nuraghe) e si riallaccia alla mitica e passata età delloro, con i betili collegati alle vecchie tombe di giganti, le tombe degli antenati eroizzati, alle quali forse allude anche la forma stessa, allungata, della necropoli.
Quella presentata e ricostruita nella necropoli è una tipologia di ostentazione che si colloca correttamente inquadrata nel fenomeno culturale definito orientalizzante, diffuso in tutto il Mediterraneo, con la piena affermazione di gruppi familiari egemoni allargati. Per la datazione io sarei propenso a collocarla genericamente in questo periodo orientalizzante, che inizia nello scorcio terminale dell’VIII a.C. e comprende poi il VII, senza poter essere maggiormente precisi.

La mia impressione, è che l’episodio di Monte Prama si possa meglio inquadrare nei decenni iniziali dell’orientalizzante, quando si sono consolidati i rapporti con i Fenici di Tharros. È sicuramente da Tharros che giungono in importanti centri politici e religiosi tardo-nuragici oggetti di grande prestigio, come i torcieri ciprioti bronzei, datati tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII a.C., del nuraghe S’Uraki di San Vero Milis e dal grande santuario di Sorradile. Ed inversamente nello stesso tempo troviamo a Tharros, nell’ambito della necropoli fenicia arcaica, la testimonianza della sepoltura di individui di stirpe nuragica in posizione di prestigio, rivelataci da oggetti come le "faretrine" bronzee. Il fenomeno di inurbamento di Sardi presso i centri fenici, e di Fenici presso comunità sarde, è ormai ben accertato in diverse parti dell’isola, e ci indica chiaramente come i rapporti tra le due popolazioni fossero di pacifica e reciprocamente proficua convivenza. Ma questa convivenza pacifica non vuole dire passiva accettazione dei Sardi di ciò che le genti fenicie apportavano: al contrario! Gli stimoli e gli influssi vengono rielaborati nell’isola secondo la propria specifica tradizione culturale, come mostrano palesemente le statue: l’ideologia della grande statua onoraria viene dall’esterno, ma le raffigurazioni sono puramente locali, derivate strettamente dalla produzione dei bronzetti, come puramente sardi sono i valori che la necropoli e la statuaria connessa esprimono.
I Fenici sono portatori nell’isola di una cultura di tipo urbano, con una forte e consolidata organizzazione sociale e del lavoro, con i suoi valori, che viene in contatto con la cultura ed organizzazione sociale sarda; questa risponde, a Monte Prama, con l’orgogliosa ostentazione dei propri specifici e peculiari valori: quelli della virtù guerriera, della virtù religiosa, dello stretto legame con la propria terra e con i propri mitici antenati eroizzati.

Le mmagini del nuraghe Palmavera e del suo betilo torre, sono tratte dal libro di Moravetti, 2006

