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sabato 27 marzo 2010

I nostri avi


Eccoli i nostri avi.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione. Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate (mi pare da Bernardini) negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata nascosta (tumulata nuovamente nella stessa tomba) perché le tracce di colore avrebbero forse svelato qualche segreto che non si vuole accettare. Ma passiamo oltre perché è troppo facile entrare in polemica quando le cose funzionano male.
Guardate i copricapo, gli occhi, la morfologia dei visi… sono quelli di tanti individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi, tutti devoti nell’atto di offrire o impavidi guerrieri rappresentati nell’istante della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani… e voi?

Il collage di immagini è tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica

2 commenti:

  1. io vedo reperti diversi, decontestualizzati, produzioni diversificate di possibili varianti locali. Il significato di questi oggetti risiede nel complesso di una sovrastruttura ideologica molto complessa da tradurre, sopratutto per l'ambito preistorico. Ma supponiamo che davvero questi volti si starebbero chiedendo come mai non riusciamo a capire il loro preciso significato, la risposta sarebbe questa: perche si ostinano a fantasticare e romanzare su di voi, non capendo che l'archeologia è una scienza e come tale prima di parlare di guerrieri, volti multietnici ecc... bisognerebbe avere le prove, ovvero lo studio delle associazioni stratigrafiche! Ripeto ancora, il Lilliu è un testo vecchio ed è necessario dunque leggere gli articoli dei ricercatori (Universitari) per aggiornarsi sui metodi e sulle scoperte della moderna scienza archeologica.

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  2. Caro 8,
    dici di vedere nelle sculture bronzee nuragiche reperti di possibili varianti locali, ebbene...i bronzetti, anzitutto, li consideri arte o oggetti per il culto o altro?
    Questa mia domanda è dettata dalla considerazione che le varie strade portano a conclusioni molto differenti.
    Le prove, e mi dispiace suggerirlo ad un lettore che mi pare competente, non sono solo le associazioni stratigrafiche (che, ovviamente sono importanti), ma anche le comparazioni con l'esterno, la conoscenza di una società, la contestualizzazione ideologica e via scrivendo. Dici che Lilliu abbia scritto un testo vecchio (credo ti riferisca a quello del 1966)? La mia risposta è che l'arte non ha epoca, e Lilliu le classifica come opere d'arte. Non lo vedo superato, e lo filtro attraverso le mie attuali conoscenze. Vedo, almeno in questo settore artistico, superati molti autori più recenti, bruciati intellettualmente dalla fretta di emergere. I ricercatori universitari (e mi metto fra questi anche se non lo faccio per professione) scrivono certamente articoli interessanti, e li coinvolgo sempre nel mio lavoro di imprenditore turistico, organizzando dei convegni affinché possano proporre i loro studi, ma per usare le tue parole..."la moderna scienza archeologica"...devi sapere che il mio punto di vista attuale vede l'archeologia subordinata a chimica, botanica, geologia, zoologia e fisica. E' diventata un'interpretazione dei dati, e infatti le teorie degli archeologi più affermati, anziché intrecciarsi...si allontanano. Una disciplina, per essere considerata scienza ed essere affidabile, necessita di convergenze. Tu le vedi? Io propongo sempre il confronto equilibrato, il dibattito sereno e costruttivo, e cosa ottengo sempre più spesso? Accanimento, invidie, energia negativa e una nuova moda: screditare per demolire. Non mi piace. Mi piace, invece, questa discussione, e mi rammarico del fatto che questo spazio, aperto anche agli anonimi (quindi invitante) riceva così pochi commenti.
    Saluti

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