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martedì 13 luglio 2010

Phoenike - Fenici a Monte Sirai


Monte Sirai
Si trova a breve distanza da Sulci, sua probabile madre patria. I due centri sono visibili fra loro e l’area scavata a Monte Sirai è costituita dalla necropoli, dall’acropoli e dal tophet. Barreca sosteneva che fu fondata intorno al 650 a.C. dai sulcitani e che la postazione ebbe la funzione di fortezza con mastio e cinta muraria fortificata. Fino alla conquista romana del 238 a.C., data dell’invasione armata da parte di Roma, rimase un centro prevalentemente militare e solo in seguito fu trasformato in abitato, con la conseguente demolizione delle fortificazioni. Nel 38 a.C., data dello scontro fra Cesariani e Pompeiani, Monte Sirai fu abbandonata definitivamente.
Bartoloni ha approfondito gli scavi nell’abitato e ritiene che l’impianto dell’insediamento debba retrodatarsi di un secolo, all’VIII a.C. La fondazione avvenne ad opera degli abitanti di Sant’Antioco o di Portoscuso. L’organizzazione urbanistica è differente da quella che si ipotizzava, in quanto scavando sotto le strutture ellenistiche Bartoloni ha potuto constatare l’esistenza di edifici che fanno pensare ad una collaborazione con l’elemento indigeno. Fu infatti rinvenuta ceramica realizzata a mano, tipica nuragica. Diviene fortezza solo molto tempo dopo, in età punica avanzata, intorno al 380 a.C. Parte dell’insediamento fu distrutto militarmente fra il 540 e il 510 a.C. da parte dei cartaginesi nell’ambito del tentativo di conquista armata della Sardegna da parte del generale Malco. L’attacco determina una decadenza dell’insediamento che diventa più piccolo e viene ripopolato con una serie di famiglie africane mandate da Cartagine. La tipologia tombale è tipica africana, libica, ed è costituita da 13 tombe familiari, quindi Bartoloni ipotizza che Cartagine inviò proprio 13 famiglie dall’Africa per governare il territorio.
Un cambiamento importante avvenne dunque nel 380 a.C. quando si nota in tutta la Sardegna uno sforzo immenso di costruzione di fortificazioni in molte città puniche della Sardegna. Monte Sirai sarebbe diventato un centro più grande, forse sede di una guarnigione, e proprio a questo periodo si riferirebbero tutte quelle strutture oggi a vista nel sito. Nel 238 a.C. furono demolite le fortificazioni e il centro, fino al 110 a.C., visse come città non militare.
L’acropoli si trova nella parte superiore della collina ed è costituita da 4 isolati disposti parallelamente. In assenza di piazze, se non quella vicina all’ingresso, le vie di comunicazione sono in terra battuta in quanto i mediterranei e i punici non lastricavano le strade. Furono i romani ad introdurre l’uso di vie rivestite di ciottoli.
L’ingresso all’insediamento presenta una soglia di età romana, ed è fiancheggiato da una serie di strutture e da un fossato delimitato da un muro rettilineo. L’andamento a cremagliera (a zig-zag), delle mura tipico delle fortificazioni puniche avanzate ha integrato le strutture arcaiche. In un punto si trovano infatti dei blocchi in bugnato di trachite, riferiti alle vecchie mura. Davanti all’ingresso ci sono una serie di torri di varie forme funzionali ad una prima difesa, forse del V a.C., anche se Bartoloni parla di strutture romane abitative e non di torri, e un corridoio difeso da una porta con garitta che conduceva alle strutture interne.
L’abitato presenta case tradizionali di tipo punico con corridoio centrale che porta alla corte, sulla quale si affacciano gli ambienti domestici.