sabato 23 ottobre 2010

Lingua sarda

SA LIMBA MUDA
di Gianni Garbati

Wilhem aiat intesu semper chi sos dardos non si poniant mai de acordu pro arribarent a una limba aunida. Sa proposta de istàndard chi esistiat fiat cuntestada dae gasi totu cantos, ca cada unu cheriat su dialetu issoro che modellu de limba istàndard.
Isse aiat istudiadu su darsu cun ganas medas, imparende totu sos segredos de cudda limba chi li afascinaiant. L'aprendeit bene meda e fiat capassu a la chistionare a pustis pagos mesos, ma semper cun cuddu atzentu suo tedescu.
Wilhem traballaiat pro un'agentzia universitària germana chi s'ocupaiat de sa promotzione de sas limbas minores. Duncas retzeit cun praghere s'incàrigu de promòere su darsu istàndard e cumbìnchere a sos dardos de sas bondades de sa limba istrana. Isse fiat un filàntropu e faghiat totu pro amore a sa gente e a sas traditziones issoro, che s'agentzia cun chi traballaiat.
Percurreit sa Dardìnia dae su nord fintzas a su sud, dae s'oest fintzas a s'est, ma sos resultados fiant semper sos matessis: nudda; sa gente non si cumbinchiat ca su dialetu fiat su dialetu e sos dialetos de sos bighinos non podiant èssere mègius de su pròpiu.
A bortas lu butaiant cun cridos, a bortas totu cubertu de tomàtiga… Sa chistione fiat chi su pàberu Wilhem perdeit sa fide sua e andeit a sa campànnia.
S'arregordeit de San Frantziscu. Cando isse non teneit perunu sutzessu cun sas pessonas, cumintzeit a fàghere sa prèdiga sua a sos pugiones.
Pugiones, no bi nd'aiant medas, ma berbeghes, eja. In unu pradu buidu de gente, cumintzeit a isprigare a sas berbeghes sas bondades de sa proposta de sa limba istàndard darda:
« Bona cosa, sorres istimadas cuadrùpedes -cumintzeit issu a nàrrere cun cuddu atzentu suo germànicu-. Bois, fìgias de custa terra, ais a cumprèndere chi custu dardu istàndard, sa limba de peruna bidda ma a su mantessi tempus sa limba de totu sa Dardìnia, at a èssere su futuru…»
E totu in una, sa berbeghe prus betza tzesseit de mandigare s'erva cun sorres suas, artzeit sa conca, mireit a cuddu germanu disperadu e li nareit in dialetu umanu dardu:
« A su dutò, su dialetu suo non 'umprendimus… A nois àteras, si nos 'eret 'aveddare, lu depet 'à'ere in su dialetu nostru… Gràtzias», e sigheit a mandigare totu tranchilla.


Ringrazio l'amico Gianni che proprio in questi giorni ha organizzato a Madrid una serie di incontri sulla lingua sarda.
Sotto potrete leggere il programma:
Seminàriu cun su Prof. Michele Ladu
Seminario con il Prof. Michele Ladu

Lunis 25 de Santuàine - Lunedi 25 Ottobre Sa tutela de sas limbas de minoria e sa presèntzia de su sardu in sas istitutziones: esperièntzias pràticas e isportellos linguìsticos/La tutela delle lingue minoritarie e la presenza del sardo nelle istituzioni: esperienze pratiche e sportelli linguistici.

Martis - Martedi 26 Ite est unu istandard e sa situatzione linguìstica in Sardigna: dialetos e limba/Cosa è uno standard e la situazione linguistica in Sardegna: dialetti e lingua.

Mèrcuris - Mercoledì 27 Faeddamus de Limba Bandela: caminera pro connòschere sa LSC/Parliamo di Lingua Bandiera: percorso per conoscere la LSC.

Giobia - Giovedi 28 Sa terminologia e sa tradutologia in limba sarda: pro unu sardu a passu cun sos tempos La terminologia e la traduttologia in lingua sarda: per un sardo al passo con i tempi.

Chenàbura - Venerdì 29 Labirintos in sa bortadura e interpretatziones linguìsticas: laboratòriu/Labirinti traduttivi e nterpretazioni linguistiche: laboratorio.

Pro sas informatziones: Segretaria Organizativa Tel.911886890 e 693774893 Su Cursu e sos Seminàrios s’ant a tènere in s’Istituto Italiano di Cultura, c/Mayor 86 (Metro L2 e R Opera)
Per informazioni: Segreteria Organizzativa Tel.911886890 e 693774893 Il Corso e i Seminari si terranno nell’Istituto Italiano di Cultura, c/Mayor 86 (Metro L2 e R Opera)
Gli incontri si terranno dalle ore 19 alle ore 21
cursuinitzialedelimbasarda@hotmail.com
Istituto Italiano di Cultura Madrid

venerdì 22 ottobre 2010

Visita alle miniere


minieredisardegna.it
in collaborazione con l'Assessorato al Turismo del Comune di Seneghe organizzano l'incontro dal titolo:

