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giovedì 6 maggio 2010

Sea People - Popoli del mare V - il substrato mediterraneo

Il substrato mediterraneo:
La scoperta nel 1915 della lingua ittita, che risultava essere la più antica lingua indoeuropea, fu accolto con stupore. Ancora 10 anni dopo si cercava di attenuare l'entità della scoperta applicando a questa lingua influenze indoeuropee mentre, a dispetto di ciò, si scoprirono tre nuove lingue, il luvio, il palaico e l'hati, le prime due indoeuropee, mentre l'ultima era preindoeuropea. È del 1960 la teoria classica di Childe, e in seguito di Gimbutas, sull'espansione dell'indù europeo verso l'Asia e l'Europa occidentale durante il V millennio a.C., a partire dalla cultura dei Kurgan (cultura dei cumuli) delle steppe del Volga e del Don come nucleo di irradiazione primario. Ma difficilmente questa cultura può essersi diffusa nel Mediterraneo, dal momento che i Kurganici dovevano essere tutto tranne che grandi navigatori. Nel 1987 Renfrew propose di individuare nell'area Anatolica la culla degli indoeuropei, responsabili questi anche dello sviluppo dell'agricoltura che successivamente esportarono in Europa e nel Mediterraneo. Tale teoria è facilmente criticabile dal momento che esiste un abisso linguistico tra il gruppo indoeuropeo anatolico e le lingue indoiraniche. Renfrew ha comunque il merito di far sprofondare l'origine indoeuropea all'VIII millennio a.C. Si potrebbe a questo punto formulare l'ipotesi di una civiltà superiore nata in un'unica area circoscritta che abbia dovuto sopportare le stesse conseguenze negative. Dietro alla comparsa del neolitico potrebbero celarsi due mondi comunicanti: il primo è il Mediterraneo, l'altro è oscuro, e la civiltà che lo popola è già differenziata e complessa e si manifesta, una volta entrata nel bacino ricevente, nel fenomeno neolitico multiforme che ben conosciamo. discendono quindi da un unico progenitore. Se nessuna teoria ha dato esiti soddisfacenti, una delle spiegazioni possibili è che la patria dei neolitici e degli indoeuropei sia ancora scoprire e forse questi popoli discendono da un unico progenitore. È difficile non collegare la causa dell'emigrazione neolitica agli sconvolgimenti climatico-ecologici del 9500 a.C. che portarono alla fine dell'ultima glaciazione. I colonizzatori si sarebbero distribuiti nel Mediterraneo e sul territorio europeo, costituendo il substrato su cui le successive ondate migratorie si fusero, si sovrapposero, o vennero assorbite.
Avvicinandoci alle età dei metalli bisogna osservare che intorno al 3500 a.C. si assiste al processo di urbanizzazione della Mesopotamia meridionale e alla comparsa dei primi documenti scritti provenienti da Uruk, la più antica città della civiltà di Sumeri. Questo è anche il momento legato alla nascita dell'Egitto predinastico e all'arrivo di nuove popolazioni nell’egeo, a cui seguirà la civiltà minoica. I greci che conservavano la memoria di tali antichissime emigrazioni davano loro il nome di Pelasgi. Provenienti da un indefinibile "pelago", lasciarono tracce ciclopiche anche al di fuori dell'Egeo. Per capire la nascita e lo sviluppo del Bronzo è necessario chiarire che è stata l’assenza dello stagno nel Mediterraneo a rallentare l'esplosione di quest'epoca. Come è stato possibile che questa tecnologia si sviluppasse in un'area dove lo stagno era assente? I Pelasgi ne possedevano il segreto e la tecnologia necessaria. Questo metallo era raro e si poteva ottenere solo attraverso un'efficiente rete di scambi che procurava anche altri materiali fra cui oro, argento, lapislazzuli e manufatti già lavorati. Secondo Omero i Pelasgi combattevano da entrambe le parti della guerra di Troia: venivano considerati come dei nomadi del mare. Erodoto associava ai Pelasgi, oltre ad Atene e Dodona, la costa del Peloponneso e dell'Egeo nord occidentale, le isole Samotracia e Lemno. Dionigi di Alicarnasso sosteneva che i Pelasgi erano gli antenati dei greci che per primi avevano popolato l'Egeo e l'Arcadia. Sappiamo che i greci consideravano se stessi divisi in tre stirpi: ioni, achei (micenei) e dori, ma Tucidide ed Erodoto affermavano che i Pelasgi, pur avendo vissuto in tutta la Grecia, erano gli antenati soltanto degli ioni. E' interessante lo studio di Georgiev che chiamò Pelasgico il popolo indoeuropeo responsabile del substrato Mediterraneo, pensando che il termine partisse da pelagos=mare, la cui forma originaria doveva conservarsi in pelastikos (peleset, filisteo o palestinese). Nell'ultima grande migrazione indoeuropea del 1200 a.C. i filistei appaiono i più potenti, insieme agli achei, e forse sono a capo della confederazione dei numerosi popoli del mare che sovvertiranno l'intero assetto del Mediterraneo causando la fine del Bronzo. Sarà questa cultura pelasgica a creare le prime cittadelle fortificate: il megaron diventerà un elemento costante dell'architettura diffuso da Troia a Cnosso e Beycesultan e si svilupperà la produzione di una particolare ceramica con disegni a spirali e meandri. L'impossibilità di individuare un'area d'origine delle popolazioni pelasgiche ha indotto gli storici a collocarne la nascita in qualche punto indefinito dell'oriente. Ma sappiamo che i primi siti dove appare questa cultura, che parlava il luvio e possedeva il segreto la metallurgia, si localizzano sulle isole dell'Egeo. La civiltà viene dal mare e prima di toccare le coste anatoliche, e assistere alla fondazione di Troia I nel 3000 a.C. circa, sono documentati i siti pelasgi delle Cicladi e Lemno, dove la presenza del megaron non lascia spazio alcun dubbio. Vi furono diverse migrazioni: costretti ad abbandonare i propri territori affrontando un esodo senza ritorno, molti navigatori cercavano territori da conquistare. Ciò può spiegare quell'insolito fatto di assumere il nome della terra in cui si insediavano, come fu per la gente di Hatti, Pala, Luvia, invece di imporre quello della propria tribù. Lo stagno, come ho detto, è un'incognita costante per tutto il Bronzo e saranno indicate Cornovaglia e Bretagna come probabili centri di diffusione dello stagno in Occidente. I Pelasgi furono i primi a oltrepassare lo stretto di Gibilterra? L'indicazione del superamento delle Colonne d'Ercole entrando nel Grande Mare, che per gli antichi era circondato dal fiume Oceano, è molto forte, mentre appare improbabile una diffusione dello stagno per via terrestre proveniente delle stesse regioni.