L’unico edificio pubblico identificato è il mastio. Si trova nell’unica piazza di Monte Sirai. Nell’ultima fase fu utilizzato come edificio sacro. Barreca ipotizzava che il mastio sarebbe stato impiantato nel VII a.C. sopra un preesistente nuraghe che fu smontato. Si riutilizzarono i conci di base e si costruì la parte centrale dell’edificio, con due vani separati da un muro e una serie di case matte cieche utilizzate come fortificazioni. Il mastio fu incendiato alla fine del VI a.C. e ristrutturato nel V a.C. con l’aggiunta della torre cava con 6 vani ciechi coperti da botole, forse magazzini per armi. In seguito fu anche rifasciato. Barreca pensava che intorno al 250 a.C. la struttura perse la connotazione militare e fu trasformata in tempio per il culto di Demetra. Per lo studioso, in età fenicia e punica non ci sarebbe quindi stato nessun edificio sacro. Per Bartoloni invece la struttura fu sempre un tempio dedicato ad Astarte e i mediterranei avrebbero usato il nuraghe per le funzioni religiose e per accogliere i loro simboli cultuali. Il nuraghe sarebbe stato smontato attorno al 525 a.C. e dopo questa data sarebbe stato ricostruito un edificio sacro nel 250 a.C. riutilizzando i conci del nuraghe stesso del quale però non restano tracce visibili, se non una cisterna.
La struttura è composta da vari edifici: una torre cava, un’area aperta, una cisterna e vari altri ambienti. Sono stati ritrovati degli altari utilizzati per il culto. All’area aperta si accede tramite due ambienti separati da un muro, forse coperti, che portano a 4 celle nelle quali sono stati individuati dei manufatti che ci rimandano ad un ambito cultuale: oggetti votivi, lucerne, bronzetti, placchette in osso, forse appartenenti ad una cassetta lignea. La copertura era piana in travi di legno o cannucciato perché le tegole arrivano in Sardegna solo in età romana.
La statua di Astarte mostra una differenza di lavorazione fra la testa rifinita e il corpo, solo abbozzato. La testa risente dell’influenza orientale e siriana, e viene datata al VII a.C. Il braccio sinistro è appoggiato sul ventre e il destro è sul petto col pugno chiuso. Forse portava una stola sulla spalla. Si pensa che per qualche motivo la statua, di età arcaica, sia stata rilavorata in età punica, forse da un artigiano non esperto.
Per Monte Sirai si è spesso parlato di artigianato popolare, in contrapposizione a quello di alto livello di Sulci. In realtà vari studiosi ritengono che la differenza di qualità sia dovuta non ad un diverso ambito culturale, ma semplicemente perché Monte Sirai, essendo un centro secondario, non disponeva di artigiani altrettanto validi.
In una celletta c’erano una serie di placchette lavorate: una sfinge accosciata in osso e una palmetta. Gli avori orientali sono molto più belli e la lavorazione, che in questi di Monte Sirai è ad incisione, in quelli orientali viene eseguita a rilievo. L’iconografia di una delle placchette mostra una commistione fra tre elementi:
. Bes, il demone nano egiziano, grassoccio con la lingua fuori, con i baffi, i ricci, le orecchie ferine e il pugno chiuso.
. Melkart-Eracle, il Dio con in evidenzia le zampe della leontè ma non le orecchie di Bes.
. La Gòrgone, un essere mitologico greco, una delle tre sorelle, in questo caso Medusa, quelle che pietrificavano coloro che le guardavano. Ecco spiegato lo sguardo penetrante con occhi spalancati, la lingua fuori, il faccione circolare, tutti elementi derivati dall’iconografia di Medusa.
Due bronzetti levantini trovati nei vani dove era presente la statua di culto, rappresentano “il Citaista” e un personaggio assiso che versa da una brocca askoide, di tradizione nuragica, dentro una coppa. Sono datati al VI a.C. e dimostrano la convivenza pacifica fra nuragici e fenici, caratteristica tipica della civiltà mediterranea, riscontrabile in tutti i siti costieri.
A Monte Sirai è stata scavata una grande necropoli. Quella mediterranea è vicina all’abitato, quella punica è più in basso. Il tophet si trova in una valle ancora più in basso.