ANTICA MINIERA DI SU ENTURGIU-MONTI FERRU (SENEGHE)
dibattito + escursione
Domenica 31 ottobre 2010 dalle ore 10:30
vedi locandina
http://www.minieredisardegna.it/Schede.php?IdSC=45
Organizzazione a cura di
Dott. Ing. Massimo Scanu
Cell. 3281226241

Castello di Sanluri


Viaggio nella Storia
Domenica 24 Ottobre al Castello di Sanluri si svolgerà il secondo dei 12 appuntamenti con la rassegna culturale, organizzata in collaborazione con i docenti dell'Università di Cagliari, e intitolata "Viaggio nella Storia".
La giornata inizierà alle 10.30 con la visita guidata al castello Eleonora d'Arborea e ai suoi musei interni. Il Castello di Sanluri venne fatto costruire nel 1355 per volontà di Pietro IV d'Aragona, terzo sovrano del Regno di Sardegna. La storia del bel maniero aragonese è legata alle vicende del fiorente Giudicato di Arborea, a quelle dell'unità d'Italia e persino allo sbarco alleato nel 1943. A seguito della sua costruzione, voluta per finalità prettamente difensive, il castello è stato teatro di una crudele battaglia nel 1409, quando l'Infante di Aragona, re Martino di Sicilia, attaccò il Giudicato di Arborea, conquistandolo. Con il crollo del Giudicato, il maniero venne trasformato nella dimora feudale dei visconti di Sanluri. In seguito il principe di Sardegna Carlo Alberto se ne impossessò e da quel momento il castello vide anni difficili e di declino. Nel Novecento però, grazie al mecenatismo di Nino Villa Santa, il castello venne trasformato in museo. Tuttora il castello è uno splendido museo risorgimentale ricco di numerosi cimeli, tra i quali quelli di epoca napoleonica.
Alle 13.00 pranzo all'agriturismo Su Stai, visibile al link http://www.agriturvalbella.it,
con ricco menù di prodotti locali al prezzo concordato di 25 Euro.
Nel pomeriggio, alle 16, è prevista la visita guidata accompagnati da Valentina Lisci e Simone Congia…in giro per il borgo, per ammirare le antiche porte della cittadina, le chiese di San Lorenzo, Sant'Anna, San Martino, la parrocchiale di Nostra Signora delle Grazie, le abitazioni tipiche campidanesi, "Sa muralla", le mura fortificate, Su Bruncu 'e Sa battalla, le fontane e i pozzi disseminati nell'antico abitato, le leggende e curiosità, su Pottabeddu e i moti del 1881.
La partecipazione alla manifestazione è libera, salvo il costo del biglietto di ingresso nei siti, quando previsto.
Quella della stagione Autunno 2010-Primavera 2011, è la 3° edizione della rassegna. L'organizzazione ha previsto una carovana di auto che partirà da Cagliari alle ore 09.30, con la possibilità per chi non possiede un mezzo proprio, di unirsi al gruppo contribuendo con 5 Euro per il carburante.
Informazioni e prenotazioni alla mail pierlu.mont@libero.it

giovedì 21 ottobre 2010

Pozzi nuragici


Complesso nuragico di Sa Sedda 'e Sos Carros,Oliena
di FulviaLo Schiavo

Nel settembre 1977 ha avuto luogo una prima campagna di scavi nel grande complesso nuragico di Sa Sedda 'e Sos Carros, sito all'interno della grande valle del Lanaittu, vicino alla grotta di Sa Oche,la cui importanza era emersa soprattutto in seguito al ritrovamento casuale di una enorme quantità di bronzi,tanto da suggerire l'ipotesi che si trattasse di una fonderia. Già questa operazione,accompagnata da ristretti sondaggi nei tre ambienti più a monte, ha portato a notevoli scoperte; anzitutto è stata chiarita la struttura dell'edificio: tutto intorno ad un grande cortile di forma ellittica,si aprono una dozzina di vani e passaggi,alcuni dei quali con caratteri singolari: l'ambiente a monte è corredato da una banchina semicircolare lungo la parete di fondo; l'ambiente 1, adiacente a sinistra, è risultato essere una monumentale scala elegantemente costruita con grandi lastroni di calcare; l'ambiente b, adiacente a destra, mostra evidentissime tracce di assestamento e reimpiego di colossali blocchi di basalto di forma varia; un ampio bancone curvilineo costeggia uno dei lati interni del cortile, sotto il quale corre trasversalmente un lungo cunicolo di cui non è stato ancora localizzato lo sbocco (vano 1). E' stato accertato un fatto di estrema importanza per la valutazione del complesso, l'esistenza cioè di varie fasi costruttive, tutte però da inquadrarsi nell'età nuragica; nessuna traccia di materiali riferibili ad altre culture è stata rinvenuta ne nello scavo ne nella raccolta di superficie.

