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martedì 30 marzo 2010

Le ceramiche di Sant'Iroxi



Nella facies Sant’Iroxi abbiamo per la prima volta la comparsa di grandi spade (tipo El Argar) al posto dei pugnali. La base di queste pregevoli armi è arrotondata, come quella dei più antichi pugnali, ma la lunghezza arriva fino a 80 cm. Nei protonuraghe non ci sono reperti della fase Sant’Iroxi, quindi, poiché si assiste ad un cambio epocale, in questo periodo a mio parere potremmo far iniziare il periodo sardo nuragico. A Decimoputzu si sono trovati 180 individui sepolti, ma inizialmente erano circa 250 perché una parte manca completamente.
Le facies Sa Turricula, Monti Mannu e San Cosimo, sono precedute da quella Sant’Iroxi, che propone delle novità ceramiche fondamentali rispetto al passato: assenza del vaso tripode, sostituito da un vaso con 4-5 piedi alla base, e comparsa di bollilatte, con una sorta di risega interna che consente di poggiare il coperchio fra collo e spalla del vaso. Altri elementi importanti di questa facies sono piccoli vasi a colletto riverso a 4 anse (o 2 anse e 2 bugne) che accompagneranno la produzione ceramica fino al Bronzo Finale. Altri elementi proseguono dal Bonnannaro: anse a gomito che col tempo tenderanno a cessare (e con San Cosimo sono in versione differente perché non presentano più la forma classica con l’ansa a gomito).
Non bisogna confondere l’ansa a gomito classica con quella a gomito rovescio che compare nel Bronzo Finale e perdura fino all’orientalizzante del Ferro (con ceramiche tornite e dipinte, tipiche nuragiche).
La fase Sant’Iroxi è studiata a partire dagli scavi del 1990 benché fossero già noti materiali di quella fase (Maria Luisa Ferrarese Ceruti), inseriti erroneamente nel grande calderone del Bronzo Antico (Bonnannaro A-Corona Moltana).
I contenitori sono piccoli (ollette a 4 anse con orlo riverso), e possiamo giustificarli dal fatto che i ritrovamenti sono esclusivamente in contesti sacri: funerari o grotte (Su Moiu di Narcao e Su Benatzu di Santadi) e rientrano quindi nel regime delle offerte di cibi ai defunti: acqua, incenso, miele, latte…
A partire dal Bronzo Medio (e fino al Bronzo Finale), ad esempio a Su Benatzu (nota come grotta Pirosu), si moltiplicano i ritrovamenti di materiali per uso cultuale delle grotte.
In questi vasetti compaiono sia l’ansa ad anello che l’ansa a gomito ma non ancora l’ansa a gomito asciforme (quella che risale verso l’alto tipica di Sa Turricula). Questo fatto è strano, perché questa tipologia di ansa compare già nel Campaniforme B (Sulcitano, con decorazioni anche a fasce verticali). Potrebbe essere un’anomalia delle ricerche o dovuta all’ambito funerario, che è quello di Sant’Iroxi (infatti non conosciamo villaggi di questa facies).
I protonuraghe più antichi (quelli a corridoi passanti) non sono ancora scavati e quindi non abbiamo dati per verificare. Il discorso è comprensibile se si pensa, ad esempio, al Talei di Sorgono che è un protonuraghe più recente (con camera a piano terra) nel quale sono state trovate ceramiche Sa Turricula. Se ne deduce che i protonuraghe più antichi dovrebbero presentare materiali più antichi, ma gli scavi ancora non ci danno questa certezza. D’altro canto i materiali sono stati ritrovati nel villaggio, quindi non sappiamo se erano presenti anche all’interno del Talei.
In questo nuraghe abbiamo anche vasetti, tazzine e bicchieri tronco-conici ansati (ma anche privi di anse) che continuano per tutto il Bronzo Medio, fino alla facies San Cosimo. I vasi più grandi (olle a collo largo con labbro appiattito) sono di forma arcaica e li troviamo anche nella fase Bonnannaro A.
Con la ceramica Sa Turricula iniziano i contesti sia tombali che insediativi. Continuano i vasetti troncoconici con prese quadrangolari trasversali (a volte bugne) o cilindriche. Compare la decorazione plastica (nervature) con cordoni che partono dall’orlo, e spesso all’interno del collo ci sono le riseghe (si tratta di bollitori). I vasi sono polipedi (i tripodi non ci sono più), hanno il coperchio e presentano delle coppelle, scavate o in rilievo. Abbiamo anche piatti con orlo appiattito, simili a quelli Monte Claro e a volte inseriti erroneamente (come è avvenuto nel Nuraghe Bruncu Maduli di Gesturi) in questa fase proprio perché non si conosceva ancora la facies Sant’Iroxi.
È possibile fare dei confronti precisi di queste tipologie ceramiche di olle biconiche e globulari a tesa interna (pissidi), bollitori e tegami con i materiali delle facies Proto-Appenninica e Appenninica, a dimostrazione delle relazioni ad ampio respiro presenti in questo periodo.
Le anse si trasformano leggermente nella facies successiva, quella denominata San Cosimo, pertanto è abbastanza semplice classificare i materiali di queste tre facies.
Per non allungare ulteriormente l’argomentazione tralascio di descrivere le ceramiche posteriori, ma conto di aggiungere qualcosa nei commenti.
Le immagini sono tratte da La Civiltà Nuragica, Lilliu, 1999