La necropoli mediterranea prevede tombe ad incinerazione primaria con fosse scavate, nella terra e nella roccia, nelle quali veniva posto il defunto da bruciare e, una volta terminato il rito, veniva aggiunto il corredo e sigillata la tomba. In superficie c’erano i segnacoli. Le tombe arcaiche sono un centinaio, poco regolari, oblunghe, e si distinguono da quelle puniche che sono, invece, rettangolari. Ben 7 tombe mediterranee sono ad inumazione, con la presenza della brocca con orlo a fungo. Forse il motivo è legato all’elemento africano, infatti uno dei personaggi sepolti è femminile in posizione di fianco, la tipica inumazione della zona libica di Kerkouane, mai documentata a Cartagine. Gli indigeni, anche quelli punicizzati, continuano a farsi inumare in posizione supina.
Le tombe puniche sono solo 13, oltre un dromos non dotato di camera. Sono molto grandi con scale nel dromos che occupano tutto il lato breve. Le camere sono quadrangolari con sarcofagi e nicchie risparmiati nella roccia. Una delle tombe presenta al centro una colonna risparmiata, forse per sostenere la copertura. Nel tramezzo è ben visibile il simbolo capovolto di Tanìt, utilizzato come simbolo funerario per riferirsi al mondo dei defunti.
Bartoloni, ha scavato negli anni Sessanta e ritiene che non ci siano altre sepolture perché fra la conquista cartaginese e il 360 a.C., anno della ristrutturazione, il tono di vita era minore, con la presenza di poche famiglie. Oltre le tombe scavate nel bancone, ce ne sono altre che modificano delle domus de janas. La tomba 9 presenta un dromos e una camera non finita e quindi possiamo capire l'evoluzione: prima si scavava il dromos e poi veniva rifinita. Sono tombe uniformi, forse fatte dalla stessa confraternita che provvedeva alla costruzione e alla sepoltura dei defunti.

A Monte Sirai ci sono anche 3 facce maschili demoniache, ricavate nella parte alta della parete di una camera tombale. Una di queste è ancora sul posto. In un’altra area ci sono anche delle tombe infantili ad enkitrismos.
Il tophet non è stato impiantato insieme alla città, si data infatti al 370 a.C. quando ci fu lo sviluppo urbanistico e demografico dell’insediamento. Si trova 200 m a nord dell’abitato e ha restituito circa 300 urne e 140 stele. Si divide in tre fasi sovrapposte: la prima vede le urne appoggiate direttamente sulla roccia, talvolta all’interno di casse scavate e conta poche stele. C’è un passaggio funzionale alla deposizione delle urne. Alla fine del IV a.C. viene fatta una gettata di terra e argilla, sostenuta con muretti laterali, e quasi la metà delle urne si riferisce a questa fase. Intorno al 250 a.C. abbiamo la terza fase: viene fatto un interramento con terra e argilla, vengono posti dei lastroni di trachite per contenere la colmata e viene costruito un edificio di culto. É un fatto raro, infatti solo a Cartagine c’è la cappella Cintas, e a Mozia e Tharros ci sono tracce di strutture di culto in tophet, ma questo è l’edificio meglio conservato. Recentemente è stato restaurato malamente con una gradinata inventata ma prima sorgeva su una piattaforma alla quale si accedeva attraverso una rampa, ora coperta dalla gradinata. Al di sopra c’era un saccello di 8 x 6 m datato alla fine del III a.C. costituito da un ampio vestibolo affiancato da vari ambienti. La parte più sacra vedeva un penetrale caratterizzato nello spigolo da un doppio altare. Tracce di fuoco e di resti ossei animali sono stati scavati vicino all’altare. Le stele documentate nel Tophet mostrano una stretta correlazione con Sulci. Gli artigiani però non raggiungono l'abilità dei sulcitani. Nelle edicole troviamo personaggi con stola (sacerdote) e altri con fiore di loto (divinità) in commistione. In alcune stele c'è anche la tecnica ad incisione che rivedremo nelle stele funerarie del periodo finale punico e in età romana primo-imperiale.

Immagini tratte da "La civiltà Fenicio Punica", Barreca: Il sito, l'acropoli, il mastio

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