Lo scavo ha restituito ovunque frammenti di reperti,di frustoli e di scorie di bronzo;da segnalare, fra l'altro, uno spicchio di panella, due spilloni, due chiodi...Importante anche la presenza di scorie di ferro.
Nulla può ancora dirsi riguardo all'uso specifico dell'edificio: se la presenza del bronzo può inclinare a ritenerlo una fonderia,non sono però stati ancora individuati i veri e propri punti di lavorazione, come la fornace, o frammenti di crogioli o strati compatti di ceneri.
Inoltre un altro elemento che attende una giusta valutazione è l'enorme quantità di blocchi di basalto di tutte le dimensioni, da grandissimi (m. 1,34x0,38) a piccoli, e delle fogge più varie, tutti adunati nello stesso edificio,molti in evidente situazione di reimpiego, nessuno però in opera nelle pareti: una ipotesi che al momento trova conferma nella presenza di una innumerevole quantità di schegge e frammenti di basalto, è che venisse trasportato grezzo dall'ingresso della valle di Lanaittu,dove si arresta la colata basaltica,fino a Sa Sedda 'e Sos Carros,e qui venisse lavorato.
Un'altra ipotesi, per ora più difficile da provare, è che tutti i blocchi provengano da un edificio a carattere sacro, sito nelle vicinanze e ancora ignoto, che per cause non precisabili sia stato distrutto o smontato,ed i suoi pezzi riutilizzati in vario modo.
A questo ipotetico edificio sacro dovrebbero appartenere alcuni blocchi di tufo, rinvenuti nello scavo dell'ambiente b, usati come pietrame bruto per livellare le diseguaglianze del pavimento roccioso, alcuni dei quali mostrano tracce di decorazione a rilievo del tipo dei frammenti di scudo delle statue nuragiche di Monte Prama; l'accostamento è rafforzato dalla presenza di un frammento forse di piede fra questi pezzi di tufo, molti dei quali, malamente danneggiati dalla lunga giacenza alle intemperie,esigono un pronto intervento di restauro.
Nessun nuovo elemento di cronologia è venuto a modificare l'inquadramento già proposto sulla base di materiale raccolto in superficie: le fibule a sanguisuga e le piccole fibule ad arco ribaltato sono databili all'VIII a.C. Purtroppo non è ancora possibile precisare a quale fase si riferisca questa datazione,nè i termini esatti dell'inizio e della fine dell'occupazione del sito.
L'estremo interesse del complesso oltre alla novità dei problemi suscitati esige un dovuto approfondimento che, in prossime campagne di scavo ,dovrebbero chiarire i molti interrogativi senza risposta.