3 commenti:

  1. "Ma difficilmente questa cultura può essersi diffusa nel Mediterraneo, dal momento che i Kurganici dovevano essere tutto tranne che grandi navigatori.". Che avessero però una conoscenza delle tecniche di navigazione è ipotizzato dalla Gimbutas proprio nell'opera "Kurgan", in cui si evidenziano tracce di questa cultura in Sicilia.

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  2. Sì, la Gimbutas ha ipotizzato tante cose, ma non ha preso in considerazione il fatto che un popolo guerriero può integrare nelle sue fila quelle genti di mare che per motivi economici o altro decidono di andare a vivere in altre tribù. Questi "maestri" possono formare altri specialisti, possono creare botteghe artigianali, possono insegnare i trucchi del mestiere, possono diventare comandanti di navi.

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  3. Su questo sono pienamente d'accordo. Come per la teoria riguardante l'espansione agricola analizzata già da Cavalli-Sforza. Assimilazione del know-how da parte dei popoli sottomessi. E la cosiddetta comparsa dei popoli del mare lascia aperta l'ipotesi che molto spesso questi non fossero altro che popolazioni "miste". Il problema della Gimbutas sembra più che altro essere viziato da un pregiudizio ideologico, uno schema in cui prevale un dualismo inconciliabile tra culture. Anche se però tutto sommato ammette ad esempio - partendo proprio dagli studi di Dumezil - il fatto che una complessa casta sacerdotale tipica ad esempia del mondo romano, non può aver avuto origine da una popolazione nomade.

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