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giovedì 25 marzo 2010

Sardi, Nuragici e Shardana


di Pierluigi Montalbano

Alcuni studiosi ritengono che gli Shardana, il temibile popolo guerriero che invase i territori del vicino oriente, che prese parte alle guerre fra egizi ed ittiti, che si alleò con altre fazioni dei popoli del mare che contribuirono al crollo delle più grandi civiltà del passato, che possedeva già nel XIV a.C. terre dalle quali riscuoteva i tributi nelle zone siro-palestinesi, come riportato nei registri dell’epoca, sbarcò in Sardegna nel XIII a.C.
Chi propone questa teoria dovrebbe spiegare come questo terribile popolo guerriero, se già non fosse ben integrato in Sardegna, poté pacificamente (visto che non ci sono tracce di guerre) conquistare le terre dei sardi, instaurando un governo che approfittò degli 8000 nuraghe presenti per manifestare il proprio dominio sul territorio.
Questa teoria, che fa acqua da tutte le parti e non ha riscontri archeologici (visto che gran parte dei nuraghe c'era già da almeno 3 secoli), non tiene conto degli avvenimenti dei precedenti 5000 anni in terra sarda, a partire da quei vasi con anse realizzate simboleggiando la dea madre.
Si vuole cancellare in un sol colpo tutto ciò che sono le facies di Su Carroppu, Grotta Verde, Bonu Ighinu, San Ciriaco, Ozieri, Monte Claro, Campaniforme internazionale, Padru Jossu, Cuccuru Nuraxi, Bonnannaro e, soprattutto, Sant'Iroxi. Non spiega perché le floride, ma ipotizzate arrendevoli, genti sarde dovettero inchinare il capo davanti a questi formidabili guerrieri, non cita le innumerevoli testimonianze archeologiche di armi, cinte murarie, torri di avvistamento strategicamente disposte in tutto il territorio, torri costiere e matrici per la fusione dei metalli, che garantivano ai sardi il controllo delle miniere e la possibilità di arricchirsi ulteriormente rispetto alle già ingenti ricchezze dei secoli precedenti, testimoniate dall'ossidiana sarda trovata fuori dall'isola, dalla spettacolare arte ceramica che già nel 3000 a.C. realizzava ceramiche decorate con figure umane, dall’utilizzo già dal 2000 a.C. di grappe in piombo per riparare i vasi (il piombo in abbondanza segnala la presenza di miniere d’argento ben conosciute), dalle spettacolari tombe dei giganti (indicatrici di culto e venerazione dei morti), dai preziosi conci utilizzati per realizzare e ristrutturare i pozzi, ancora funzionanti e ammirabili in tutta l’isola.
Chi non conosce i reperti archeologici, o non sa leggerli, dovrebbe evitare di costruire ipotesi e portarle avanti con l’arroganza di chi pensa di essere in possesso della verità. Quella si chiama fede, non storia. La fede crea quesiti, non li risolve, non è la sua funzione.
La Sardegna ha attraversato i millenni offrendo ai suoi abitanti le risorse necessarie a sviluppare una serie di civiltà che parteciparono agli eventi che, iniziando nel Neolitico, arrivano fino ai nostri giorni. Molte genti frequentarono l’isola e vi si stabilirono. Quelle genti costituiscono la nostra memoria storica e si chiamano sardi. Le distinzioni in Nuragici, Shardana, Balari, Corsi, Iolei o Illesi e tutti gli altri, sono il nostro modo occidentale di voler a tutti i costi classificare i gruppi. Non devono costituire un vincolo, un ostacolo agli studi.
Le domus de janas sono state realizzate dai sardi del IV e III Millennio a.C., i nuraghe sono stati costruiti dai sardi del II Millennio a.C., le statue in bronzo e pietra dai sardi del I Millennio a.C., lo stadio Sant’Elia dai sardi del secolo scorso e il tunnel sotto la Via Roma a Cagliari sarà realizzato dai sardi del III Millennio d.C.

La foto è tratta dal sito: The Aegean minoans of Crete and Thera e come didascalia porta, "Battle of the Delta, 1178 BC 
Medinet Habu, Mortuary Temple of Ramesses III 
Luxor, Egypt",

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