Il materiale qui esposto comprende ,oltre a tutto quello già brevemente illustrato in una precedente esposizione al Museo Sanna di Sassari ,una notevole quantità di reperti ancora non restaurati,provenienti sia da primi recuperi che dalla campagna di scavo: si intende così fornire una completa illustrazione dei grossi problemi che pone questo sito e delle interessantissime prospettive offerte dall'ingente massa di materiali.
Si osservi, come esempio dei colossali conci di basalto lavorato dei quali si è fatta menzione, l'esemplare esposto al di sotto delle vetrine: si tratta di un concio a T con due mammelloni sporgenti sulla superficie piana, di dimensioni notevolissime, ma non certo il più grande dei molti rinvenuti nel sito.
Per quanto riguarda i bronzi, il catalogo completo dei quali non è ancora ultimato, si rimanda al Catalogo della Mostra del 1976, a cui vanno aggiunte le notizie riguardanti il frammento di coppa orientalizzante pubblicate da F.Nicosia in "Studi Etruschi" 1978.
Lo scavo ha invece restituito un interessante bottone "ad alamaro" trovato nell'ambiente a, identico a quelli di Montrox'e Bois (Usellus,Or) e di tipo noto anche in altri siti nuragici.
La ceramica, finora rinvenuta è prevalentemente rozza e inornata: fra la ceramica fine si segnalano molte anse e frammenti di brocche askoidi,decorate con linee incise e con cerchielli,ciotole carenate ed un interessante esemplare di coppa emisferica con una fascia orizzontale a reticolo inquadrata da due motivi a "spina di pesce", che sembrerebbe una traduzione in ceramica di esemplari bronzei di tipo orientalizzante. Molti frammenti di grappe e bandelle di piombo attestano che veniva regolarmente praticata la riparazione dei vasi .

da "Sardegna centro-orientale.Dal Neolitico alla fine del mondo antico" .Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Soprintendenza ai beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro 1978

mercoledì 20 ottobre 2010

La società nuragica, 3° e ultima parte

di Giovanni Ugas
Nell’Età del Ferro abbiamo una situazione completamente nuova, enunciata anche dalla letteratura antica. Diodoro Siculo e altri autori dicono che questi re tespiadi furono cacciati dagli Aristoi locali, capi locali di tribù strutturate secondo un modello aristocratico. Perno di queste comunità aristocratiche sono i villaggi e non più i nuraghe. Le nuove costruzioni mostrano strutture signorili con 5/6 ambienti e spesso un bagno. I greci vantano questo modello di società aristocratica, con i giudici che sono i nuovi governanti, eletti dal popolo e che si riuniscono nel Dicasterium, il luogo del giudice, la sala del consiglio con sedile che troviamo in tanti villaggi.
Queste curie sono i municipi del tempo, ma ci sono diversi livelli nei consigli per l’organizzazione del territorio, dai villaggi a distretti più ampi. Nei villaggi ci sono anche dei Gymnasia gradonati (Palestre con sedili) e si nota la proliferazione di santuari. Probabilmente c’erano dei collegi sacerdotali che completavano la struttura organizzativa e sociale delle comunità.
Le case sono a corte con cortile centrale e nei villaggi, intorno alle case e ai viottoli, troviamo le capanne rotonde con i sedili a giro. I nuraghe continuano ad essere il simbolo religioso delle comunità, e rappresentano il ricordo di Norax, che è l’antenato capostipite, ora inserito in una comunità aristocratica.
È in questo periodo che nasce la bronzistica figurata, con gli eroi e le figure di divinità e offerenti, animali sacri, modelli di templi, sale dei consigli e riti, come quello della bevuta collettiva interpretata come un sacrificio in onore degli dei.
Santa Vittoria di Serri è uno dei luoghi nei quali la società dell’epoca è evidenziata dalle strutture: ci sono due templi, un pozzo sacro, un protonuraghe, numerose capanne abitative, la capanna delle riunioni, il recinto delle feste con spazi destinati alla vendita di manufatti e animali, luoghi adibiti alla produzione dei bronzi e altri edifici importanti. I villaggi diventano il cuore della comunità e i sacerdoti hanno un peso formidabile in questa società del Primo Ferro. Molti nuraghe vengono trasformati in templi e anche nella bronzistica si notano edifici che possono ben rappresentare le strutture dell’epoca.
Nel nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, negli strati pertinenti l’Età del Ferro, intorno al IX a.C., il nuraghe viene trasformato in tempio e nel vano “E” si nota la presenza di un grande altare in pietra con vasca e la rappresentazione di una torre in un lato.
A Barumini c’è una zona termale con un forno che riscaldava l’acqua, sedili, una grande vasca e altre opere idrauliche allestite per il buon funzionamento dell’impianto.
È in questo periodo che troviamo (rappresentati su navicelle) carri con ruote piene e trainati da buoi, pesi da telaio, la grande statuaria, la comparsa di tombe singole e i primi segni di scrittura di derivazione fenicia, a dimostrazione di una società che cambiava e mostrava il governo di gruppi aristocratici. La letteratura antica racconta che i vecchi capi tribali si rifugiarono in Italia, nei dintorni di Cuma e in altre aree, e questo dimostra il motivo del ritrovamento in Etruria di tanti bronzi figurati, di brocchette e materiali ceramici simili a quelli nuragici.
L’evoluzione della società aristocratica subisce una battuta d’arresto quando arrivano i cartaginesi perché ci furono momenti di crisi. La società era ancora potente e capace di respingere l’esercito di Malco nel 520 a.C. e nella letteratura si parla di una flotta sardo-corsa guidata da Forcus che organizzava la resistenza contro Atlante, che rappresenta chiaramente Cartagine.
In Etruria intorno al 750 a.C. si forma un nuovo governo con un re, Romolo, primo re di Roma che inaugura un periodo monarchico che porterà nei secoli successivi all’egemonia di Roma nel Mediterraneo. In Sardegna non abbiamo situazioni chiare e accertate per i secoli VII-VI a.C. con villaggi che si dotano di mura e che diventano residenze di re, quindi non possiamo ancora chiarire come in quei secoli fosse gestito il potere.