sabato 27 marzo 2010

L'arte della ceramica in sardegna


La Sardegna protostorica è caratterizzata da un’età aurea in cui caccia, pesca e agricoltura contribuivano al raggiungimento del benessere di quel pacifico popolo di laboriosi artigiani che producevano ceramiche riccamente decorate. Erano plasmate sapientemente e commerciate in ogni angolo dell’isola. Le tracce di quelle antiche culture si trovano anche in Francia, Spagna, nord-Africa e coste tirreniche.
In quell’epoca i sardi non avevano bisogno di torri e mura, vivevano in villaggi corredati di luoghi per il culto e zone funerarie. Il Neolitico sardo dal 6.000 al 3.000 a.C. fu un’epoca di fioritura artistica e le ceramiche che ho riassunto nell’immagine sono lo specchio della cronologia sarda fino all’avvento della civiltà mediterranea (l’età fenicia) che creò un nuovo gusto e quello stile inconfondibile che dal X a.C. si diffuse rapidamente lungo tutte le coste.
Il fermento culturale di questo lunghissimo periodo aiuta la comprensione dello stile di vita dei sardi e la povertà delle ceramiche nuragiche si scontra con le maestose architetture che svettano sul panorama isolano. Se c’era ricchezza e abbondanza… perché le forme artistiche sono concentrate nei manufatti in bronzo? In particolare perché si assiste alla creazione di armi formidabili come le spade di Sant’Iroxi e spariscono le belle ceramiche del campaniforme? Perché le spettacolari domus de janas, le sepolture singole (o di clan familiari) che hanno caratterizzato per 1500 anni l’aspetto delle zone funerarie sarde, sono sostituite dalle tombe collettive?
I sardi già nel VI Millennio a.C. erano capaci di creare vasi con decorazioni della Dea Madre nelle anse (figura in alto a sinistra), già nel 3.000 a.C. realizzavano coppe con decorazioni antropomorfe, nel 2.000 a.C. parteciparono alla koinè del campaniforme… un gusto internazionale che si manifestò in mezzo Mediterraneo fino alle Alpi ma durante la civiltà nuragica perdono questo gusto creativo e si dedicano agli edifici immensi costruiti in pietra locale. Perché si arrivò fino al X a.C. prima di vedere realizzate le prime forme scultoree in arenaria o bronzo che rappresentavano quella società?

L'immagine è realizzata con ceramiche fotografate in vari musei sardi. E' stata creata a scopo dimostrativo. I diritti sono di esclusiva proprietà della sovrintendenza.

I nostri avi


Eccoli i nostri avi.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione. Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate (mi pare da Bernardini) negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata nascosta (tumulata nuovamente nella stessa tomba) perché le tracce di colore avrebbero forse svelato qualche segreto che non si vuole accettare. Ma passiamo oltre perché è troppo facile entrare in polemica quando le cose funzionano male.
Guardate i copricapo, gli occhi, la morfologia dei visi… sono quelli di tanti individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi, tutti devoti nell’atto di offrire o impavidi guerrieri rappresentati nell’istante della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani… e voi?