martedì 19 ottobre 2010

La società nuragica, 2° parte di 3

L’organizzazione politica e sociale nell’epoca nuragica di Giovanni Ugas
Fin dalla loro comparsa i protonuraghe si distinguono in edifici con una sola camera e nuraghe complessi costituiti da più ambienti, sempre ellittici, ma più grandi e a volte con una cinta esterna. Costruzioni difese che accolgono delle guarnigioni e contingenti di truppe, chiamati a difendere i nuraghe. Sono vere e proprie cittadelle, e chi possiede questi palazzi è un capo tribale, il re di un vasto territorio. Uno di quei re tespiadi che i greci facevano arrivare dalla Beozia. Erano capi che guidavano e controllavano territori che possiamo paragonare alle curatorìe medievali.
Le fonti raccontano di 40 re tespiadi che, aggiunti ai circa 20 regni occupati da Balari e Corsi, si arriva a una sessantina di distretti tribali. La disposizione dei nuraghe lungo le linee di confine naturali ci fa intuire la formazione dei distretti e la loro estensione.

Ci sono nuraghe monotorre ad una sola camera, ci sono quelli con bastione semplice che presentano più torri e quelli più articolati, con varie torri disposte intorno alla principale ed elevati a più piani, come il nuraghe Arrubiu di Orroli.
Tutto ciò implica una gerarchia interna nell’ambito dei nuraghe che corrispondono a livelli diversi di comando nel territorio. Dobbiamo immaginare dei nuraghe semplici monotorre, posti in luoghi particolarmente sensibili per il controllo dei confini del territorio, delle coste e lungo i fiumi. Altri sono vere e proprie residenze fortificati di capi che hanno grande importanza per il controllo della gerarchia e per il potere.
Questa situazione consente di capire il motivo della moltiplicazione dei nuraghe. Si passa da circa 500 protonuraghe, costruiti intorno al XV a.C. ai 7000/8000 nuraghe edificati intorno al XIII-XII a.C., nel Bronzo Recente, quando si verifica il cambiamento epocale con l’utilizzo dei nuraghe turriti con torri slanciate, camere circolari e grandi volte.
Certamente questo modello di crescita dei nuraghe è legato al modello di popolamento.
Già nel primo periodo dei protonuraghe sono evidenti i contatti con l’esterno. Lo notiamo dai materiali, come ad esempio il frammento di testina in avorio, con elmo a zanne di cinghiale proveniente da Decimoputzu. È identico a testine trovate a Creta e in ambito della Grecia continentale presso le regge micenee e cretesi. Ci sono poi collanine in pasta vitrea di provenienza egea o egizia. Da San Cosimo proviene la parte superiore di un ago in vetro che trova corrispondenza in ambito cretese, insieme ad altri oggetti in oro. È il periodo in cui iniziano a circolare i lingotti in rame a pelle di bue, gli ox-hide con 4 bracci, che presentano dei segni connessi con la scrittura sillabica cretese minoica e micenea. Questa presenza denuncia la richiesta della Sardegna di grandi quantità di rame per produrre armi in bronzo. Gli eserciti e le grandi potenze richiedevano i lingotti in rame. Questo materiale era il motore del tempo perché la necessità di controllare il territorio impiegava un gran numero di soldati armati.
Di questo periodo appare, nello scavo della tomba Su Fraigu cosiddetta “dei 300” a San Sperate, un sigillo cilindrico databile XV a.C. con segni di difficile interpretazione: forse pesci o un uccello o una scena di parto. Sigillava le proprietà attraverso la creta e giunge dalla zona ugaritica.
A Isili, nel nuraghe Is Paras, c’è una tholos che misura 12 metri ed evidenzia la perfezione stilistica e formale degli edifici. Le fonti greche dicono che Iolao chiamò il grande architetto Dedalo per perfezionare la tecnica architettonica. A partire dal 1300 a.C. compaiono nuraghe complessi molto sofisticati, con slanciate torri, camere circolari e volte perfettamente ogivali. Sono le regge dei capi tribali. Su Mulinu di Villanovafranca è un protonuraghe che nel tempo diventa “evoluto” con torri che vengono aggiunte, cinta esterna con altre torri, terrazzi, feritoie e altri elementi che contribuiscono a rendere l’edificio molto sicuro, con bastioni poderosi che dominano sul territorio.
I grandi nuraghe potevano accogliere fino a 200 soldati e costituivano dei veri e propri castelli autosufficienti dell’epoca.

I rapporti con l’esterno sono evidenziati anche dalla ceramica che arriva dall’oriente. A Sarroch e Orroli troviamo ceramica micenea ma a sua volta la ceramica grigio ardesia e altra produzione nuragica compare a Tirinto, a Commos a Creta, in Sicilia e documentano che la Sardegna aveva relazioni importanti con il mondo egeo. È in questo periodo troviamo i grandi movimenti dei popoli dal mare e li troviamo raffigurati nei grandi templi come a Medinet Habu, nella rappresentazione della battaglia navale nel delta del Nilo, a dimostrazione di un momento di fermento che toccò tutti i più importanti imperi del passato e portò alla fine degli ittiti, dei micenei e al crollo degli egizi.
Fra le ceramiche trovate ad El-Awatt, in Israele, ci sono alcune decorazioni che riportano alle ceramiche nuragiche. In ambito israelo-palestinese troviamo anche forme e decorazioni che richiamano i pugnali sardi. La ceramica sarda raggiunge anche Lipari a dimostrazione di una società evoluta con tante relazioni con l’esterno.
I dati della proliferazione dei nuraghe nel Bronzo Medio ci fanno capire che la realtà sociale ed economica si sviluppa prepotentemente in questo periodo e nei distretti tribali si nota un’articolazione che evidenzia la volontà di un controllo capillare del territorio. Si contano circa 8000 nuraghe e circa 3000 villaggi, un tessuto abitativo che supera quello, pur importante, dell’epoca romana. Tutto ciò si aggiunge alle tombe dei giganti, ai pozzi e agli altri segni sparsi nel territorio. In questa immagine (inserire foto) si nota la piramide gerarchica con a capo la reggia nuragica, in una posizione intermedia ci sono le residenze con bastione dei capi cantone, i villaggi vengono appresso, senza cinta esterna e quindi non protetti, e, infine, i nuraghe monotorre che si dispongono in zone nevralgiche per completare la difesa del territorio.

...domani la 3° e ultima parte

Nelle immagini Talei, foto e disegno.