Il collage di immagini è tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica

giovedì 25 marzo 2010

Sardi, Nuragici e Shardana


di Pierluigi Montalbano

Alcuni studiosi ritengono che gli Shardana, il temibile popolo guerriero che invase i territori del vicino oriente, che prese parte alle guerre fra egizi ed ittiti, che si alleò con altre fazioni dei popoli del mare che contribuirono al crollo delle più grandi civiltà del passato, che possedeva già nel XIV a.C. terre dalle quali riscuoteva i tributi nelle zone siro-palestinesi, come riportato nei registri dell’epoca, sbarcò in Sardegna nel XIII a.C.
Chi propone questa teoria dovrebbe spiegare come questo terribile popolo guerriero, se già non fosse ben integrato in Sardegna, poté pacificamente (visto che non ci sono tracce di guerre) conquistare le terre dei sardi, instaurando un governo che approfittò degli 8000 nuraghe presenti per manifestare il proprio dominio sul territorio.
Questa teoria, che fa acqua da tutte le parti e non ha riscontri archeologici (visto che gran parte dei nuraghe c'era già da almeno 3 secoli), non tiene conto degli avvenimenti dei precedenti 5000 anni in terra sarda, a partire da quei vasi con anse realizzate simboleggiando la dea madre.
Si vuole cancellare in un sol colpo tutto ciò che sono le facies di Su Carroppu, Grotta Verde, Bonu Ighinu, San Ciriaco, Ozieri, Monte Claro, Campaniforme internazionale, Padru Jossu, Cuccuru Nuraxi, Bonnannaro e, soprattutto, Sant'Iroxi. Non spiega perché le floride, ma ipotizzate arrendevoli, genti sarde dovettero inchinare il capo davanti a questi formidabili guerrieri, non cita le innumerevoli testimonianze archeologiche di armi, cinte murarie, torri di avvistamento strategicamente disposte in tutto il territorio, torri costiere e matrici per la fusione dei metalli, che garantivano ai sardi il controllo delle miniere e la possibilità di arricchirsi ulteriormente rispetto alle già ingenti ricchezze dei secoli precedenti, testimoniate dall'ossidiana sarda trovata fuori dall'isola, dalla spettacolare arte ceramica che già nel 3000 a.C. realizzava ceramiche decorate con figure umane, dall’utilizzo già dal 2000 a.C. di grappe in piombo per riparare i vasi (il piombo in abbondanza segnala la presenza di miniere d’argento ben conosciute), dalle spettacolari tombe dei giganti (indicatrici di culto e venerazione dei morti), dai preziosi conci utilizzati per realizzare e ristrutturare i pozzi, ancora funzionanti e ammirabili in tutta l’isola.
Chi non conosce i reperti archeologici, o non sa leggerli, dovrebbe evitare di costruire ipotesi e portarle avanti con l’arroganza di chi pensa di essere in possesso della verità. Quella si chiama fede, non storia. La fede crea quesiti, non li risolve, non è la sua funzione.
La Sardegna ha attraversato i millenni offrendo ai suoi abitanti le risorse necessarie a sviluppare una serie di civiltà che parteciparono agli eventi che, iniziando nel Neolitico, arrivano fino ai nostri giorni. Molte genti frequentarono l’isola e vi si stabilirono. Quelle genti costituiscono la nostra memoria storica e si chiamano sardi. Le distinzioni in Nuragici, Shardana, Balari, Corsi, Iolei o Illesi e tutti gli altri, sono il nostro modo occidentale di voler a tutti i costi classificare i gruppi. Non devono costituire un vincolo, un ostacolo agli studi.
Le domus de janas sono state realizzate dai sardi del IV e III Millennio a.C., i nuraghe sono stati costruiti dai sardi del II Millennio a.C., le statue in bronzo e pietra dai sardi del I Millennio a.C., lo stadio Sant’Elia dai sardi del secolo scorso e il tunnel sotto la Via Roma a Cagliari sarà realizzato dai sardi del III Millennio d.C.

La foto è tratta dal sito: The Aegean minoans of Crete and Thera e come didascalia porta, "Battle of the Delta, 1178 BC 
Medinet Habu, Mortuary Temple of Ramesses III 
Luxor, Egypt",

venerdì 19 marzo 2010

Rassegna culturale Viaggi e Letture


E' iniziata la seconda edizione del progetto Biblioteca e Territorio. 8 Appuntamenti da non perdere in altrettanti siti turistici, accompagnati da docenti universitari e ospitati dalle migliori strutture ricettive dei comuni interessati.
Gli appuntamenti proseguiranno domenica 28 Marzo a Monte Sirai, presso l'agriturismo "Il Paradiso", dove il notaio Maurizio Corona presenterà il suo libro:
La rivolta di Ampsicora, cronaca della prima grande insurrezione sarda.
Visitate l'agriturismo al sito:
www.agriturismoilparadiso.com